Approfondimento
Daniel Day-Lewis: la maniacalità di un interprete perfetto
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10 mesi agoon
Daniel Day-Lewis è l’attore con il maggior numero di Oscar vinti nella storia dell’Academy (ben tre 1990, 2008, 2013). La sua preparazione per un film non dura mesi, ma anni, da qui le poche pellicole in filmografia. Qualsiasi professione interpreti, dal pugile al sarto, Day-Lewis deve essere in grado di svolgerla con competenza. Non esiste finzione nel suo metodo.
“Se nulla vi sorprende, nulla in voi è sorprendente!”
Daniel Day-Lewis: l’infanzia in una famiglia di creativi
Il 29 aprile 1957 nasce nella fredda e piovosa Londra Sir Daniel Michael Blake Day-Lewis, noto semplicemente come Daniel Day-Lewis. Il padre è Cecil Day Lewis, un poeta e scrittore inglese di origine irlandese (famoso soprattutto per i suoi romanzi polizieschi firmati con lo pseudonimo Nicolas Blake). La madre è Jill Balcon, un’attrice teatrale inglese nata da una famiglia ebraica di origini lettoni e polacche. E’ inoltre nipote del produttore degli Ealing Studios, Sir Michael Balcon.
Ha due fratelli e una sorella, Tamasin, conduttrice e documentarista televisiva di successo, tutti e tre di età maggiore. Dopo la morte del padre nel 1972 per un tumore al pancreas e il trasloco a Greenwich, viene bullizzato per via della religione ebrea dai suoi coetanei. Tutto ciò favorisce il manifestarsi nel giovane Daniel di un comportamento ribelle al limite della piccola criminalità; si caccia, infatti, spesso nei guai per via di piccoli crimini.
Studia prima nel Kent (contea a sud-est di Londra) alla Sevenoaks School, dove incorre in alcuni problemi con la disciplina del posto. La Sevenoaks, infatti, è la più antica scuola del Regno Unito e le sue regole e tradizioni non possono che essere in contrasto con la personalità talentuosa ma individualista di Lewis. In seguito studia a Londra alla Bedales School, in cui trova un luogo più adatto alle sue esigenze.
Daniel Day-Lewis in ‘Ghandi’ (1982).
L’amore per il teatro e le prime esperienze nel cinema
Il suo essere fuori dagli schemi durante la giovinezza vale a Daniel Day-Lewis una piccolissima parte non accreditata in Domenica, maledetta domenica (1971), dove interpreta un giovane vandalo. Incuriosito dal mestiere d’attore continua questa strada e negli anni ’70 e nei primi anni ’80 si dedica solo al teatro recitando con la Bristol Old Vic Theater Company, la Royal Shakespeare Company e il Royal National Theater.
Il suo primo amore è quindi quello per il teatro, cercando di seguire le ombre materne. Nei successivi vent’anni, infatti, recita soprattutto in ruoli introspettivi e camaleontici che gli permettono di affinare le sue doti attoriali. Durante questa esperienza interpreta anche alcuni piccole parti in film importanti come il kolossal Gandhi (1982) di Richard Attenborough e Bounty (1984) di Roger Donaldson, al fianco di Anthony Hopkins e Mel Gibson. Segue Another Country di Marek Kanievska, sempre del 1984.
Il suo talento, però, non riesce a liberarsi completamente e la sua recitazione non supera il confine di pochi fan e di qualche critico. Una forte popolarità arriva con due ruoli che ne rivelano subito l’eclettismo: il punk gay razzista dell’antitatcheriano My Beautiful Laundrette di Stephen Frears e il rigido Cecilio, corteggiatore di Helena Bonham-Carter nell’aristocratico ma pungente Camera con vista (1985) di James Ivory.
“Non c’è niente di più bello in ogni arte di qualcosa che appaia semplice. E se si cerca di fare qualsiasi dannata cosa nella vita, ci si rende conto di come sia impossibile ottenere questa semplicità priva di sforzo.”
Daniel Day-Lewis in ‘Camera con vista’ (1985).
