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Bruce Lee: la leggenda del “piccolo drago” di Hong Kong

Un piccolo viaggio alla scoperta della vita e della strepitosa carriera del più grande interprete cinematografico d'arti marziali.

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Bruce Lee

“Se il mio cuore mi dice che ho ragione, andrò avanti anche contro migliaia e decine di migliaia di avversari.”

Due mondi: cinema e arti marziali. Due luoghi: USA e Hong Kong. Nessuno prima di Bruce Lee aveva mai incarnato il senso complementare di queste dicotomie. Simbolo di forza, velocità ed eleganza, il suo nome è divenuto oggi leggenda. Quando lo si pronuncia si ha come l’impressione di essere pervasi da tutta la grandezza di una moderna divinità. D’altronde, la storia della vita di Bruce Lee è così incredibile, che difficilmente a noi “comuni mortali” risulta semplice attribuire a una persona realmente esistita. Eppure lui è esistito, esiste e continuerà per sempre a esistere, come simbolo di un cinema mitico e immortale.

Bruce Lee il bambino dai molteplici nomi

Il legame tra l’America e Bruce Lee sembra essere scritto nel destino dell’attore da ancor prima che questi venisse al mondo. Bruce Lee, infatti, nasce nella Chinatown di San Francisco il 27 novembre del 1940. È il quarto di cinque figli di una coppia di attori teatrali cinesi, in quel momento impegnata in una tournée negli Stati Uniti. Il padre si chiama Lee Hoi Chuen ed è un cantante d’opera cantonese. La madre, Grace Ho, proviene da una famiglia importante in parte di origini europee, da cui è stata emarginata per aver scelto di sposare un giovane artista.

In realtà, il nome con cui Bruce viene battezzato è Lee Jun Fan. Un nome particolare, dal significato quasi premonitore: “colui che torna”. A sceglierlo era stata la madre, che si augurava un ritorno fruttuoso per il figlio negli States.

Bruce è invece il suo nome inglese, che però non verrà mai utilizzato in famiglia, dove in realtà si preferirà affibbiargli soprannomi di ogni genere. Uno rispecchiava le credenze tradizionali cinesi, come “Xiao Feng” (“piccola fenice”), nome femminile che serviva a ingannare gli spiriti maligni che precedentemente si erano già presi la vita di un figlio dei coniugi Lee; un altro, “Xiao Long” (“piccolo drago”) l’anno in cui è nato, quello del Drago, unica figura mitologica del calendario cinese e, per questo motivo, di buon auspicio; un altro ancora “Mo Si Tung” (“quello che non sta mai fermo”) forse tra tutti il più azzeccato, rispecchiava a pieno il suo carattere esuberante e incontenibile.

Nell’aprile del 1941 la famiglia torna con il piccolo Bruce, di appena quattro mesi, a Hong Kong dove il futuro attore vivrà una gioventù tutt’altro che tranquilla e entrerà presto in contatto con il mondo delle arti marziali.

La gioventù turbolenta 

Dopo aver frequentato la scuola elementare cinese, Bruce Lee si iscrive a La Salle College di Hong Kong. Nonostante il suo amore per la cultura e la filosofia, Lee non è uno studente diligente, probabilmente non trova gli stimoli necessari con cui conciliare al meglio lo studio e il suo carattere impetuoso. Indole che, al contrario, gli vale una certa nomea per le strade della grande città. Ad Hong Kong, al tempo ancora colonia inglese, erano soventi le risse tra le bande di giovani inglesi e giovani cantonesi, i cosiddetti teddy boys. Bruce Lee si affilia ad alcune di queste e finisce più volte nei guai, per non essersi tirato indietro di fronte a veri e propri scontri tra gang. Un giorno, nel suo quartiere di appartenenza, Kowloon, Bruce ha la peggio con William Cheung, un teddy boy più grande.

Affascinato dalle abilità combattive dell’avversario, nel 1953 Bruce Lee finisce per essere introdotto dallo stesso Cheung alla scuola di Wing Chun del leggendario maestro Ip Man.

