In Fantastic Machine, documentario di Axiel Danierlson e Maximilien Van Aertryck con Elio Germano voce narrante, si parla di cosa c’è veramente dietro la macchina da presa e di quello che il regista vuole mostrare.
Il film prodotto da Ruben Ostlung ha vinto il Crystal Bear della Berlinale 2023 e il Grand Jury Prize al Sundance 2023. E’ uscito in sala il 9 maggio 2024 distribuito da Teodora Film.
– Teodora Film
“Che fantastica macchina è questa che può mostrare anche ciò che non è avvenuto”. Disse Edoardo VII quando vide il filmato della sua incoronazione realizzato da George Méliès con alcune sequenze riprese in un teatro. Infatti, il regista , incaricato di girare l’incoronazione del sovrano, per cause tecniche dovette girare alcune scene in un teatro di posa, mettendo le basi sull’assunto che il cinema non è realtà ma verosimiglianza. Del resto, la camera registra ciò che ha di fronte e la domanda che Axiel Danielson e Maximilien Van Aertryck si fanno è: cosa fare di questa opportunità?
Fantastic Machine: un viaggio nella settima arte
Axiel Danielson e Maximilien Van Aertryck partono da lontano nella loro narrazione. Iniziano dalla prima fotografia della storia scattata nel 1826 da Nièpce, per continuare con la prima immagine di un uomo sulla strada di Daguerre (1838). Poi, il primo sperimentale frame cinematografico di Eadweard Muybridge del 1878 noto come “the horse in motion”. Era solo un’illusione, come il treno dei fratelli Lumière, che nel 1895 andava minacciosamente verso il pubblico seduto in sala che scappò spaventato, ma era nata una nuova forma d’arte dalla fotografia.
L’ultimo passo verso il cinema di oggi lo fece Georges Meliés, il primo a realizzare effetti speciali e a usare il montaggio, anche se in modo rudimentale (lo stesso che stupì il re Edoardo VII con la sua messa in scena dell’incoronazione).
Fantastic Machine non parla di cinema soltanto a livello tecnico (anche se questa è una delle tracce più interessanti dell’opera nella prima parte) ma, vuole anche approfondire l’uso che nel tempo è stato fatto delle immagini. Non a caso, una delle parti più interessanti del film è una straordinaria intervista all’anziana ma lucidissima Leni Riefenstahl.
La regista tedesca è stata una figura controversa a livello storico e girò per conto del regime nazista Olimpia, un documentario sulle Olimpiadi del 1936, un vero capolavoro di propaganda. Si può dire che con la sua tecnica abbia segnato gli esordi dell’uso delle immagini distorte ad arte da chi detiene il potere. Lo stesso procedimento fatto dai miliziani dell’ISIS, che, come viene mostrato in Fantastic Machine, hanno realizzato un vero e proprio copione per far arrivare al mondo il loro messaggio.
Dal cinema alla televisione, il medium freddo per definizione
Il secondo capitolo di Fantastic Machine è il passaggio dal cinema alla televisione. Il massmediologo canadese Marshall McLuhan parlava di medium freddi e caldi, in base alla stimolazione sullo spettatore. E la televisione è per lui freddo, perché, come scrive:
La TV è un medium freddo, partecipazionale … La radio, invece, è un medium caldo e funziona meglio se se ne accentua l’intensità. Non richiede a chi ne fa uso lo stesso livello di partecipazione. Può servire come rumore di fondo… La TV non può essere uno sfondo, ci impegna, ci assorbe.
L’arrivo del piccolo schermo in tutte le case negli anni ’60, è l’inizio di un’epoca all’insegna del Nielsen Rating entrato poi in uso negli anni ’70 negli States e diventato ora il Nielsen/NetRating (con riferimento alle nuove tecnologia). Arrivano le tv commerciali e tutto diviene intrattenimento (anche i notiziari, se pur questo non si percepisce), Lo dice in Fantastic Machine un giovane Ted Turner ai suoi esordi.
L’era digitale tra apocalittici e integrati in Fantastic Machine
Dopo un lungo excursus , Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck arrivano finalmente al cuore del film: l’era di internet e dei social media, quello che veramente interessa loro. Siamo nel vecchio dilemma di Umberto Eco, che nel 1964 parlava di Apocalittici e Integrati, una divisione netta sulla differente visione della cultura di massa, che all’epoca stava nascendo.
Non è la prima volta, che ci si interroga sulle conseguenze di una cultura fatta di immagini e trainata dai social network di ogni tipo.
Il tema è stato poi trattato esaurientemente nel documentario del 2020 The Social Dilemma di Jeff Orlowski. Tra gli intervistati appariva Tristan Harris esperto di etica del design di Google. Lo stesso, che dopo aver lasciato la multinazionale, nel 2015 ha creato un’organizzazione no profit intesa a costruire un modello alternativo a quello attuale basato sulla tecnologia. Il nemico da combattere è secondo lui il sistema di rinforzo intermittente positivo, un meccanismo psicologico che crea dipendenza nell’uso dei social, con produzione di dopamina nel cervello al pari della cocaina.
Fantastic Machine segue le tracce di Orlowski, ma lo fa senza mettere basi solide al suo punto di vista critico, rimanendo in superfice. Anzi, per parlare dei nuovi media, Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck riempiono lo schermo degli stessi contenuti che vogliono demonizzare.
Tutta la seconda parte del documentario è infatti una full immersion nel mondo di Instagram , Tik Tok e You Tube, una sorta di frullato colorato di immagini di ogni tipo e in cui perdersi. Nel loro documentario Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck vogliono presentare un film di denuncia e questo li ha portati paradossalmente a celebrare i nuovi media. Al di la di ogni percezione, il web è molto più reale di quello che sembra. Non ci sono solo algoritmi creati dai motori di ricerca, ma anche 1,3 milioni di km di cavi posati sui fondali dell’oceano per far passare il segnale mega data center enormi in Irlanda e non solo.
Fantastic Machine alla fine è dunque un film parzialmente riuscito. Ottima la parte del protocinema, ma la chiave apocalittica dei due autori è venata di un sottile moralismo e non è supportata da una tesi con solide basi scientifiche.
Fantastic MachineIl trailer del documentario prodotto da Ruben Östlund