Astrid Rondero e Fernanda Valadez, nel doppio ruolo di registe e sceneggiatrici, firmano Sujo, film in concorso nella sezione lungometraggi alla 33ª edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America latina.
Un adolescente in fuga
Suddiviso in quattro parti, ciascuna dedicata ad altrettanti personaggi del film, il lavoro a quattro mani di Rondero e Valadez segue le vicende di Sujo (Juan Jesús Varela) da quando, all’età di quattro anni, già orfano di madre, perde anche il padre Josué, sicario per un cartello locale nello stato di Michoacán, ucciso dai propri compagni con l’accusa di tradimento.
Per scongiurare che gli assassini del padre prendano di mira anche Sujo (nell’ipotesi che questi, una volta cresciuto, si possa vendicare), la zia Nemesia (Yadira Pérez) scappa con lui, rifugiandosi in una casa isolata in una zona impervia, immersa nella natura selvaggia.
Così il bambino cresce avendo per unica compagnia quella della zia e di due amici, Jeremy (Jairo Hernández Ramírez) e Jai (Alexis Jassie Varela) che, con la madre Rosalia (Karla Garrido), fanno loro spesso visita.
Divenuti adolescenti Jeremy e Jai vengono attratti dal mondo della criminalità, trascinando con loro anche Sujo. Ma quando Jeremy viene ucciso, la zia Nemesia, per proteggere ancora una volta il nipote da quel mondo violento e spietato, decide di mandarlo lontano, a Città del Messico, con la promessa di non fare mai più ritorno.
Nella capitale Sujo trova un lavoro e, soprattutto, incontra Susan (Sandra Lorenzano), una docente universitaria argentina che diventerà per lui una figura di riferimento, che lo aiuta e lo incoraggia nel dare una svolta alla propria vita.
Sujo. Tutte le immagini sono state concesse dall’ufficio stampa del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina
Un’ombra persa nella propria solitudine
“Come ti chiami?”
“Mi chiamo Sujo”
“E cosa vuole dire il tuo nome?”
“Non vuole dire niente”.
È uno dei dialoghi del film e che ben definisce il personaggio di Sujo. Un giovane che per tutta l’infanzia e l’adolescenza è dovuto rimanere nascosto per paura di ritorsioni da parte di coloro che gli avevano ucciso il padre. Un padre che, una volta scopertone il passato criminale, egli ripudierà. Sujo non è niente: risparmiato dal capo del cartello a patto che non si rifaccia mai più rivedere in città, è solo un’ombra persa nella propria solitudine.
Astrid Rondero e Fernanda Valadez, con Sujo, realizzano un’opera che, fra ellissi temporali, voci fuori campo, e immagini spesso solo tratteggiate, rappresenta un percorso di crescita e di formazione, mettendo al contempo in mostra un paese che, se da un lato è proiettato verso la modernità, dall’altro è mantenuto sotto scacco dalla violenza criminale.
È quindi significativo che le due registe abbiano voluto dedicare il loro film “agli orfani di questo paese in fiamme”. Un paese che, come ricorda Sandra Lorenzano in un intervento reperibile su YouTube, da quando il presidente Felipe Calderón ha dato il via alla lotta al narcotraffico, si contano più di 400 mila persone assassinate e oltre 113 mila scomparse. Cifre che, tuttavia, non tengono in considerazione le numerose, altre vittime di questo orrore: migliaia e migliaia di bambini e adolescenti rimasti orfani a causa di questa spirale di violenza.
Sujo, già vincitore del Gran premio della giuria al Sundance Film Festival, è un film che sa mescolare sapientemente i generi, dal thriller, al film di formazione, inserendo aspetti sociologici volti a comprendere meglio un paese estremamente complesso e come, spesso, ha saputo fare la cinematografia messicana.