Ip Man e la scuola di Wing Chun

Il Wing Chun è un’arte marziale di difesa personale, una forma particolare di kung fu sviluppatasi nel sud della Cina. Il maestro Ip Man affida Bruce Lee a uno dei suoi pupilli, forse il suo più grande allievo, Wong Shun-leung. Questi gli insegna a padroneggiare una notevole quantità di tecniche e gli impartisce una metodologia di autocontrollo con cui gestirsi al meglio durante i combattimenti. Purtroppo per Lee, la sua esperienza alla corte di Ip Man finisce nel 1958, dopo che alcuni studenti, scoperte le sue origini miste, chiedono la sua espulsione, poiché insegnare arti marziali a chi non era di sangue puro cinese andava contro la tradizione.

Lee continua a prendere lezioni private, ma una zuffa con il figlio di una influente e temuta triade costringe i suoi genitori ad allontanarlo da Hong Kong. Nell’aprile del 1959, diciotto anni dopo essersela lasciata alle spalle, Lee ritorna a San Francisco dove, già da anni, vive la sorella maggiore Agnes.

Il ritorno in America

A San Francisco Bruce Lee non si stabilisce per lungo tempo. Dopo pochi mesi si trasferisce a Seattle dove completa gli studi alla Edison Technical School, per poi iscriversi nel 1961 alla University of Washington. I primi due anni di Lee negli Stati Uniti rivelano tutta la sua lungimiranza e la sua visionarietà nell’ambito delle arti marziali.

Fin dal 1959 inizia a dare lezioni di kung fu, stracciando completamente le regole tradizionali. Prima fra tutte l’esclusività d’insegnamento riservata ai cinesi puri. Accortosi che le discipline marziali giapponesi, Karate e Judo, riscontravano un notevole successo tra la popolazione occidentale, intuisce che la stessa risposta la ci si poteva aspettare anche nei confronti di quelle cinesi. Così a chiunque avesse un animo adatto a impararlo, a prescindere dal colore della pelle o dalla nazionalità, comincia a impartire lezioni di kung fu, o meglio, la sua interpretazione del kung fu, da lui rinominata Jun Fan Kung Fu. La sua filosofia di base era l’ibridazione, sia da un punto di vista dell’insegnamento, che da un punto di vista pratico.

Bruce Lee

Dal 1964 alla teorizzazione del Jeet Kune Do

Il 1964 è un anno cruciale per Lee. Trasferitosi a Oakland, in California si avvicina ad altre discipline, come il Kali, il Judo, il Karate, cercando delle possibili connessioni con il kung-fu. Il percorso verso la teorizzazione della propria dottrina diventa per Lee un’ossessione. Legge un’innumerevole quantità di manuali, si allena costantemente. Una dedizione che ha pochi eguali nella storia recente delle arti marziali, una dedizione che sempre nel 1964 viene coronata da un incontro mitico.

Qui la storia, forse, lascia spazio alla leggenda, poiché, effettivamente, a quell’incontro estremamente riservato parteciparono pochissime persone. Il “duello” in questione è quello che Bruce Lee ebbe con Wong Jack Man. Da un lato la modernità e l’innovazione, dall’altro la tradizione. Come andarono effettivamente le cose nessuno lo sa ancora con precisione. L’unica certezza è che la strada per la scuola di Bruce Lee è ormai spianata. Sempre nel ’64 si rende protagonista di una delle sue apparizioni più famose. Partecipa, come ospite, agli Internazionali di Karate di Long Beach, dove dà prova delle sue innate capacità. Nel ’67, forte di una nomea ormai consolidata in ambito marziale e di anni di studio e pratica, dà vita alla sua personale dottrina-ibrida: il Jeet Kune Do, ovvero, “la via per intercettare il pugno”.

