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In Sala

‘La moglie del presidente’: una Deneuve all’Eliseo

Una commedia garbata in rosa diretta dall’esordiente Léa Doménach che raffigura l’ex first lady francese Bernadette Chirac in un ritratto romanzato di rivendicazione femminista e ironia d’oltralpe. Dal 24 aprile in sala

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Nel corso di un biennio che ha visto, soprattutto in tv, affreschi su donne ai vertici del potere politico o appena un passo indietro, come The First Lady (serie antologica che dedica ciascun episodio alla moglie di un presidente statunitense) e Regime con Kate Winslet nel ruolo di una premier autoritaria, dalla Francia in Chanel e Roger Vivier arriva nei cinema distribuito da Europictures la Bernadette Chirac di Catherine Denevue, che in La moglie del presidente assume le redini a fianco della regista per quello che è più di un biopic.

Première dame che non riuscì mai, pur nella sua aspirazione, ad agguantare il titolo di icona nazionale, Bernadette Chodron de Courcel (1933) fu moglie di Jacques Chirac, Presidente francese per più di un decennio dal 1995 al 2007, eletto dalle file della destra e costretto poi a succedere a Nicolas Sarkozy. Di fronte a una carriera da “moglie di” con una popolarità di luci e ombre che sovente si intrecciano con quelle del consorte, la regista esordiente Léa Doménach maneggia con licenze fantasiose la statura di una donna relegata alle sudditanze istituzionali del potere, per tirare le fila in una commedia di grazia e umorismo francesi e per rintracciare tra i riverberi di una personalità forte e briosa da riscoprire lo spirito di emancipazione del #Me Too.

Sinossi

Appena eletto Jacques Chirac come Presidente della Repubblica francese, la moglie Bernadette vive l’ascesa del coniuge nell’ombra, per imposizione di lui, maschilista conservatore, della figlia sua consigliera, allineata con il politicamente corretto, e dello staff dell’Eliseo. Fino a quando un’inquietudine interiore e impopolari sondaggi dell’opinione pubblica la inducono a rivendicare un’immagine di donna libera e autonoma, sfidando il diktat del protocollo e le taciute ipocrisie di palazzo. Sulla scia di figure femminili come Lady Diana e Hillary Clinton, madame Chirac rivendica la sua identità tra causa umanitarie e autobiografie al vetriolo, salva la compattezza del partito alle elezioni, sacrificando persino l’inviolabilità della sua privacy (i disturbi alimentari dell’altra figlia) e seppellendo vecchi rancori politici.

Identificazione di un’attrice

La moglie del presidente si apre con una postilla metatestuale che è anche il manifesto d’intenti dell’operazione di Léa Doménach, anche sceneggiatrice con Clémence Dargent: quello di consegnare alla memoria del pubblico (più francese che internazionale) i guizzi di autodeterminazione di una donna esposta ma confinata nel silenzio più accomodante, di far riscoprire, senza finalità revisionistiche, un’umanità più sfaccettata e calorosa di quella consegnate dagli annali e dalle narrazioni dei media, di scandagliare nel privato virtù troppo ostacolate nella vita pubblica.

Così, in una cornice introduttiva di complicità ammiccante e allegria pop, il coro gospel di una chiesa, presentando l’eroina del film, rivendica una dose di affrancata rielaborazione del profilo di un personaggio non del tutto ben accetto dall’opinione pubblica in patria, sfidando impolverati pregiudizi fin dall’entrata in scena di madame Catherine Deneuve. Un coro che interviene talvolta nel film come nota a margine, come commento antifrastico delle immagini e della vicenda semibiografica (con un’ascendenza probabile del coro tragico di La dea dell’amore di Woody Allen) e come uno degli ingredienti di sfiziosa e galante ironia, in complicità con la Deneuve.

La diva – lei, sì, vera icona d’oltralpe – arricchisce con questa pellicola la sua galleria di donne elegantemente irriverenti, combattenti in una guerra dei sessi con sguardo sornione, matrone incomprese in pista per un nuovo empowerment femminile, ergendosi a fulcro e anima stessa del film. Ma senza la smania di un’immedesimazione mimetica per una pellicola che rifiuta in modo programmatico l’etichetta di biopic.

Memorie di una consorte ribelle

Ricalcando il suo ruolo sulla figura di mater familias sottovalutata e “bella statuina” ma soavemente agguerrita in Potiche di François Ozon, Catherine Deneuve, rifuggendo dalla stereotipo interpretativo con la sua maestria navigata, attraversa il film con una luce regale di divertimento ed empatia, party lady in colori pastello di un armonioso tourbillon di colpi bassi, sciarade coniugali, algidi sberleffi, riconquiste femminili.

Bellezza fulgida e giunonica in grado di rinnovare sempre il suo mito, intatta dispensatrice di magici aloni di fascino tutto cinematografico, vestale dalla seduzione più autoironica, anche qui, come in Potiche, di contagiosa vitalità giovanilistica (in discoteca e in completo dènim di Karl Lagerfeld) e signorile acutezza: Catherine/Bernadette all’Eliseo percorre i palazzi del potere con il cipiglio di chi non si accontenta del ruolo di moglie e madre soccombenti; medita vendette famigliari in tailleur, ma sempre nell’ottica della ragione di Stato; guarda alla “principessa del popolo” Lady Diana conciliando cause umanitarie ed emancipazione ante litteram da uno stereotipo.

Anti biopic di una first lady al di sopra di ogni sospetto

In questo affabile, esile e non serioso film, in questo aggraziato revenge movie in rosa confetto, non manca uno spaccato dei giochi politici e delle sfere ciniche del potere di una fase recente (dal 1995 al 2007) della Storia francese, che risuona in echi lontani nel pubblico italiano, ma che si riveste di lunghe ombre universali sull’oggi. Facendo digerire agli spettatori l’intreccio riprovevole tra affari e cosa pubblica (con conseguenze giudiziarie), in nome della condiscendenza che Deneuve sa donare al suo personaggio, Léa Doménach pennella la Francia di un passato già remoto ma non del tutto chiuso, con l’avanzata allarmante del Front National di Jean-Marie Le Pen e dell’estrema destra.

Le mosse d’immagine da stratega femminista e gli scomodi ma previdenti consigli istituzionali inascoltati di Bernadette Chirac sfociano poi nei patti d’acciaio, nelle manovre calcolatrici, nei favori utilitaristici stretti da quest’ultima con uno storico avversario interno al partito. Teatro di traffici e di intrighi è ancora quella chiesa con cui si era aperto La moglie del presidente, in una chiusura circolare e speculare che è un’ulteriore messa a fuoco della première dame e del ritratto inventivo che ne deriva. Perché La moglie del presidente, dietro la presa di potere di una mancata regina con toni da commedia e allestimento borghese, cela dietro la scorza amabile di una svagata rivendicazione di genere, la parabola sottilmente discendente di una coscienza intaccata dai morbi machiavellici del fare politica. Ma, ça va sans dire, sempre nel bagliore smaliziato e nell’elusiva femminilità della diva francese di Truffaut e Buñuel.

La moglie del presidente

  • Anno: 2023
  • Durata: 92'
  • Distribuzione: Europictures
  • Genere: commedia
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Léa Doménach
  • Data di uscita: 24-April-2024