Amore a destra e Paura a sinistra, sono le due parole che il professore Pietro Vella (Elio Germano) traccia col gesso sulla lavagna, davanti a lui a fissarlo ci sono gli occhi di Teresa Quadraro (Federica Rosellini), la prima della classe, l’amore tormentato della sua vita. Il nuovo film di Daniele Lucchetti, Confidenza, si muove su questi due poli come la vita del suo protagonista, il borghese piccolo piccolo Pietro Vella. Ora disponibile anche su Netflix per la visione da casa.
Il sentimento per Teresa presto si trasforma in paura, in un tormento ossessivo a partire da una confessione reciproca di un segreto indicibile, il grande mistero irrisolto di cui lo spettatore viene tenuto all’oscuro. Teresa e Pietro sono come i due volti del Doppio Segreto di Magritte, l’uno è in grado di svelare i congegni nascosti dell’altro. La figura scompigliata di Teresa si colloca a metà della linea sulla lavagna, è una sintesi di amore e paura, una custode di rivelazioni inaffidabile.
Ci innamoriamo di persone che sembrano vere ma non esistono, sono una nostra invenzione.
L’amore è sopraffazione
L’incontro con Nadia (Vittoria Puccini) ristabilisce i confini tracciati da Pietro alla lavagna, è l’approdo sicuro per le sue insicurezze, l’appartamento nel centro di Roma dove accogliere gli ospiti con sorrisi concilianti, la spalla su cui piangere, la madre di sua figlia. L’amore è sopraffazione, sentenzia Teresa e anche quello tra Nadia e Pietro non si salva da questa verità scomoda. Il rapporto di potere nella relazione uomo-donna, magistralmente anatomizzato nel film di Justine Triet, qui si ripropone. Il successo di uno può minare facilmente la sicurezza dell’altro.
Un letteratucolo, un sovversivo candido, un’intelligenza linda così definisce Domenico Starnone il protagonista del suo romanzo Pietro Vella, incarnato sullo schermo da Elio Germano. La scelta non poteva ricadere se non su di lui. Un interprete che ha fatto del tormento interiore una sua cifra caratterizzante, dalla rabbia contenuta del Giovane Favoloso di Recanati, al pianto liberatorio della scena finale di Mio fratello è figlio unico, passando per il canto disperato nella scena del funerale in La nostra vita, il film che ha consacrato Lucchetti. Per arrivare all’urlo senza voce sulla terrazza di un Hotel in Confidenza.
Confidenza
Il primo significato attribuito alla parola confidenza è quello di fiducia. Il rapporto tra Daniele Lucchetti e Domenico Starnone è uno di quei casi di particolare fratellanza artistica, una magica confidenza li lega dal film La scuola (1995), proseguita con Lacci (2020). Si unisce al duo Francesco Piccolo che ha collaborato alla sceneggiatura del film. A legare i tre autori è una precisa rappresentazione della mascolinità contemporanea. Nelle loro opere a metà strada tra invenzione e autobiografia hanno ritratto uomini intellettuali, mossi da passioni incendiarie ma bloccati dalla loro insicurezza, toccati da una fragilità che decostruisce lo stereotipo del maschio etero la cui forza in nessun modo può essere scalfita.
Confidenza è anche sinonimo di sicurezza. Pietro Vella è sempre a un passo dal baratro nonostante l’apparente vita di successo, la sua spasmodica ricerca di approvazione altrui, lo fa vacillare in continuazione. Scappa dall’inevitabile, sicuramente non è un personaggio positivo né risolto. Dal cornicione di una finestra da cui non ha il coraggio di buttarsi lo spettatore lo segue nei titoli di coda nel suo nascondiglio dal mondo.
Un mancato salto nel vuoto
Il suono scandisce la narrazione, dalla confidenza incomprensibile bisbigliata all’orecchio alle note della colonna sonora firmata da Thom Yorke, che lo stesso regista ha dichiarato funzionare come corrispettivo cinematografico del monologo interiore nel romanzo di Starnone, un sottotesto emozionale, che richiama al thriller. Le note di Thom York fanno quello che le composizioni di Egisto Macchi hanno fatto in Favolacce o le musiche dei Verdena in America Latina.
Il punto di contatto è lo straniamento voluto rispetto alla narrazione, nel caso di Confidenza interferenze disturbanti irrompono in una messa in scena posata e tradizionale. Con il suo film, d’altronde, Lucchetti sembra riallacciarsi al discorso portato avanti dalla trilogia dei Fratelli d’Innocenzo sul ripensamento della rappresentazione dell’uomo contemporaneo sullo schermo, a cui non a caso ha dato corpo Elio Germano.
Il rischio più alto per il film è affidarsi totalmente al sottilissimo filo di suspense generato dalla confidenza inziale, lo spettatore sale su quel filo, sviluppa piano piano un interesse che lo tiene in equilibrio ma resta con il desiderio inappagato di quel salto nel vuoto mai compiuto né da Pietro né dal film stesso.