“Il miglior combattente non è un pugile, un karateka o un judoka. Il miglior combattente è qualcuno che si può adeguare a qualsiasi stile di combattimento.”

The Green Hornet: Bruce Lee e la televisione

Il primo discreto successo Bruce Lee lo ottiene grazie alla serie televisiva The Green Hornet. Veste i panni di Kato, autista e assistente del protagonista Britt Reid interpretato da Van Williams. La serie tv traeva ispirazione da una serie radiofonica andata in onda tra gli anni ’30 e gli anni ’50 e le somiglianze con il Batman di Adam West erano evidenti. Non è un caso che Bruce Lee e Van Williams infatti appariranno in tre episodi della serie con protagonista Bruce Wayne.

Bruce Lee

A scritturare Bruce Lee per il ruolo di Kato è il produttore esecutivo William Dozier, consigliato a sua volta da Jay Sebring, parrucchiere delle star hollywoodiane dalle dritte notoriamente apprezzate. Jay Sebring, che, assieme a Sharon Tate, rimarrà vittima dell’efferato eccidio compiuto dalla famiglia Manson, aveva avuto l’onore di conoscere Lee agli Internazionali di Karate di Long Beach del 1964. Impressionato dalle sue doti atletiche e dall’eleganza delle sue tecniche, non ebbe il minimo dubbio su quale poteva essere la star perfetta che Dozier stava cercando da tempo. Nonostante la serie fosse stata cancellata dopo una sola stagione di 26 episodi, Bruce Lee rivoluzionò completamente il modo di concepire le arti marziali sullo schermo. Gli Americani non avevano mai visto scene di combattimento riprodotte con tale realismo.

Bruce Lee proseguirà con qualche ruolo sporadico in serie tv nate negli anni ‘60, tra cui Ironside, Blondie e, soprattutto, in Longstreet nella parte dell’istruttore di arti marziali. Nel ’71 Lee stesso partecipa all’ideazione di una serie, The Warrior. Tuttavia l’idea verrà fatta propria dalla Warner Bros, il nome cambiato in Kung Fu e il main character affidato a un giovanissimo David Carradine.

Hollywood e le speranze malriposte

Bruce Lee, spinto dall’ambizione, negli stessi anni che lo vedono esplorare il mondo della televisione decide di tentare la fortuna a Hollywood. Sa che se vuole il vero successo è lì che deve cercarlo. Lee un passato d’attore per il grande schermo già ce l’ha. Essendo figlio d’arte, in patria, a Hong Kong, debutta già da bambino e ha all’attivo un considerevole numero di pellicole per la sua giovane età. Nessuna ovviamente gli ha garantito la fama, ma l’esperienza sicuramente non gli manca. Nel 1969, armato della sua solita forza d’animo, riesce a ottenere un ruolo di supporto ne L’investigatore Marlowe di Paul Bogart. Tuttavia, la speranza, che fino a quel momento aveva caratterizzato la sua visione del mondo, dovrà presto scontrarsi con la dura realtà dei fatti.

Bruce Lee

A Hollywood aleggia ancora una mentalità razzista non solo nei confronti degli afroamericani, ma anche degli asiatici. Episodi di yellow-face sono all’ordine del giorno. Il più eclatante tra tutti è senza ombra di dubbio quello di Mickey Rooney in Colazione da Tiffany di Blake Edwards. Bruce Lee non ottiene ciò che sperava. In due pellicole, Passeggiata sotto la pioggia di primavera (1970) di Guy Green, come nel precedente Bacioni Matt Helm (1968) di Phil Karlson, ricopre il ruolo di direttore/coreografo d’azione, ma niente di più. Continua a insegnare arti marziali a molte star, tra cui Steve McQueen, del quale diventerà grande amico, ma la delusione è troppa. Vedendo le proprie aspettative crollare una dopo l’altra, Bruce Lee decide di tornare a Hong Kong.

