Oura El Jbel (Dietro Le Montagne) è un film del 2023 scritto e diretto da Mohamed Ben Attia, regista tunisino qui alla sua terza opera cinematografica dopo Hedi, un vent de liberté e Mon Cher Enfant. L’opera è stata presentata al Festival del Cinema di Venezia nella sezione “Orizzonti” e il 27 aprile al Trento Film Festival nella categoria “Anteprime”. Si tratta di una co-produzione di vari paesi, tra cui l’Italia.
Oura El Jbel, La trama
Rafik (Majid Mastoura) è un uomo che, dopo esserci lanciato da una finestra durante una giornata di lavoro, viene condannato a quattro anni di carcere. Non appena sconta la sua pena, si reca alla scuola di suo figlio Yassine (Walid Bouchhioua), lo prende di peso, lo carica in macchina e parte verso le montagne. Rafik vuole mostrare a Yassine qualcosa di straordinario e fuori dal comune, che potrebbe cambiare la sua visione del mondo per sempre. Durante il viaggio, i due incontreranno un pastore (Samer Bisharat) che deciderà di unirsi a loro. Un incidente in macchina costringerà i tre a chiedere dimora a una famiglia del posto, che sarà tutt’altro che lieta di accoglierli.
La recensione
Dietro Le Montagne inizia come un road movie, per poi trasformarsi in una sorta di thriller casalingo. Tutto permeato da un’atmosfera fiabesca, quasi magica, che trova il suo culmine nel finale. Rafik e la sua capacità di volare rappresentano, per ammissione stessa del regista, la liberà incondizionata da una società sempre più standardizzata e conformista. Che impone regole su regole e nega la possibilità di uscire fuori dagli schemi, di credere nell’impossibile, di cercare la libertà laddove non ci è permesso.
Rafik è mosso da impulsi spesso violenti e selvaggi, che lo spingono a rifuggire la quotidianità in cui è intrappolato. È un personaggio spesso brutale; agisce secondo una sua visione del mondo ben specifica, che vuole trasmettere anche a suo figlio Yassine.
Rafik è una sorta di Peter Pan, che dimostra come si possa ancora sognare in grande e che spesso i limiti sono solo nella nostra testa, imposti dal conformismo moderno e dalla routine. Uno slancio di libertà che tutti, di tanto in tanto, dovremmo sperimentare. Importante, a tal proposito, il personaggio del pastore, che abbandona il gregge affidandolo al suo cane per seguire il “profetico” verbo di Rafik.

Un racconto folkloristico
Il film tratta anche il rapporto padre/figlio in modo non convenzionale. Rafik cerca di ricostruire la relazione con il figlio, non con dimostrazioni di affetto nel senso più stretto del termine, ma con la “missione” di trasmettergli la sua visione del mondo. È un racconto quasi folkloristico, una parabola in cui la montagna assume il ruolo di luogo purificatore, lontano dalla frenesia e dal caos urbano.
Solo la montagna è in grado di permettere a Rafik di spiccare realmente il volo e di ritrovare quella libertà tanto agognata. La montagna stessa è inquadrata dal regista con incantevoli scorci paesaggistici che ne accentuano il valore fiabesco e spirituale.