La crescente popolarità dell’uomo dai mille volti
Gli anni che vanno dal 1986 al 1989 sono per Daniel Day-Lewis sintomo di una crescente notorietà, ma al tempo stesso di molto lavoro, sforzo fisico e psicologico. Sul fronte teatrale, dopo una breve pausa, accede come membro della Royal Shakespeare Company, iniziando a interpretare le pièces del drammaturgo di Stratford-upon-Avon. Si mette in luce agli occhi di pubblico e critica anche grazie ad un ruolo secondario nel film Nanou (1986), una piccola co-produzione che vede coinvolte Francia e Gran Bretagna.
Due anni più tardi è il protagonista di L’insostenibile leggerezza dell’essere (1988), diretto dal regista Philip Kaufman e liberamente tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore ceco Milan Kundera. Daniel interpreta Tomáš, un facoltoso neurochirurgo che conduce una vita da impenitente dongiovanni durante la cosiddetta Primavera di Praga, interrotta dall’invasione anti-socialista del Patto di Varsavia.
“Vedo moltissimi film. Amo vedere i film come spettatore, e non c’è mai conflitto con quella parte di me che fa il lavoro di attore. Adoro andare al cinema.”
È in questo periodo di crescente popolarità che Day-Lewis e altri giovani attori britannici dell’epoca, come Gary Oldman, Colin Firth, Tim Roth e Bruce Payne, furono soprannominati “Brit Pack” (letteralmente “branco di britannici”). Dopo aver interpretato un perito per un mercante d’arte in Un gentlemen a New York (1988), è un dentista che lavora a bordo di una motocicletta lungo tutta l’Argentina nel film Fergus O’Connell – Dentista in Patagonia (1989).
Daniel Day-Lewis e Mirjana Jokovic in Fergus O’Connell – Dentista in Patagonia (1989).
Il mio piede sinistro e la vita di Christy Brown
Christy Brown è uno scrittore e pittore irlandese, nato con un handicap fisico molto grave: l’unica parte del corpo di cui possiede ogni funzione è il piede sinistro. Nel 1989 Daniel Day-Lewis ottiene l’Oscar come “miglior attore protagonista“, trionfando assieme alla co-protagonista Brenda Fricker, vincitrice della statuetta come “miglior attrice non protagonista“.
Opera prima del regista irlandese Jim Sheridan, la pellicola viene accolta con plauso generale da pubblico e critica. Ambientato a Dublino nella prima metà del ‘900, il film mostra fin da subito gli iniziali pregiudizi delle persone che vivono intorno a Christy. In particolare quelli della sua famiglia, che si riferisce alla sua condizione fisica come ad un ritardo mentale.
Il mio piede sinistro è un film inquieto e malinconico che racconta la reale biografia di un uomo che ha saputo costruirsi il proprio posto nel mondo attraverso la propria determinazione e profondità umana. Daniel combatte i preconcetti di una società retrograda come se lo riguardassero personalmente, immedesimandosi nella parte al punto da imparare a scrivere davvero con il suo piede sinistro.
“Mi ci è voluto un po’ di tempo per abituarmi all’Oscar e non sono l’unico a cui è successo, perché crea una tale confusione nella tua testa! Il problema è riuscire ad isolare l’immagine di sé in relazione con il mondo, così ho deciso di cogliere l’opportunità per starmene un po’ per conto mio. Comunque è vero: un Oscar ti cambia la vita, eccome! E ti dà un sacco di opportunità.”
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Daniel Day-Lewis in ‘Il mio piede sinistro’ (1989).
Gli anni ’90: sotto l’occhio onnisciente dei riflettori
A discapito del suo carattere molto riservato, la popolarità raggiunta e la travagliata relazione con l’attrice francese Isabelle Adjani, madre del suo primo figlio, lo portano sulle pagine di tutti i rotocalchi. Daniel Day-Lewis però cerca la concentrazione e i luoghi appartati. Non vive a Los Angeles o a Londra ma si ritira in campagna rifiutando la miriade di proposte che gli arrivano dopo la vittoria dell’Oscar.
Nel 1989 è al National Theatre di Londra con Amleto. Nel corso della rappresentazione ha un crollo psicologico, molto probabilmente causato da un accumulo di stress e viene sostituito da Jeremy Northam. Da questo momento in poi chiude definitivamente con il teatro e si trasferisce in Irlanda per essere circondato da un ambiente più quieto.