Back to Hong Kong: la consacrazione a star

Inconsapevole del grande successo di The Green Hornet a Hong Kong, Lee viene accolto come una star. Poter vedere in una produzione americana il volto di un connazionale aveva riempito d’orgoglio la città, al punto che la serie-tv era conosciuta, in vie non ufficiali, come “The Kato Show”. L’inaspettata fama gli garantisce un immediato contratto per l’appena fondata Golden Harvest, una delle case di produzione che dominerà il mercato honkonghese tra gli anni ’70 e gli anni ’80, con la quale si impegna a realizzare due film da protagonista. Il successo delle pellicole sarà tale da consacrarlo a star.

I film che Lee è riuscito a completare prima della prematura morte e che lo hanno consacrato agli occhi degli spettatori di tutto il mondo sono: The Big Boss, Fist of Fury, Way of the Dragon e Enter the Dragon. Oltre a quelle contenutistiche, una delle costanti che accomuneranno questi quattro film, è il superamento da parte di ogni pellicola del successo della precedente, garantendo a Bruce Lee di incidere indelebilmente il proprio nome nella Storia del Cinema.

 

1971: The Big Boss (Il furore della Cina colpisce ancora)

“Mi vendicherò! Mi vendicherò! Mi vendicherò!”

Il primo lungometraggio, targato Golden Harvest, che vede Bruce Lee protagonista è del 1971 e si intitola The Big Boss. In Italia uscì nell’anno seguente con il titolo Il furore della Cina colpisce ancora.

The Big Boss sbanca letteralmente al botteghino e stracciando ogni record diventa il più grande successo nella storia del Cinema di Hong Kong. La sua corsa è inarrestabile. Bruce Lee invade le sale di Singapore e del resto dell’Asia. I dati parlano chiaro: a fronte di un budget iniziale di $100.000 il film negli anni a venire ne incasserà complessivamente circa $50.000.000 (circa $400.000.000 odierni), cinquecento volte la somma investita.

La trama è essenziale: Cheng, un giovane emigrato cinese, inizia a lavorare in una fabbrica di ghiaccio a Bangkok. Quando alcuni operai cominciano a scomparire nel nulla, tra i lavoratori si diffonde il malcontento. La verità è che il proprietario dell’azienda è coinvolto nel traffico della droga e sta eliminando uno per uno tutti coloro i quali vengono a conoscenza del suo segreto. Cheng si erge così a paladino in nome della giustizia e in difesa degli operai, sfidando i nemici che incontra per la strada a colpi di kung fu.

A dirigere il film c’è Lo Wei, un regista senza infamia e senza lode, ma che conosce il proprio mestiere. Lo Wei sa come far funzionare un lungometraggio con gli elementi di cui può disporre e, soprattutto, sa come accontentare il pubblico. Il centro assoluto del film deve essere Bruce Lee, che opera anche nel ruolo di consulente per le scene d’azione. Il risultato è semplice, ma decisamente efficace: The Big Boss colpisce nel segno. Nel cinema non si era mai visto qualcuno padroneggiare con una simile eleganza, tecnica, forza e velocità un’arte marziale.

1972: Fist of Fury (Dalla Cina con furore)

“In Cina ce ne sono migliaia come me: lasciate in pace la nostra scuola!”

Cronologicamente Fist of Fury è la seconda opera, recante il sigillo della Golden Harvest, con Bruce Lee protagonista, ma è la prima a essere distribuita in occidente e, quindi, a rendere celebre il volto dell’attore in tutto il mondo. La regia porta sempre il nome di Lo Wei, che, questa volta, entrò più volte in conflitto con Lee. Le motivazioni non sono ancora oggi chiare. Resta il fatto che, rispetto al precedente The Big Boss, il cammino per portare a compimento Fist of Fury fu più complicato.

Traendo liberamente ispirazione dalla reale storia del maestro d’arti marziali Huo Yanjia, morto in circostanze misteriose nel 1910, il film narra le gesta di Chen Jeh. Praticante di arte marziali e allievo diligente, Chen decide di vendicare la morte per avvelenamento del proprio maestro. I primi sospettati sono i membri di una scuola giapponese di karate sui quali Chen si scaglierà senza alcuna esitazione, per rendere onore al proprio mentore.

