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‘Andromeda’, la televisione del tempo irrisolto

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A come Andromeda è stato uno sceneggiato televisivo, di genere fantascientifico, andato in onda sulla Rai nel lontano 1972.  È una delle porzioni documentaristiche del visionario lungometraggio della portoghese Luciana Fina che assembla, con grande forza espressiva, un file rouge di programmi in grado di svelare le pieghe di una società in profondo mutamento, alla ricerca di risposte per questioni del tutto nuove. Un quasi quindicennio di storia italiana scorre nella sintesi di alcuni titoli del palinsesto del secondo canale televisivo nazionale, dal 1962 al 1976. Andromeda, mito, principessa, galassia, è il titolo del lavoro della Fina e la matrice di un contesto che combina la modernità con i nuovi modelli di relazione determinati dall’attraversamento culturale dell’innovazione tecnologica. Nato nel 2021 sotto forma di installazione nel Carpintarias de São Lázaro di Lisbona, il lavoro, proiettato all’Unarchive Festival 2024, è prodotto da AR de FILMES.

Bisogna dare agli strumenti una funzione nuova, cioé esprimere e fare, nell’ambito di questi mezzi, cose che superino i confini della dominante cultura e della ideologia commerciale

Theodor W. Adorno

Andromeda, una storia irresoluta

Il 4 novembre 1961, quello che allora fu definito secondo programma, comincia la sua lunga vicenda assumendo, da subito, l’attitudine destinata a caratterizzarlo fino ai giorni nostri. Generalista e con una vocazione per l’approfondimento culturale e il mondo giovanile. Elementi principali di un flusso narrativo che prende avvio dalla famosa intervista di Umberto Eco a Theodor Adorno riguardo la televisione e l’approccio verso le nuove tecnologie.È una specie di filo virtuoso quello che decide le scelte, apparentemente intuitive, della giovanissima protagonista alle prese con uno dei primissimi modelli di telecomando a infrarosso. È lei che conduce la trama e la dimensiona in un percorso simile al mito di Andromeda. È l’alter ego della Fina. L’innocenza, la bellezza, la verità, il coraggio, ma, soprattutto, il cambiamento. Sempre e comunque, nella ricerca di un qualcosa che aiuti a esser se stessi, a comprendere il proprio mondo e quello degli altri, a indagare la realtà con lo spirito indomito di quando s’era fanciulli.

La solitudine degli artisti

A un certo punto di una stagione, che sembrava aver esaurito la spinta creativa del secondo dopoguerra, alcuni artisti decidono di scendere in piazza. Si mescolano all’uomo della strada. Forgiano le loro opere lì dove il giorno e la notte costruiscono la vita. I materiali non sono più sofisticati embrioni della chimica, ma segmenti di un qualcosa, recuperato, riadattato, facilmente utilizzabile. È l’arte povera, la versione italiana della Pop Art, ma non per questo meno nobile. L’uomo ammaestrato di Michelangelo Pistoletto è un esempio lampante di applicazione del concetto. Con lui ci sono molti destinati a diventare grandi, a lasciare una traccia indelebile. L’artista è stufo di vedersi identificato con un oggetto e quindi produce delle azioni. Boetti, Fabro, Pascali, Paolini, Kounellis e tanti altri, tutti insieme in una nuova stagione dell’impegno. Tra la gente, con la gente, mentre si fa spazio la necessità di testimoniare, rendere partecipi. Snidare il cambiamento senza lasciare che si rifugi tra le apparenti certezze elitarie, senza rinunciare a un necessario costante stato di tensione creativa. È questo il capitolo più iconico di Andromeda.

Una società dello spettacolo

Con il palinsesoto dei suoi ricordi, la macchina da presa di Luciana Fina produce un incantesimo. Un escamotage per introdursi all’interno di una società intenta a comprendere le illusioni di una nuova epoca, imbastita tra lo sconcerto e la voglia di dire la sua. Lo sciopero generale a Torino con il blocco della produzione della Fiat 130. La vita degli immigrati provenienti dal Sud, alla ricerca di una loro dimensione in un Nord ricco di frontiere difficili da superare. Alcuni caroselli, le pubblicità simbolo, la celeberrima maratona televisiva per il primo uomo sulla Luna e la vita delle donne. Le loro prove di emancipazione, le testimonianze di una voglia irrinunciabile a comprendere, assumere un proprio ruolo. Le incursioni di Pierpaolo Pasolini e Roberto Rossellini con i loro punti di vista e le loro riflessioni critiche sul cinema e i suoi intrecci di classe. Il bianco e nero che intinge ogni sequenza, ogni inquadratura, ma che non riesce a nascondere i colori forti dei volti di un’umanità desiderosa di esprimere se stessa, in qualsiasi forma le sia riservata.

 

 

 

 

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