Che Meryl Streep sia amatissima dal pubblico è cosa nota, ma fa piacere constatare, all’incontro con l’attrice, quanto anche la community dei professionals di Cannes – Festival dove l’artista è stata una sola volta 35 anni fa quando vinse il Premio come migliore attrice per il ruolo in Evil Angels (Un grido nella notte) –, l’abbia saputa accogliere ed apprezzare, prima con una calorosa standing ovation il giorno dell’inaugurazione e poi con un secondo, interminabile applauso al suo arrivo nella gremita Sala Debussy, sold-out da subito alla notizia che Lei sarebbe arrivata sulla Croisette. Il Rendez-vous con Meryl Streep è stato fortemente voluto dal direttore del Festival, l’immarcescibile Thierry Fremaux.
L’attrice, caratterialmente riservata, quasi frastornata dagli applausi, ha evidenziato la sua consueta eleganza e sobrietà nel presentarsi, il giorno della Consegna della Palma d’Onore in un essenziale e raffinato abito bianco, e nell’indossare, per il Rendez-Vous, un semplice completo nero, camicia con minuscoli fiorellini e pantaloni. Dato che l’applauso a lei rivolto non sembrava voler finire, Meryl decide di sedersi, cercando in qualche modo di frenare l’imbarazzo e dare inizio all’incontro moderato dal giornalista francese Didier Allouch.
Riguardo alla Palma d’Onore ricevuta, consegnatale da una Juliette Binoche che piangeva commossa nel ricordare a Meryl come i suoi ruoli avessero cambiato la vita di tutte le attrici, confessa di essere stata investita a Cannes da un’emozione forte, quasi da un’onda, fra le lacrime e l’affetto della gente. Dice di non essere abituata (forse non più) a questo tipo di manifestazioni poiché ora conduce una vita piuttosto ritirata (quasi noiosa) e suscita il sorriso del pubblico aggiungendo che nella sua famiglia nessuno è così rispettoso verso di lei.
Rendez-Vous con Meryl Streep: famiglia e vita quotidiana
Madre di quattro figli e nonna di cinque nipoti, Meryl racconta di avere ancora oggi un bel da fare con la famiglia poiché i figli, pur se grandi, vanno sempre curati e seguiti, e poi ci sono i numerosi nipoti. Alla domanda su cosa pensi del cinema europeo e francese, lei si schermisce dicendo che purtroppo sperava durante le vacanze di Natale di recuperare tanti film di grandi registi (‘sono così vecchia che ho lavorato con quasi tutti’) anche francesi, ma di non esserci riuscita, perché la sua vita familiare l’assorbe troppo. Afferma però di aver visto lavorare Camille Cottin e Juliette Binoche, trovandole eccezionali (‘mi innamoro del lavoro degli attori’).
Parlando delle sue colleghe attrici divenute produttrici, Meryl ha dichiarato tutta la sua stima per loro (fra queste Natalie Portman, Reese Whiterspoon, Nicole Kidman): “Ho una grande ammirazione per loro, hanno creato case di produzione, hanno una loro casa di produzione…anche io ho una società, una casa di produzione: ho prodotto quattro bambini e, dopo le sette di sera, non volevo più rispondere al telefono, ed è quello che ho fatto. Ma ammiro davvero l’impegno delle mie colleghe”.
Nel suo primo (e ultimo) soggiorno a Cannes, 35 anni fa, quando venne a presentare il film Evil Angels di Fred Schepisi vincendo la Palma d’Oro come miglior attrice, Meryl racconta che le consigliarono di avere almeno nove guardie del corpo. Lei disse che non le aveva e che le sembrava una vera esagerazione (‘pensavo che fossero matti’). Invece si rese conto che la folla era tantissima ed i microfoni e le telecamere le venivano direttamente addosso perché la Croisette era molto diversa da adesso. Ora abbondano le barriere e la sicurezza: ‘arrivata in albergo mi sono accorta che tremavo ed ero impaurita al pensiero di ritirare il premio…non sono una rock star’.
Una lunga carriera… “tutto passa così in fretta”
Già alla cerimonia di inaugurazione Meryl aveva raccontato (vedendo la clip omaggio ai suoi film) che, nell’occasione unica in cui venne a Cannes, lei pensava, avendo quarant’anni e tre figli (e, bisogna aggiungere, avendo già una lunga sequenza di film alle spalle) che la sua carriera stesse ormai finendo…Era una previsione ragionevole: l’unica ragione per cui sono qui stasera è per l’amore dei cinefili come i presenti e gli artisti meravigliosi con cui ho lavorato. Per me guardare questa clip è come guardare fuori dal finestrino di un TGV – ha affermato la Streep – Correre come un fulmine dalla mia giovinezza ai cinquant’anni, fino ad oggi. Tanti volti, tanti posti che ricordo così bene…”
Durante il Rendez-vous con Meryl Streep, pescando all’interno dei tanti, meravigliosi film che compongono il puzzle della sua carriera , come perle di una preziosa collana, Meryl racconta alcuni aneddoti molto graditi al pubblico della sala. Fra questi, a proposito del film La mia Africa, c’è la storia divertente di una scena cult, quella in cui Robert Redford lava i capelli a Meryl. Dapprima lui non ci riusciva, lo faceva in modo maldestro, poi, aiutato dal makeup artist and hair stylist dell’attrice, inizia a lavorare con i polpastrelli in modo delicato e sensuale sul capo di Meryl, la quale dice: “Mi fece innamorare in quel momento, mentre mi massaggiava i capelli con cura. Era quasi un momento di intimità, volevo non finisse mai, nonostante ci fossero degli insetti enormi e dei pericolosi ippopotami molto vicini”.