Dopo la visione di questo cult, c’è chi paragona Bruce Lee al Fred Astaire delle arti marziali e il dinamismo delle scene d’azione all’energia e alla vivacità del cinema muto. Bruce Lee incanta uomini, ma anche donne, per il suo stile violento e al contempo composto. In un certo senso il suo Chen sembra quasi la proiezione stessa del suo modo di essere nella vita reale. È un eroe assoluto che nel compiere le proprie scelte stravolge le regole scritte e le regole non-scritte delle arti marziali. Negando l’umiltà e la tolleranza che portano alla passività, agisce d’impulso, prendendo una posizione chiara in difesa di chi subisce ingiustamente. Fist of Fury supera ogni aspettativa e riesce a superare gli incassi di The Big Boss a Hong Kong, decretando un nuovo record.

Bruce Lee

1972: The Way of the Dragon (L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente)

“Vi interessa il Kung-Fu? Sono qui per insegnarvelo!”

Le dicerie sull’incrinarsi del rapporto tra Bruce Lee e Lo Wei sono vere. Infatti, il breve sodalizio si scioglie non appena Fist of Fury viene distribuito nelle sale. Bruce Lee, però, consapevole delle proprie potenzialità, non solo marziali e attoriali, ma anche economiche, ha un intuizione. Nello stesso anno, assieme a Raymond Chow, padre della Golden Harvest, fonda una casa di produzione, la Concord Production Inc., e finanzia il suo primo film: The Way of the Dragon. Bruce Lee ha il completo controllo sulla pellicola: è regista, protagonista e in fase di produzione, con la Concord, gestisce gli aspetti amministrativi mentre Raymond Chow si occupa della distribuzione.

Il film è girato in pochissimo tempo a Roma, dove è anche ambientato. La trama segue Tang Lung che, giunto nella capitale italiana, aiuta alcuni amici nel gestire un ristorante minacciato da una gang criminale. Per difendere il ristorante, Tang Lung affronta i membri della banda in una serie di scontri. La storia culmina in un epico duello finale, il più celebre combattimento di arti marziali della storia del cinema: quello tra Tang Lung, Bruce Lee, e Colt, interpretato da Chuck Norris al suo debutto. Norris e Lee si erano conosciuti al All-American-Karate-Championship del 1968.

Con l’uscita nelle sale del film, Bruce Lee, per l’ennesima volta, riesce a surclassare il proprio record precedente. The Way of the Dragon diventa il maggiore incasso della storia ai botteghini di Hong Kong. Nonostante questo, Lee è restio a distribuire il film in Occidente, ritiene che l’opera abbia ancora degli aspetti che andrebbero migliorati. The Way of the Dragon difatti verrà venduto da Raymond Chow ai mercati europei e nordamericani solo dopo la morte di Bruce Lee, dove verrà distribuito solo a partire dal 1974.

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1973, ultimo atto: Enter the Dragon (I tre dell’Operazione Drago)

“Non distogliere mai gli occhi dal tuo avversario, anche quando ti inchini.”

Il 1973 è l’anno di Enter the Dragon, film quasi interamente girato su un isolotto di Hong Kong e prima pellicola con protagonista Bruce Lee, pensata fin dall’inizio sia per il mercato orientale che per quello occidentale. Enter the Dragon è frutto di una co-produzione tra la Concord Production di Bruce Lee, la Golden Harvest di Raymond Chow e la Warner Bros. Il budget a disposizione è incredibilmente superiore ai fondi che generalmente le case di produzione honkonghesi stanziavano per i gonfupian (film di Kung Fu). Se tendenzialmente questo genere di opere cinematografiche poteva fare leva su somme che si aggiravano attorno ai $100.000, questa volta Bruce Lee ne ha a disposizione $850.000.

