Presentato con successo al Sundance Film Festival del 2023 e in apertura del FESCAAAL 2024, Fremont, il film di Babak Jalali, arriva finalmente nelle sale italiane. Una produzione Butimar e Extra a Production, il film sarà distribuito in Italia da Wanted Cinema. Babak Jalali e Carolina Cavalli collaborano per questo film dopo averlo già fatto, ma a parti invertite, per Amanda, presentato a Venezia nel 2023. Sia a Babak Jalali, qui regista, che a Carolina Cavalli, qui sceneggiatrice, abbiamo fatto alcune domande sul film Fremont.
Donya, ragazza giovane e affascinante, è un’ex traduttrice afghana che ha lavorato per il governo degli Stati Uniti. Afflitta da insonnia, vive sola nella città californiana di Fremont, in un edificio frequentato da altri immigrati afghani. Solitamente, trascorre le sue serate da sola in un ristorante locale, immersa nelle trame delle soap opera. La sua vita prende una svolta quando viene promossa nella fabbrica in cui lavora a scrivere i messaggi all’interno dei biscotti della fortuna. (Fonte: Wanted Cinema)
Il tema centrale di Fremont di Babak Jalali
Nel pressbook parli di un film che ha come tema centrale quello dell’immigrazione. Secondo me, però, c’è di più. In Fremont si parla anche di relazioni, di futuro. L’immigrazione sembra solo un escamotage per parlare di altro perché i bisogni della protagonista, come dici anche tu, sono in realtà gli stessi degli altri, di chi non è immigrato. Nella semplicità della vita di Donya c’è un propendere verso un futuro positivo. E una dimostrazione è la frase che scrive “la fortuna è nel prossimo biscotto”. Sei d’accordo?
Babak: Non ricordo precisamente cosa ho detto per il pressbook, ma l’idea è che quella di Fremont è una storia su qualcuno che è un immigrato, anche se non volevo che fosse un film sull’immigrazione, tradizionale in questo senso. Credo che molti film abbiano affrontato il tema dell’immigrazione e, nel farlo, si sono focalizzati sulla miseria, sulla sofferenza dei protagonisti anche se queste cose non sono del tutto vere, ma solo enfatizzate con lo scopo che il pubblico provi pietà per i protagonisti. E questo crea una distanza con il protagonista che diventa un altro, qualcun altro.
Nella mia mente un immigrato è prima di tutto un essere umano, in questo caso una donna afghana, e non è diverso da un altro essere umano. Quindi, per esempio, lei non è diversa da una giovane donna della stessa età italiana, tedesca, americana o di altra provenienza. Lei ha le stesse aspirazioni, gli stessi sogni, gli stessi desideri e le stesse emozioni. Come tutti, anche lei si vuole sentire bene, trovare compagnia, avere qualcosa da fare.
Quindi direi che il tema è l’ideale possibilità di una speranza. Anche se lontana da tutto quello che si conosce questa possibilità esiste, e lei vive nella speranza, con più chance per il domani e meno ansie e paure. In alcune circostanze volevo mostrare che questa speranza è come un’incarnazione del sogno americano anche se non è come il sogno americano, ma è come un essere umano che vuole semplicemente raggiungere uno scopo vivendo per quello.
Politica e attualità
Interessante è il modo in cui introduci il personaggio e, di conseguenza, l’elemento politico: attraverso la “visita” del dottore. Le sue domande diventano un modo per indagare e sapere di più di lei, anche se questo non serve per la sua richiesta, ma la contestualizza. In base alle sue risposte, che cambiano con l’andare avanti delle sedute, si percepisce una sorta di senso di colpa per essersene andata lasciando in patria amici e familiari. Mi viene da pensare che si tratti di un elemento molto contemporaneo. E mi vengono in mente per esempio le donne iraniane che vengono costantemente e quotidianamente uccise e che, a differenza di Donya, decidono di rimanere lì e combattere per il proprio futuro in modo diverso. Questo, ancora una volta, per sottolineare come il film tocchi corde diverse e come si indirizzi a un pubblico più vasto.
