L’Impero (L’Empire) di Bruno Dumont dopo aver vinto vinto l’Orso d’Argento alla Berlinale, è stato il film di apertura del Bellaria Film Festival.
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Il regista (Ma Loute, L’età inquieta, Jeannette) al Bellaria è stato protagonista di una masterclass, durante la quale ha spiegato le ragioni della sua visione personale e unica sul mondo e il cinema.
Ciò che interessava a Bruno Dumont nel realizzare il suo ultimo ambizioso progetto, era mettere a nudo la narrazione americana, dissezionarla e ribaltarla a partire dalla rappresentazione schematica della lotta tra bene e male. Nella messa in scena di una guerra interplanetaria tra due fazioni di demoni e angeli camuffati sulla terra, in un piccolo villaggio francese di pescatori, le forze benigne e quelle malvage sono mescolate senza possibilità di distinzione.
Durante l’incontro con il pubblico, il regista francese ha ribadito che il suo cinema non mira a trasmettere un messaggio morale. Semplicemente è lo specchio della sua visione del mondo, una pura manifestazione della sua verità.
Un film senza sceneggiatura
Non scrivo una sceneggiatura, scrivo un romanzo. Non faccio cinema, faccio letteratura.
Sotto gli abissi una cattedrale-navicella è la sede di forze malvage che muovono gli umani come marionette per raggiungere i loro scopi di distruzione. Nel frattempo, sulla terraferma una coppia di buffi poliziotti cerca di venire a capo degli strani avvenimenti nel villaggio. Tra spade laser e strane entità aliene, la messa in scena di Bruno Dumont è paradossale, la recitazione alienante. Gli attori sono stati spinti verso l’improvvisazione. Il regista francese ha orchestrato il suo film in modo tale che i personaggi scrivessero loro stessi a partire da un archetipo di genere.
Centrale è stata la scelta di dividere i ruoli principali tra attori professionisti e non professionisti. Il risultato è una sorta di neutralità attoriale; sono i movimenti della macchina da presa e il montaggio a dare ritmo e sostanza al film. Il continuo cambio di registro dal tragico al comico mette lo spettatore in una situazione scomoda, costretto a scegliere se stare o meno al gioco dell’autore.
Dumont ha ammesso di provare una certa fascinazione per i paesaggi brutti, che attraverso il cinema possono essere trascesi. Così una piccola spiaggia diventa la terra di mezzo di una battaglia tra mastodontiche architetture ferrose e aliene.
Incontro con Bruno Dumont
L’archetipo del folle che contiene in sé sia il tragico che il comico riflette appieno lo spirito del tuo lavoro. Nel film è incarnato da Fabrice Luchini. Come hai lavorato con lui per la costruzione di questo personaggio irresistibilmente sopra le righe?
Fabrice Luchini possiede una grande teatralità, è imprevedibile e geniale. Per farlo entrare del tutto nel personaggio gli ho fatto indossare il costume originale del film su Don Giovanni degli anni ’70. È stato molto divertente vederlo all’opera.
Gli effetti speciali del film hanno un’ estetica ricercata e originale. Come si è raggiunto questo risultato?
Per me la cosa più importante era elaborare effetti visivi inediti, quanto più lontani potessero essere dalle soluzioni già viste in innumerevoli prodotti cinematografici di fantascienza. Per gli effetti visivi dell’Empire ho ricercato qualcosa di nuovo. Per questo motivo ho chiesto di trasformare la reggia di Caserta in una navicella spaziale.