Quello che cambia infatti rispetto ai precedenti film è l’evidente cura dell’ambiente e delle riprese. Bruce Lee, inoltre, torna a concentrarsi esclusivamente sulla propria performance e sulle coreografie d’azione, superando sé stesso. Non è un caso che molti lo considerino il suo film migliore e che nel 2004 sia stato scelto per essere conservato nella National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

La trama ruota attorno a Lee, reclutato da un agente dell’intelligence britannica per infiltrarsi in un torneo di arti marziali organizzato da un signore del crimine di nome Han. Al fine di raccogliere prove per abbattere l’impero criminale di Han, Lee incontra vari avversari e si impegna in intense battaglie di arti marziali, mostrando le sue incredibili abilità.

Il film sfrutta da un lato il crescente interesse per i film d’azione provenienti dall’Oriente e dall’altro la fortuna di altri filoni, come quelli di spionaggio. Enter the Dragon ottiene un incredibile successo in Occidente. Un trionfo a cui, purtroppo, Bruce Lee non potrà assistere, perché muore prematuramente, prima che il film esca nelle sale di tutto il mondo.

Bruce Lee

20 luglio 1973: la tragedia e le speculazioni

Sera del 20 luglio 1973, Hong Kong. Bruce Lee è a casa di Betty Ting Pei, attrice e produttrice cinematografica. È arrivato assieme al socio Raymond Chow, che, nel frattempo, ha lasciato l’abitazione per precederli al ristorante Miramar, dove li attende l’attore australiano George Lazenby. Lee inizia a lamentare una forte emicrania. Pochi mesi prima negli studi della Golden Harvest era stato colto da un preoccupante attacco di vomito, febbre e convulsioni, causato da un edema celebrale. Decide di riposarsi, ma prima di distendersi assume una pastiglia di Equagesic datagli da Betty, contenente aspirina e meprobamato. Chiude gli occhi, nella speranza che il dolore passi. Si addormenta, ma non si risveglia più.

Alla morte di Bruce Lee seguirono notevoli speculazioni. Ufficialmente la causa venne identificata in una reazione allergica al meprobamato contenuto nel medicinale, ma molte persone vicino a Lee e seguaci parlarono di omicidio. Il campione di karate e amico Mike Anderson parlò addirittura dell’utilizzo di un veleno erboristico orientale che non avrebbe lasciato traccia nell’autopsia. I motivi che, secondo chi la sosteneva, avrebbero avvalorato la tesi di un omicidio, andavano ricercati nel rapporto tra Lee e il socio Raymond Chow che ai tempi non era dei migliori e che si era incrinato per motivi economici. Altri puntarono il dito verso Betty Ting Pei, altri ancora riesumarono il nome di Lo Wei, entrambi notoriamente in contatto con le triadi cinesi.

Fino ai giorni nostri, medici e ricercatori hanno optato per altre motivazioni, più scientifiche, attribuendo la morte di Bruce Lee ad altre cause patologiche, come una disfunzione renale acuta non diagnosticata o complicanze dovute alle ripetute percosse subite negli incontri. A posteriori, ovviamente, sono tutte considerazioni che trovano il tempo che trovano. Bruce Lee muore a 32 anni, ma il suo nome rimane ancora oggi sinonimo di leggenda.

Bruce Lee: la vita privata

La vita privata di Bruce Lee è segnata dall’incontro con Linda Emery con la quale convola a nozze il 17 agosto del 1964. La moglie che curerà le memorie del marito anche dopo la sua morte, darà alla luce gli unici due figli di Bruce: Brandon e Shannon. Entrambi seguiranno le orme del padre, ma è il secondo a entrare tragicamente nell’immaginario collettivo. Esattamente vent’anni dopo la morte di Bruce anche Brandon andrà incontro allo stesso nefasto destino. Il 31 marzo del 1993, a quasi vent’anni dalla scomparsa del padre, troverà la morte sul set del film di culto Il corvo (The Raven, 1994), colpito involontariamente da un colpo di pistola. Della carriera di Brandon ve ne abbiamo parlato qui.