“Fin da quando avevo 12 anni ho provato interesse per la recitazione e all’epoca, ogni cosa oltre il teatro era in ombra. Quando ho iniziato era una questione di salvezza. Ora voglio esplorare il mondo in modo diverso.”
Dopo 3 anni lontano dalle scene ritorna in grande stile con L’ultimo dei Mohicani (1992), scritto e diretto da Michael Mann (Heat – La sfida). Il film è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 1826 scritto da James Fenimore Cooper, già trasposto nel 1920 e col film Il re dei pellirosse del 1936. Il personaggio di Occhio di Falco è un mito per i cinefili di tutto il mondo e Day-Lewis può finalmente assicurarsi un posto d’onore nella lista degli attori più amati.
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Successivamente prende parte nello straordinario affresco di Martin Scorsese L’età dell’innocenza (1993), dove è un facoltoso avvocato che si invaghisce della contessa (Michelle Pfeiffer). In seguito abbandona il cinema delle mega-produzioni per ritornare ad una storia low budget come il toccante Nel nome del padre del vecchio amico Jim Sheridan. La sua sofferente interpretazione di martire dell’indipendenza irlandese gli vale una nominations all’Oscar, battuto però da Tom Hanks per Philadelphia.
Daniel Day-Lewis e Michelle Pfeiffer in ‘L’età dell’innocenza’ (1993).
Come Daniel Day-Lewis divenne un apprendista calzolaio
Nel 1996 il lavoro per Daniel Day-Lewis continua imperterrito. Collabora con il regista Nicholas Hytner nel drammatico La seduzione del male, sua seconda opera dietro la macchina da presa. Tratto dall’opera di Arthur Miller Il crogiuolo, l’opera fu un insuccesso clamoroso al botteghino nonostante l’ottima accoglienza da parte della critica. Sul set Day-Lewis ha conosciuto la figlia di Miller, Rebecca, che è diventata sua moglie nel novembre del 1996. La coppia ha due figli: Ronan Cal e Cashel Blake, nati rispettivamente nel 1998 e 2002.
L’anno successivo il regista Jim Sheridan lo coinvolge per la terza volta nel suo prossimo film: The Boxer (1997). Daniel interpreta l’ex pugile irlandese e membro della Provisional IRA Danny Flynn, il quale torna a casa a Belfast dopo avere scontato 14 anni di carcere. Day-Lewis riceve una candidatura al Golden Globe come “miglior attore protagonista” nella sezione drammatica, senza aggiudicarsi la statuetta.
Stanco di una vita tra lusso e sfarzo, conseguenza dovuta al successo hollywoodiano, Daniel decide di concedersi un periodo di serenità e riposo. Sente il bisogno di tornare con i piedi per terra, sporcarsi le mani ed impegnarsi in qualcosa di concreto e soprattutto faticoso. Così si ritira per quattro anni a Firenze, dove trova casa in piazza Santo Spirito e si fa assumere come apprendista calzolaio dal suo caro amico Stefano Bemer, artigiano famosissimo.
“Non si può mai completamente puntare il dito sulla ragione per la quale si è improvvisamente, inspiegabilmente costretti a esplorare una vita piuttosto che un’altra.”
Il tanto atteso ritorno sulle scene
Sarà solo grazie al lavoro di mediazione di Martin Scorsese che Daniel Day-Lewis prende di nuovo parte a un film come protagonista. Questa volta in Gangs of New York (2002), ispirato da un trattato del 1928 sulle varie gang armate che popolavano il quartiere newyorkese dei Five Points nel XIX secolo. Frutto di una lavorazione quanto mai travagliata, la pellicola viene ultimata dopo tre lunghi anni di lavoro. L’interpretazione di Bill il Macellaio consente a Daniel per la terza volta di essere candidato al premio Oscar, di nuovo come protagonista, ma senza vincerlo.
“Essere al centro di un film è un peso che si assume con innocenza la prima volta. In seguito, lo si prende con trepidazione.”
La storia di Jack e Rose (2005) è il terzo film scritto e diretto da Rebecca Miller, qui nelle vesti di regista accanto a suo marito Day-Lewis, protagonista della pellicola. Quest’ultima racconta dell’amore padre-figlia e del difficile integrarsi di quest’ultimi con il mondo esterno, poichè fino ad allora emarginati in un’isoletta al largo della costa canadese. Per meglio immedesimarsi nella parte Daniel, durante le riprese nell’isola Prince Edwards, ha preferito vivere separato dalla moglie e dai figli, in un cottage distante dal resto della troupe.
