Demba, il film di Mamadou Dia, già presentato alla Berlinale 2024, partecipa alla trentatreesima edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, nel concorso lungometraggi Finestre sul mondo.
È una produzione di Senegal, Germania e Qatar. Distribuito da The Party Film Sales.
Cast: Awa Djiga Kane, Aicha Talla, Saikou Lo, Ben Mahomoud Mbow.
‘Demba’ La trama ufficiale del film
Demba sta per andare in pensione dopo trent’anni di servizio presso il municipio della sua cittadina, nel nord del Senegal. Mentre si avvicina il secondo anniversario della morte di sua moglie, si rende conto che non riesce proprio a ‘venirne fuori’. Mentre la sua salute mentale peggiora, scopre una nuova connessione con il figlio, un tempo estraneo. Riuscirà Demba a riprendersi dalla perdita senza perdere sé stesso?
Demba, Il personaggio
Di questo film rimane a lungo in mente l’immagine dell’avvilimento di Demba (Ben Mahmoud Mbow) che cammina nelle strade polverose dal posto di lavoro a casa, da casa al posto di lavoro. Il suo profilo. Quell’andare lento da destra a sinistra, da sinistra destra: cambia la direzione, cambia per noi il lato di questo uomo così stanco, ma la sua desolazione e il paesaggio sono gli stessi. Di una monotonia sfibrante. Porta con sé, Demba, una borsa da cui non si separa mai, come se andasse a sbrigare chissà quali importantissime faccende. In realtà, sta per essere licenziato a un passo dalla pensione. La digitalizzazione ha i suoi costi e il primo prezzo da pagare è il posto di Demba.
La scena che rimane più impressa del film. Foto ufficiale di The Party Film Sales
La perdita del lavoro, mentre ancora non ha elaborato il lutto per la moglie, non è assolutamente sostenibile. Dolore, brutto carattere, confusione mentale….. cosa pesa di più sulle sue giornate? Per noi è difficile capirlo, com’è difficile capire chiaramente parecchi elementi della sua storia, e soprattutto del suo presente.
Le sue relazioni non facilmente comprensibili
A un certo punto, compare una donna. È colei che lo nutre (gestisce un ristorante) e il debito di Demba nei suoi confronti sale sempre più. Sembra che lei abbia la pazienza di aspettare che, oltre a pagare i pasti, elabori anche il lutto. Poi, lo fa inseguire da due ragazzotti dopo che si è alzato da tavola ancora una volta senza pagare. In una scena successiva lei ridiventa disponibile. Ma perché?
Il rapporto con il figlio Bajjo (Mamadou Syla) è tesissimo. Bajjo ha molto da rimproverare al padre, che in alcuni momenti diventa addirittura violento. E, nonostante il ruolo facilitatrice di Oumy (Aiche Talla), la sua ragazza, ci vuole davvero tanto perché padre figlio si riappacifichino.
Alcune relazioni di Demba ci appaiono incomprensibili. Così come alcuni dei suoi comportamenti. soprattutto dopo la parte introduttiva. Tutto si fa sempre più opaco e oscuro a mano a mano che ci si avvicina alla conclusione.
Le scene si fanno meno luminose e più sfocate. Foto da The Party Film Sales
Simboli e nebbie
Qualche simbolo non spiegato e inspiegabile, e qualche scena incoerente, se pure giustificati dalla confusone mentale di Demba, rendono la narrazione ambigua. Il passato non è chiaro: le azioni che ricorda di aver compiuto sono reali o fantasticate? Il presente comincia ad ammantarsi di nebbia. Prevalgono gli spazi chiusi, gli interni poco luminosi e vengono abbandonati i contrasti di colore che dominano piacevolmente la prima parte del film.
Alcuni elementi della narrazione si perdono per strada, altri no, ma cambiano completamente direzione.
La depressione in Senegal
Quando finalmente Demba va in terapia (tutti gli consigliano di farlo) dice più volte: “Io non sono pazzo”. E nemmeno noi pensiamo che lo sia, ma qualcosa si è frantumato nella sua mente. Bisogna rimetterla insieme e il terapeuta non sembra sprovveduto nel porgli le domande, quelle giuste, buone a stabilire una sana relazione terapeutica, a indagare senza giudizio o pregiudizio. Ma Demba si sottrae. Forse non è del tutto pronto, o forse è troppo tardi?
Mamadou Dia ha costruito molto bene la scena della seduta: da una parte professionalità e umanità del terapeuta, dall’altra le resistenze di un paziente così poco paziente come Demba, così arrabbiato, così fragile e così poco consapevole dei suoi bisogni.
Presentando il suo film, il regista ha spiegato quanto poco si parli dei problemi psicologici in Senegal, tanto che non c’è neanche una parola che definisca la depressione. Per questo, teneva particolarmente a rappresentare questa storia, che ha voluto ambientare proprio nel suo luogo d’origine.
Ci sono scene che rendono il disagio mentale molto bene, in Demba. Ma nell’insieme, la confusione tra dolore, brutto carattere e smarrimento, come si diceva all’inizio (aggiungeremmo la depressione, proprio perché la cita il regista stesso), e gli eventi che a tutto ciò s’intrecciano, rendono il racconto parecchio problematico nella sua decifrazione.
Verso una conclusione che sembra costruita per il popolo senegalese, e non per noi.
Demba è una coproduzione tra la senegalese Joyedidi e la tedesca NiKo Film.
Il regista
Mamadou Dia, regista senegalese, si diploma in sceneggiatura e regia alla Tisch School of the Arts della New York University. Il cortometraggio Samedi cinema è selezionato in concorso alla Mostra di Venezia e al Toronto IFF nel 2016. Le père de Nafi, il lungometraggio d’esordio, è presentato in anteprima mondiale a Locarno nel 2020, dove vince il premio come Miglior Opera Prima e il Pardo d’Oro di Cineasti del Presente. Demba è selezionato nel concorso Encounters della Berlinale 2024 e al FESCAAAL.
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