Con la rassegna su Jacques Tati proposta dalla piattaforma streaming Mubi, è possibile recuperare alcune pellicole del famoso comico francese che, nonostante i pochi film realizzati, per vicissitudini varie, ha saputo essere il geniale e attento osservatore della società del suo tempo, cogliendone e descrivendo in maniera ironica, ma assai efficace, i cambiamenti avvenuti in un arco di tempo che va dall’immediato dopoguerra al benessere economico degli anni Sessanta.
Jacques Tati: gli inizi
Jacques Tati (in realtà il vero cognome è Tatischeff) nasce a Le Pecq, cittadina a una ventina di chilometri a ovest di Parigi, il 9 ottobre 1907, in una famiglia agiata. Il padre, Georges-Emmanuel Tatischeff, era figlio naturale di un conte russo, generale dell’esercito e diplomatico. La madre, Claire van Hoof, aveva origini italo-olandesi: il padre olandese era un corniciaio ricordato, soprattutto, per aver rifiutato tre tele di Van Gogh con le quali il celebre pittore intendeva pagargli alcune cornici.
Da ragazzo Jacques intraprende numerosi sport, fra cui la boxe, il tennis, l’equitazione e, soprattutto, il rugby, arrivando a giocare in una squadra della massima divisione francese. Ed è in quell’ambiente che il talento comico di Tati si sviluppa, attraverso pantomime con le quali intrattiene e diverte i compagni di squadra.
Trasferitosi a Parigi, il giovane Jacques si esibisce per vari anni come cabarettista specializzato in mimo e acrobazie, realizzando gag ispirate alla vita quotidiana, della quale riesce a cogliere le sfumature più buffe e ironiche.
Tati e il cinema
Jacques Tati approda al cinema negli anni Trenta, con piccole parti in alcuni cortometraggi e nei film On demande une brute di Charles Barrois (1934) e, successivamente, dopo aver esordito dietro alla macchina da presa nel corto, purtroppo andato perduto, Retour à la terre (1938), in Solo una notte (1946) e, non accreditato, in Il diavolo in corpo (1946), entrambi di Claude Autant-Lara.
Con Giorno di festa (Jour de fête), realizzato nel 1949, Tati esordisce nel lungometraggio come regista e come protagonista principale. Un film che, per l’epoca, poteva considerarsi sperimentale, realizzato con due cineprese, una con pellicola in bianco e nero e una a colori. Purtroppo, in Francia, a quell’epoca, era impossibile sviluppare la pellicola a colori come Tati avrebbe voluto. Il film, quindi, esce nelle sale nella versione in bianco e nero, riscuotendo un enorme successo e consacrando il suo genio comico, che viene accostato a quello dei vari Charlie Chaplin, Buster Keaton, Max Linder e via dicendo.
La versione definitiva a colori di Giorno di festa esce solamente nel 1995, grazie alla perseveranza della figlia Sophie Tatischeff, che riesce nell’impresa di far riscoprire un’opera che, nella figura grottesca di François (Jacques Tati), l’allampanato postino entusiasta di un filmato che esalta l’efficienza e la modernità delle poste americane, prende in giro i tanti tic della sonnolenta e conservatrice provincia francese.
Una satira che utilizza una serie di gag che scatenano il riso dello spettatore, grazie soprattutto alle grandi doti mimiche e acrobatiche di Tati, in grado di reggere praticamente da solo un film in cui i dialoghi sono ridotti al lumicino.
Come scrisse Alberto Moravia sul numero de “L’Espresso” del 24 settembre 1978, il tema principale del film “è il mondo moderno industrializzato e meccanico osservato dall’angolo visuale della cultura contadina francese”, un mondo che “scrutato con occhio preciso e, in qualche modo, crudele, si rivela assurdo e dunque comico”.
Monsieur Hulot
Il personaggio di Monsieur Hulot, che ha reso celebre Tati e che non verrà più abbandonato, compare nel 1953 in Le vacanze di Monsieur Hulot (Le vacances de Monsieur Hulot).
Ambientato in una località balneare della Bretagna, il film è un susseguirsi di avvenimenti, apparentemente slegati fra loro, in cui Monsieur Hulot (interpretato da Tati, sempre regista e protagonista di tutti i suoi film), caratterizzato da un abbigliamento eccentrico e fuori luogo – impermeabile e pantaloni sempre troppo corti, ombrello e pipa – si ritrova alle prese con le manie, ridicole se viste da un occhio esterno come quello di Tati/Hulot, tipiche di un mondo piccolo borghese che stava prendendo piede in una società in procinto di raggiungere un certo benessere economico dopo gli anni drammatici della guerra.
Tati si immerge in quel mondo rendendo il suo personaggio sempre un po’ fuori posto, così goffo e impacciato com’è. Ma funzionale a cogliere il ridicolo di ogni situazione, mettendo alla berlina quella società, quegli esseri che si dibattono per trovare un minimo di soddisfazione dalla vita. Lo fa, però, senza cattiveria, bensì con affetto, conscio che la vita vada affrontata col sorriso e con una certa dose di spensieratezza.
Il personaggio di Monsieur Hulot comparirà anche nei successivi Mio zio (Mon oncle, 1958), Play Time – Tempo di divertimento (Playtime,1967) e Monsieur Hulot nel caos del traffico (Trafic, 1971).
In tutti il personaggio di Hulot si ritrova alle prese con personaggi e situazioni che sono l’esatto opposto della sua personalità e della sua visione del mondo. In Mio zio, un nipote felice di vedere quello zio così scanzonato e poco allineato con la rigida educazione imposta dai genitori. In Play Time, un francese in gita a Parigi sperso nella modernità della metropoli. In Monsieur Hulot nel caos del traffico, un uomo impiegato presso una compagnia automobilistica parigina e incaricato di progettare un autoveicolo dalle caratteristiche innovative: una macchina-camping dotata di tutto quello che può servire per una vacanza in campeggio.