Una scena di ‘Gangs of New York’ (2002).
Il petroliere e il personaggio di Daniel Plainview
Quando Il Petroliere esce nelle sale di tutto il mondo nel dicembre 2007 è subito un successo indiscusso. La pellicola permette a Paul Thomas Anderson di consacrarsi tra i migliori registi della sua generazione. Ai premi Oscar 2008 viene candidata per un totale di otto nomination, vincendo quelle per il “miglior attore protagonista” e per la “miglior fotografia“. La performance di Daniel Day-Lewis è universalmente considerata tra le più complesse ed intense della storia del cinema.
“Quando comincio a recitare, non conosco un orizzonte, non so dove mi porterà: questo incute un certo timore, ma non ci si può sottrarre.”
Attraverso uno spettacolo tecnico impressionante, coordinato come da un minuzioso direttore d’orchestra, il film racconta l’ascesa economica di Daniel Plainview, cercatore di petrolio, descritto in tutta la sua travolgente ambizione. Un viaggio agli inferi dell’avidità e della sopraffazione, ma anche uno scontro disumano tra due rappresentanti della cultura americana: il capitalista Plainview contro l’evangelista Eli Sunday (Paul Dano). Entrambi corrotti e corruttori, spinti al compromesso soltanto per reciproca convenienza, ma che finiranno per divorarsi e umiliarsi.
Anderson segue una struttura filmica classica e magniloquente ma, nello stesso tempo, personalissima e anticonvenzionale. Riesce così a toccare in maniera profonda temi universalmente complessi come la ferocia della natura umana, il capitalismo, la religione, l’ottimismo e l’ossessione. Il connubio tra sonoro e visivo è devastante. La colonna sonora nervosa e sincopata, fatta di incessanti dissonanze, è firmata dall’ormai fedelissimo Jonny Greenwood.
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Daniel Day-Lewis in ‘Il Petroliere’ (2007).
Il terzo Oscar e il ritiro dal mondo del cinema
Nel 2009 Daniel Day-Lewis è protagonista del musical Nine, di Rob Marshall, ispirato all’omonimo musical di Broadway, tratto da una piece del commediografo aquilano residente a New York Mario Fratti. Quest’ultimo si rifà a sua volta a 8½ di Federico Fellini. L’attore veste i panni di Guido Contini, un regista in crisi creativa, alter ego di Fellini. La storia ruota intorno al rapporto con le donne della sua vita. Del cast fanno parte Penélope Cruz, Marion Cotillard, Judi Dench, Nicole Kidman e Sophia Loren.
Nel 2013 vince il suo terzo Oscar come “migliore attore protagonista” in Lincoln di Steven Spielberg. La pellicola, adattamento cinematografico del libro Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln di Doris Kearns Goodwin, racconta gli ultimi mesi di vita di Abraham Lincoln. Per questo ruolo Day-Lewis ha ricevuto anche il suo secondo Golden Globe come “miglior attore drammatico“, e il quarto premio BAFTA.
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Dopo quattro anni lontano dai set, torna a recitare nuovamente in un film di Paul Thomas Anderson: Il filo nascosto (2017). Ambientato nel mondo della moda della Londra degli anni Cinquanta dove il rinomato stilista Reynolds Woodcock passa tra le migliori clienti dell’aristocrazia e della borghesia europea. La pellicola ottiene 6 candidature ai premi Oscar 2018, aggiudicandosi la statuetta per i “migliori costumi“.
Prima dell’uscita della pellicola Daniel Day-Lewis annuncia in modo definitivo il suo ritiro dal mondo del cinema.
“Prima di girare non sapevo che avrei smesso di recitare. So che io e Paul abbiamo riso molto prima di realizzarlo. E poi ci siamo fermati perché siamo stati entrambi colti da una profonda tristezza. Ci ha sorpreso: non ci eravamo resi conto di quello che avevamo fatto. Era difficile conviverci. E lo è tuttora.”
Daniel Day-Lewis in ‘Lincoln’ (2012).
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