Riguardo al film I Ponti di Madison County, racconta che Clint Eastwood (che lei adora) girava molto velocemente, faceva i film in cinque settimane: si iniziava a lavorare alle cinque di mattina, così lui il pomeriggio poteva andare a giocare a golf (‘essenzialmente quello che si vede nel film sono le prove, ma lui non ha mai alzato la voce sul set’).
In Kramer contro Kramer, un film che anche in Europa ha avuto una certa importanza sociale per l’epoca, sulla questione del divorzio e sulla separazione dei ruoli, si dice che la Streep abbia riscritto una scena del copione: “È vero – risponde – volevo dare maggior spessore alla figura della madre, perché il romanzo si interessava molto a cosa avrebbe fatto il padre da solo col bambino, non ci si chiedeva perché fosse andata via la madre. Così ho reclamato il diritto di riscrivere il mio discorso in tribunale. Ne abbiamo fatte tre versioni: una io, una Robert Benton (il regista) e una Dustin Hoffmann. Alla fine ho vinto io”. L’attrice racconta ridendo, fra i vari aneddoti, di aver lasciato la statuetta dell’Oscar, vinta per il film, in un ristorante, appoggiata da qualche parte: “Avevo un abito pesante e non potevo reggere quello e la statuetta, così la poggiai…fortunatamente qualcuno la trovò e me la riportò”.
Altra storia interessante è quella relativa al film Il Cacciatore, in cui Meryl doveva lavorare soprattutto, come attrice, sull’aspetto umano del suo personaggio, quello di una piccola ragazza di provincia. “Io sono in effetti una piccola ragazza che viene dalla provincia (poi ho voluto interpretare tante donne diversissime da me, altrimenti oggi non sarei qui). I registi non mi hanno chiesto spesso cosa pensassi, ma in quegli inizi di carriera, nel 1978, mi capitò anche con Michael Cimino: voleva che trovassi le battute per una ragazza come quella del mio personaggio, che lavora al supermercato. Inoltre sapeva che il mio fidanzato dell’epoca (un medico) da quando era tornato decorato dal Vietnam era dipendente dall’eroina. Così mi consentì di fare dei cambiamenti alla sceneggiatura».
Meryl, con la sua informalità, semplicità ed ironia, ricorda le parole di sua madre: “Aveva ragione su tutto, mi diceva: ‘vedrai Meryl tutto passa così in fretta’ ed è stato così…tutto è passato in fretta, tranne i miei discorsi che sono troppo lunghi”.
Alla domanda sui più grandi registi con cui ha lavorato, di più generazioni, non sa rispondere subito: “Difficile scegliere tra i registi” (Michael Cimino, Alan Pakula, Woody Allen, Fred Schepisi, Steven Spielberg, Mike Nichols, Sydney Pollack, Robert Zemeckis, Steven Soderbergh e tantissimi altri). Di Spielberg parla come di un regista geniale che ha, da subito, quando gira, una visione complessiva dell’opera in tutti suoi movimenti. Di Nichols ricorda l’intelligenza e la capacità di relazione, la voglia di scherzare sempre (‘faceva divertire tutta la troupe’) pur mantenendo un preciso obiettivo. In generale i grandi registi sono tutti quelli, ha affermato la Streep, capaci di dare fiducia agli artisti con cui lavorano, che sono presenti e vicini agli attori e che sanno renderli felici per quello che stanno facendo”.
Si vocifera di un terzo sequel del film Mamma Mia!. ‘Il mio film blockbuster e pure in tarda età…gli altri della serie li ho fatti per divertirmi e divertire, non pensavo avrebbero avuto tanto successo’.
Metoo e la parità di genere: Don’t Give Up!
Com’è giusto che sia, al Rendez-vous con Meryl Streep viene posta all’attrice la domanda sul Metoo e sulle lotte per la parità di genere: “Non dobbiamo arrenderci (Don’t give up!), non arrendiamoci. I tempi sono certamente cambiati da quando c’era un’unica protagonista femminile in un film pieno di attori maschi e non si pensava possibile un film solo con protagoniste donne…sicuramente è stata segnata una strada verso l’uguaglianza e non solo nel cinema. Prima negli studios, popolati da uomini, era difficile scrivere e produrre film al femminile per un immaginario femminile, mentre noi donne siamo sempre state capaci di metterci nei panni degli altri”. Meryl Streep ricorda che lavoratrici, dirigenti o operaie, sono oggi maggiormente rispettate e che è aumentata e diffusa la solidarietà nel contrasto agli abusi e alle molestie, così come riguardo ai salari, pur non ancora uguali. Rispetto ad anni fa, sono stati fatti obiettivamente dei passi avanti, ‘anche perché – ricorda Meryl – le donne ormai sono leader anche nell’industria e le dirigenti donne stanno facendo la differenza, incidendo sui progetti da realizzare, anche come produttrici e non solo come registe’.
La mitica e incontrastata regina della 77^ edizione del Festival di Cannes, sfinita per le ore piccole e per le tante emozioni della sera prima, si congeda con la dolcezza che le è propria, ringraziando e salutando il pubblico in visibilio, lanciando baci e reiterando un’esortazione rivolta ai giovani, alle donne, all’intero pubblico: “Don’t give up, don’t give up, don’t give up”.