Gli ultimi anni
La realizzazione di Play Time per Tati rappresenta un drammatico fallimento. Vari fattori, quali i costi troppo elevati e lievitati durante la lavorazione, lo scarso apprezzamento del pubblico in Francia e in Europa e la mancata uscita del film sul mercato statunitense, portano Tati a doversi indebitare e ipotecare la propria casa di Saint-Germain-en-Laye, a vedere messi sotto sequestro i suoi film precedenti, e a far fallire la sua casa di produzione, la Spectre Films.
Risollevatosi a fatica dalla grave situazione finanziaria, Tati riesce a realizzare Monsieur Hulot nel caos del traffico, ultima apparizione di Hulot.
A seguire gira Il circo di Tati (Parade, 1974), in cui recita nella doppia parte di un clown e del presentatore di un circo e Forza Bastia (Forza Bastia ou l’Île en fête, 1978), un breve documentario realizzato con la figlia Sophie in cui viene mostrata la città corsa il giorno della finale di coppa Uefa, in cui la squadra locale di calcio affronta gli olandesi del PSV Eindhoven.
Scrive, inoltre, la sceneggiatura per un nuovo film che avrebbe dovuto intitolarsi Confusion. Un progetto che il genio della comicità francese non riuscirà mai a realizzare, perché muore il 4 novembre 1982 a causa di un’embolia polmonare.
La rassegna proposta da Mubi
Sono tre i film visibili sulla piattaforma Mubi, raggruppati in una breve rassegna dal titolo “La comicità della vita moderna: i film di Jacques Tati”.
Le vacanze di Monsieur Hulot
Ambientato in un villaggio marino della costa bretone, il film inizia con l’arrivo dei vacanzieri che raggiungono il paese con ogni sorta di mezzo, pigiati sui treni e sui pullman o con moderne automobili sovraccariche di bagagli o, ancora, in bicicletta. Lì è diretto, per un meritato periodo di riposo, anche Monsieur Hulot, sulla sua scassatissima e scoppiettante macchina anteguerra.
Prende alloggio in una pensioncina familiare sul mare la cui clientela è rappresentata da una tipologia umana varia e ben definita. La bella ragazza che fa strage di cuori, l’uomo d’affari costantemente attaccato al telefono, il militare dal fare austero e i bambini chiassosi e indisciplinati.
In questo contesto la presenza di Hulot, con il suo atteggiamento eccentrico e fuori dalle righe, porta scompiglio nella comunità ma, al contempo, rende decisamente più piacevole la vacanza della piccola comunità.
“Il film controlla rigorosamente il tempismo comico, gli spazi e i suoni delle gag geniali di Tati […]. Il regista prende le formule delle gag classiche […] e le stravolge nel modo in cui gira e monta le scene, spesso indirizzando velocemente l’attenzione su un’altra gag che sta iniziando nei paraggi” (Adrian Martin, in 1001 Film – I capolavori del cinema mondiale, a cura di S.J. Schneider, Atlante, 2008).
Mio zio
Il piccolo Gérard vive con i genitori a Parigi in una grande villa ultramoderna. Il padre, il signor Arpel, è un industriale della materia plastica, completamente dedito al proprio lavoro, a discapito del figlio che trascura. Anche la madre, la signora Arpel, trascura Gérard, totalmente presa dalle incombenze domestiche.
Madame Arpel ha un fratello, lo zio Hulot, che si reca frequentemente a far visita al nipote, il quale, ogni volta che lo vede, si riempie di felicità poiché sa che con lo zio potrà sfuggire alla monotonia della sua vita scandita da eventi che si ripetono metodicamente ogni giorno.
Ovviamente l’essere così fuori dagli schemi da parte di Hulot non è ben visto dai coniugi Arpel, che tenteranno in ogni modo di farlo rientrare, senza successo, in un più rassicurante conformismo.
“[…] benché sia contemporaneamente attore, sceneggiatore e regista […] (Tati) erode progressivamente il proprio ruolo più appariscente, quello di attore, mostrando di prediligere quello di regista; lungi da intervenire nell’azione da protagonista, si limita a passarvi attraverso, a guidarci con sé in una specie di continuamente rinnovata scoperta; non ha reazioni, non si arrabbia e non si rallegra di nulla […]; tutto gli scorre addosso come se lo riguardasse solo marginalmente. Il mondo che lo circonda, dominato da marchingegni automatici che non funzionano e da persone che credono di circondarsi, con questi, di comfort, non è il suo mondo; non vi irrompe con la vivacità deflagrante di Groucho Marx, ma vi si aggira quasi distrattamente, come un estraneo; lo osserva impassibile, senza intervenire, se non per farne esplodere, assecondandolo, le contraddizioni”. (Giorgio Cremonini, Playtime. Viaggio non organizzato nel cinema comico, Lindau ed. 2000).
Play Time – Tempo di divertimento
In una Parigi ultramoderna fatta di strade sopraelevate e grattacieli in vetro e acciaio con arredamenti improbabili, Monsieur Hulot si muove accompagnato da un gruppo di turisti americani e, in particolare, da una ragazza, Barbara, le cui strade si incrociano spesso con quelle del protagonista.
Play Time – Tempo di divertimento, forse il capolavoro del comico francese (e grande fiasco dal punto di vista degli incassi), è il film di Tati che, più di ogni altro evidenzia “lo smarrimento, la perdita di senso e le idiosincrasie dell’uomo contemporaneo nei confronti della realtà metropolitana, tecnologica e illogica […]” (Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano, 16 giugno 2016).