Bruce Lee

Post-mortem: Bruce Lee la “piccola fenice”

Fa quasi sorridere pensare che uno dei soprannomi con cui Bruce Lee era conosciuto fin da piccolo fosse proprio “piccola fenice”. Sì, perché alla fine Bruce Lee è come se fosse stato veramente una piccola fenice. Immortale, capace di risorgere costantemente dalle proprie amare ceneri.

Il vero apice del successo Bruce Lee non lo raggiunge da vivo, sarebbe disonesto affermare il contrario. Dopo la sua morte, il suo nome non ha seguito la stessa sorte e la sua fama non ha mai smesso di crescere.

Come spesso accade in questi casi, la morte prematura di un personaggio molto conosciuto ne amplifica la risonanza. Gli crea attorno una sorta di macabra aura di fascino, acuendo l’interesse del pubblico nei suoi confronti. Non solo alcuni suoi film vengono distribuiti per la prima volta in occidente solo dopo la sua scomparsa, come The Way of the Dragon e Enter the Dragon, ma tutte le sue opere, anche quelle che già oltrepassarono i confini dell’estremo oriente, sono oggetto di continue ridistribuzioni per anni e anni dopo la sua dipartita, al punto che i profitti generati sono enormi.

Secondo i dati a oggi disponibili, negli anni ’70, a fronte di un budget complessivo di circa $1.180.000, gli incassi complessivi dei quattro film che Bruce Lee riuscì a completare da protagonista arrivarono quasi $700.000.000 (pari a circa $4.000.000.000 odierni). Non c’è da stupirsi che, secondo le testimonianze di chi ha vissuto quel periodo, pochissimi divi del cinema avevano potuto vantare una fama mondiale al pari di Bruce Lee, forse solo Marilyn Monroe.

Tra materiale d’archivio e “Bruceploitation”

La morte prematura di Bruce Lee non ha fatto di lui una breve meteora di passaggio, ma piuttosto una stella cometa dalla luce imperitura.

Subito dopo la sua dipartita, il suo volto ha continuato letteralmente ad apparire in nuove produzioni. Attraverso materiale d’archivio sono stati girati documentari e anche veri e propri film che utilizzavano scene girate dallo stesso Lee. Il più famoso tra questi titoli è The Game of Death (L’ultimo combattimento di Chen) del 1978. La pellicola usa l’escamotage dei “tre sosia” per completare le sequenze mancanti che Bruce Lee non riuscì a completare da vivo. Inoltre, il film è noto anche per la partecipazione del celebre cestista Kareem Abdul-Jabar nel ruolo dell’antagonista Hakim.

Durante gli anni ’70 prese il via anche un fenomeno conosciuto come “Bruceploitation” che porterà alla luce un’innumerevole quantità di sequel apocrifi e opere a esso ispirate. E sarà proprio uno dei volti più noti della storia del cinema di Hong Kong a impersonificare una sorta di “nuovo Bruce Lee”: Jackie Chan, che in diversi film di Lee ricoprì il ruolo di comparsa e stuntman.

Bruce Lee: un’eredità inestimabile

Bruce Lee è stato in grado di sviluppare e far comunicare trasversalmente le arti marziali cinesi con il mondo del cinema e con la cultura occidentale come mai nessuno prima e, forse, come mai nessuno dopo. Una figura immensa, a volte anche scomoda, che non ha mai smesso di affascinare generazioni di attori e di combattenti. Jackie Chan, Sammo Hung, Scott Adkins, Chuck Norris, Van Damme, sono solo alcune delle personalità che in Bruce Lee hanno riconosciuto un mentore. Se esisteva un cinema prima di Bruce Lee è anche vero che senza di lui il cinema a venire non sarebbe mai stato lo stesso.

“Siamo sempre nel processo del divenire e nulla è fissato.”

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