Babak: Sì, quando stavo facendo il montaggio del film c’era la rivolta in Iran. Naturalmente come essere umano, ancora prima che come iraniano, mi sono interessato alla questione, e penso che ci sia qualche legame, come hai detto. Se, per esempio, pensiamo alle donne afghane e a come solitamente sono viste nei media, nel cinema, sono rappresentate sempre in maniera uniforme, attraverso lo stesso occhio. Le vediamo di solito in casa, dove vivono e rispondono al padre, al fratello o al marito, non hanno nessuna iniziativa personale e nemmeno l’idea di avere un sogno o la speranza di lasciare la casa.
Ma la realtà è diversa. Hanno visioni, sogni, speranze e vogliono fare qualcosa. Certo, la realtà politica è quello che è. Dopo quello che è successo nel settembre 2022 sono dalla parte delle iraniane per come combattono e dicono “questo è abbastanza”. Credo, quindi, che ci siano delle somiglianze tra il mio paese e l’Afghanistan e su come le donne combattono per raggiungere i loro obiettivi. Nel film credo che la visione politica non sia completamente in primo piano, ma è comunque all’interno del tessuto.
Mescolare tematiche forti con il comico
Anche alla luce di quello che è stato appena detto, com’è stato il lavoro della sceneggiatura? Come si coniugano tematiche forti, attuali e drammatiche (come quelle a cui facevamo riferimento per quanto riguarda l’Iran) con il comico, senza cadere nel banale?
Carolina: Il contenuto prescinde un po’ dal modo che hai di raccontare la storia e credo che per entrambi utilizzare questo tipo di tono e di ironia fosse la modalità che per entrambi è più familiare e che ci piace di più perché è un modo di dire tanto senza, allo stesso tempo, dover spiegare tanto. L’ironia è un modo secco e potentissimo di raccontare una storia. Ovviamente ci sono parti che sono più vicine alla sua cultura e alcune alla mia, ma metterle insieme e unirle in un unico tono è stato bello perché abbiamo potuto farlo insieme.
Nonostante sia un film straniero, tocca corde di un pubblico molto più vasto.
Carolina: Sono contenta che il risultato sia questo. E poi sono d’accordo su quello che dicevi prima a proposito dell’importanza della speranza. Mentre scrivevo il film sentivo che era (ed è) uno degli aspetti più presenti e poi l’ho rivisto anche una volta che sono state fatte le immagini ed è stato concluso il film. Ho sentito nuovamente questa cosa, l’ho ritrovata e l’ho sentita addirittura potenziata.
Fremont di Babak Jalali e Amanda di Carolina Cavalli
Secondo te potrebbero essere amiche Donya e Amanda (la protagonista dell’esordio alla regia di Carolina Cavalli, Amanda, ndr)?
Carolina: Sì, sarebbe bello (ride, ndr).
Babak: Non sono sicuro che sarebbero amiche…
Carolina: Mettiamola così, sicuramente Amanda vorrebbe essere amica di Donya.
Il bianco e nero
Non posso non chiedere qualcosa sul bianco e nero. Perché lo hai scelto? La cosa strana è che è un bianco e nero particolare, è lucido, non patinato, come se fosse un videoclip anni ’80. Perché proprio questo tipo di bianco e nero? Io ho pensato che fosse per rendere la storia universale nel tempo e nello spazio e per concentrarsi sulla protagonista e sulle sue sensazioni.
Babak: Non era mia intenzione richiamare i videoclip degli anni ’80. Diciamo che nel momento della scrittura lo avevamo immaginato a colori. Inizialmente non pensavamo di farlo in bianco e nero, solo dopo ho optato per questa decisione. In base alle location e al tono ho sentito che avrebbe funzionato meglio in bianco e nero. Quindi direi che non ci sono ragioni intellettuali, metaforiche o particolari.
Carolina: Anche io, però, ho avuto la tua stessa sensazione. Per me è stata una sorpresa vederlo non a colori e anche per me è un bianco e nero molto speciale, soprattutto avendolo immaginato sempre a colori, anche con le scelte fatte relativamente agli ambienti (io li avevo visti dal vero ed erano molto colorati). Quindi anche per me è stata una scelta speciale che ha fatto Babak e quando me l’ha detto ha detto che non era qualcosa razionale, ma un qualcosa che sentiva. Secondo lui quel film sarebbe stato fatto così oppure non sarebbe stato fatto proprio.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli