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La Abuela, quando la bellezza invecchia – La recensione
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7 mesi agoon
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Igor ZacconeLa abuela – Legami di sangue è un film horror spagnolo del 2021, uscito in sala l’anno successivo, diretto da Paco Plaza e scritto da Carlos Vermut. Co-produzione di Spagna e Francia, segna il 14esimo film di Plaza, già autore della serie di REC, una serie di 4 mockumentary horror. Il regista è infatti un amante del genere, avendo una lunga carriera alle spalle, tra cui il suo film più recente, Sorella morte (2023). Il titolo è disponibile su Amazon Prime Video e Rai Play.
E’ stato presentato al Premio Ferzos, vincendo il Miglior trailer, al Festival internazionale del film fantastico di Gérardmer, vincendo il Premio della giuria e poi ai Premi Goya, non vincendo nulla però.
E’ stato prodotto da Apache Films, Atresmedia Cine, Sony Pictures e Les Films du Worso. Poi presentato ufficialmente all’edizione del San Sebastián International Film Festival del 2021 e distribuito nel 2022, incassando però solo 3 milioni al livello mondiale.
Per capire meglio La Abuela
Paco Plaza è sempre stato un autore strettamente legato al genere horror. Lo si vede già dal suo debutto nel 1995 col cortometraggio Tropismos e nel 2002 col suo primo film, El segundo hombre. Il primo grosso successo commerciale arriva con REC (2007) e dà il via ad altri tre film, che si concludono nel 2014. Un po’ sulla falsa riga di The Blair witch project, anche REC è un mockumentary, un finto documentario spacciato per reale.
Il film, con protagonista Manuela Velasco, la vede nei panni di una giornalista e produttrice del programma Mentre tu dormi, aiutata dal cameraman che la segue. Seguono dei pompieri in azione in un decrepito condominio, dove una donna vecchia e coperta di sangue, figura che ritorna, aggredisce un poliziotto quasi fatalmente. Vengono coinvolti diversi condomini, che si rifugiano nei sotterranei dell’edificio, in attesa di aiuto dall’esterno. Le autorità però decidono di non intervenire, bloccando gli ingressi e le uscite, mettendo l’edificio in quarantena. Il film ha una conclusione drammatica, con le riprese che rimangono intatti ma sia il cameraman che la giornalista perdono la vita, quest’ultima venendo trascinata nell’oscurità a camera accesa.
La Abuela. La trama
Susana (Almudena Amor) è una promettente modella che vive e lavora a Parigi. Riceve un invito da un importante e prestigioso fotografo di moda proprio quando riceve una telefonata da un ospedale di Madrid. Sua nonna Pilar (Vera Valdez), che l’ha cresciuta fin da bambina, è stata colpita da un malore, per il quale non è più autosufficiente e in grado di parlare. Susana decide di tornare a Madrid e sacrificare l’opportunità offertale. Non volendo farla ricoverare in una casa per anziani, opta per assisterla nella casa di nonna Pilar.
Inizialmente questa sembra accogliente, le foto da bambina sono ancora incorniciate e la nonna si mostra collaborativa. L’arrivo di Eva (Karina Kolokolchykova) e il ritrovamento del diario che Susana usava da bambina fanno prendere alla situazione un’inquietante piega. Tra i disegni delle pagine ingiallite si ritrae un’evento, forse un rito, che coinvolge lei, Eva, nonna Pilare e una sua “amica”. Dopo solo angoscianti pagine nere con violenti sprazzi di rosso.
In breve tempo il rapporto con la nonna diventa puro terrore. Susana chiama in suo aiuto Adele, una badante, che però rimane uccisa sotto casa di Pilar mentre quest’ultima recita un sortilegio in latino. Allora viene portata dalla nipote in una casa di riposo, che il giorno stesso brucia fino alle fondamenta. Quando Susana torna a casa vede, con angosciante orrore, che nonna Pilar è comodamente seduta al tavolo. Non si sa come sia sopravvissuta alle avide fiamme e giunta fino a casa propria.
Infine, quando Susana decide di tentare la fuga da quella casa, essa le si rivolta contro, bloccandole tutte le uscite. Scopriamo così che l’intento di nonna Pilar era fare uno scambio: il suo vecchio e decrepito corpo con quello della bella e giovane Susana.
La regia
Il piano di regia, redatto e messo in pratica da Paco Plaza, se scomposto e studiato si scopre essere coerente con la trama e molto funzionale. L’atmosfera visiva che viene trasmessa ricorda per certi aspetti quella di Stanley Kubrick. Il film è ricco di lenti zoom e carrellate in avanti eseguite con molta pacatezza. L’idea che viene trasmessa al subconscio dello spettatore e che qualcosa sta arrivando, non si sa né come né quando né, soprattutto, cosa. Tutto ciò di cui si viene informati lo si scopre con la prospettiva di Susana. Quando lei cammina nel buio delle oscure stanza anche noi ci stiamo addentrando in territorio sconosciuto. Quando lei vive gli incubi e viene stordita dai flash delle macchine fotografiche, anche noi siamo disorientati e spaesati.
Ci sono molti altri esempi da prendere a esempio ma la cosa principale da capire è che la regia di La abuela si è dimostrata costruita con sapere. Yorgos Lanthimos ha utilizzato lo stesso concetto in Il sacrificio del cervo sacro. Anche lì, lente carrellate in avanti creano l’aspettativa e l’ansia che qualcosa sta arrivando. E’ logico pensare a qualcosa di negativo, di maligno. Nel film di Plaza, questo lo si vede già dall’inizio, proprio per preparare il terreno a ciò che verrà più avanti.
La fotografia
La direzione della fotografia de La abuela è stata affidata a Daniel Fernández Abelló, che ha optato per una luce dura, cupa. Ha inoltre scelto un Super 35 mm per le riprese. Il suo intento era quello di dare un look naturalista, non forzato e artificiale. Abelló aveva in mente la claustrofobia del cinema di Roman Polanski, come viene usata in Rosemary’s Baby e L’inquilino del terzo piano. La paura è quindi cresciuta con calma, con naturalezza. Le immagini, segnate dalle ombre sul viso dei personaggi, hanno fatto avuto l’effetto desiderato. Le luci impiegate accentuano sì i contrasti, come ci si aspetta da un film horror, ma non dividono il quadro in parte in ombra e parte in luce, separate da una netta divisione.
Per l’estetica, ho pensato al cinema indipendente nordamericano degli anni ’70, a titoli come ‘Taxi driver’, ‘The french connection’ e ‘L’esorcista’
Quindi la fotografia funziona e supporta la narrazione visiva, aiutata anche dalla profondità di campo. Tramite questa, viene svolto un lavoro, spesso visto in questo genere, tra primo piano e sfondo. Un esempio Susana che si aggira impaurita nell’appartamento di nonna Pilar e, sullo sfondo, qualcosa si muove, qualcosa sembra puntarla come un predatore.
Il suono
E’ interessante anche la costruzione dell’ambiente sonoro, parallelo a quello della scenografia. Non vengono utilizzati brani particolari, soprattutto all’inizio del film, dove a dominare sono i suoni naturali delle persone e degli oggetti. Questo ribadisce il generale intento naturalista, che svolge con diligenza il suo compito. I silenzi sono enfatizzati e impiegati nella costruzione della suspance. Soprattutto in questi tempi, il silenzio è visto come un elemento di debolezza, di noia, ragionamento infondato ed erroneo. Delle tonalità, delle singole note sono usate come tema in un momento di tensione o delle musiche composte appositamente per il film. Non compaiono brani musicali di musica pop o di altri generi se non sono diegetici, come quando Susana sente della musica e si affaccia sul balcone per ascoltarla, in un breve momento di pace.
Le ambientazioni
La pellicola è ambientata, per la maggior parte del tempo, nell’appartamento di nonna Pilar. Non è stato necessario quindi un grosso sforzo da parte del location manager, poiché le esigenze di sceneggiatura non lo richiedevano. Questa singolare scelta dilata la percezione dello spazio, che diventa molto ristretto, quasi claustrofobico. Pertanto una stanza sembra, col proseguire della storia, un altro ambiente, un altro posto. Questo perché non si sa cosa aspetta Susana, di riflesso noi spettatori, nell’altra stanza: forse nulla, forse Eva o forse quel mostro di nonna Pilar. L’appartamento figura come una dimensione a parte, il mondo esterno è mostrato lucente, ampio, dove si può prendere un profondo respiro, mentre le stanze sembrano quasi un’intricata foresta, dove è facile perdere la propria identità, letteralmente.
E’ abbastanza grande da permettere gli spostamenti di attrezzatura e troupe ma abbastanza piccolo da togliere speranza. Le finestre, infatti, appaiono di rado e i corridoi impiegati per il lavoro sulla profondità di campo sono della corretta lunghezza e larghezza.
Gli attori e la recitazione
La performance degli attori non è particolarmente emotiva ed espressiva. Né gli amici di Susana né sua nonna mostrano, non che debbano, ampie espressioni o sorrisi. L’unica attrice alla quale è concessa maggior espressività e Almudena Amor, che deve risultare prima inquieta, poi spaventata e infine terrorizzata. Anche nell’essere terrorizzata però non usa la voce, non si mette a urlare con una voce stridula come in una film di Saw l’enigmista. E’ ovvio che c’è stato un lavoro anche sull’uso del volume della voce ma resta soprattutto visivi il suo terrore e angoscia. Sembra più realistico: una persona, possiamo immaginare, non inizia a urlare a squarcia gola al minimo spostamento d’aria, questo cliché lo risparmia.
Un simile precedente
La visione de La abuela può ricordare un film uscito nel 2005: The skeleton key, con protagonista Kate Hudson. Gli antagonisti di questo film ricordano nonna Pilar: entrambi sono anziani, o meglio, lo erano. Sono due neri, un uomo e una donna, che lavorano negli anni ’20 come domestici in una casa del sud degli Stati Uniti, con i proprietari immancabilmente razzisti. Praticano l’Hoodoo, da non confondere col Voodoo, una magia nera radicata nella cultura di quella comunità ma tenuta al contempo nascosta, come un tabù. Il loro scopo è quello di vivere in eterno ma i loro corpi non li possono aiutare in questo quindi trovano un rituale che permette loro di scambiare i corpi con altre persone.
Quello che avviene nel finale di La abuela e The skeleton key è lo spostamento delle rispettive ‘anime’ nei corpi del malcapitato di turno, nel primo Susana, nel secondo Caroline (Kate Hudson). Entrambe le donne fungono da oggetti, in mano a persone, forse più simili a entità, più sveglie e abili. Le due protagoniste sono prima riluttanti a credere in qualcosa che non capiscono ma quando lo accettano e comprendono è ormai troppo tardi. Anche la figura dell’amante dell’antagonista, che l’aiuta, ritorna nella figura della giovane Eva e del giovane notaio Luke (Peter Sarsgaard).
Considerazioni finali
Possiamo reputare La abuela come un buon film, non certo un capolavoro, ma un interessante impegno artistico. Avrebbe potuto lavorare maggiormente su diversi aspetti ma, preso in esame il risultato complessivo, si ottiene un valido film horror. Non è pieno di ampie espressioni che ricordano attori dell’epoca muta perché non era questo l’intento. Cade però nel cliché dei protagonisti con pessimo buon senso e scarso istinto di sopravvivenza. E’ irrealistico pensare che Susana, fosse stata una persona reale, sarebbe rimasta lì nell’appartamento, a vedere una porta che si apre da sola nell’oscurità più alienante o nonna Pilar, scampata dall’incendio che ha ucciso tutti nella casa di riposo, tornata a casa incolume e per di più da sola. A parte questa pecca, tutti gli altri elementi combinati creano un valido prodotto filmico, non blockbuster ma sviluppa i giusti temi e punti nel modo che gli autori hanno ritenuto più funzionale possibile.
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