Malanova di Roberto Cuzzillo, fuori concorso alla 39° edizione del Lovers Film Festival, parla di AIDS, ma solo come pretesto per affrontare un macro- tema ancora più importante. Matteo scopre di essere sieropositivo e il mondo gli crolla addosso. Oppresso e disorientato, si rifugia nella casa dello zio Enzo, mentre Riccardo, spaventato, rifiuta di fare il test. Ecco la sinossi, scarna ed essenziale come lo stesso film. Malanova parla delle paure che spesso demonizziamo fino a renderle insormontabili, ma se esplicitate si ridimensionano.
Malanova: confusione, dentro e fuori
Una delle domande che lo spettatore si è posto domenica 21 aprile, all’anteprima mondiale di Malanova, è quanto sia attuale il tema dell’HIV nel 2024. Risponde lo zio Enzo, dicendo a Matteo (e al pubblico) che oggi non deve più spaventare, che “oggi è diverso”.
Enzo ripete questa rassicurazione più volte, forse per convincere anche se stesso. Matteo si rifiuta di cominciare la terapia, paralizzato da una paura che non verrà mai esplicitata ma che lo perseguita per tutta la durata del film. Numerose sono le scene fuori fuoco in cui il protagonista fugge, senza sapere bene da cosa.
Ammirevole è l’intenzione di parlare di un tema oggi forse passato in secondo piano, per non dimenticare mai quanto sia ancora reale e tangibile. Nella realizzazione, però, vengono a mancare le basi per coinvolgere lo spettatore in questo mondo del terrore.
La recitazione non aiuta. Non si riesce ad empatizzare con nessuno dei personaggi, men che meno con il protagonista. Lo zio Enzo dovrebbe essere la figura dell’aiutante che fa evolvere il personaggio, ma lui stesso è irrisolto.
Manomette la macchina di Riccardo per impedire ai due di lasciare l’abitazione, per poi intimargli di partire al più presto, percorrendo un “sentiero che porta al paese, prima che faccia buio”, come se fossimo improvvisamente tornati indietro nel tempo.
Il tempo, infatti, non è definito. I cellulari smettono di funzionare e si ritorna alle cartine per orientarsi nel bosco. La storia rimane sospesa, irrisolta, in un’incertezza che permea personaggi e racconto.
Riccardo, da comprensivo e disponibile fidanzato, diventa instabile, iracondo, ma Matteo non riesce a reagire neanche quando il compagno gli domanda con insistenza “E noi? E io?”. Che fine faranno i due protagonisti? Non ci è dato sapere.
Sappiamo che Matteo decide finalmente di iniziare la terapia e Riccardo accetta di riconoscere il suo stato sierologico, mentre lasciamo lo zio Enzo seduto in poltrona in controluce dopo l’ultimo, ennesimo, discorso ad effetto.
Malanova: disorientare lo spettatore
Forse le intenzioni erano proprio queste: disorientare lo spettatore e lasciarlo interdetto, così come si è sentito Matteo nel ricevere il referto. Roberto Cuzzillo definisce il film “una storia generazionale”. Un tema come l’AIDS può ancora essere definito generazionale?
La domanda rimane aperta. Malanova sembra suggerirci che la risposta è sì.
Il film è indipendente, la durata è di 73 minuti. Fattori che sicuramente influiscono sul risultato finale, forse più adatto ad un palcoscenico teatrale che non al grande schermo.
Sono rimarchevoli alcuni momenti, soprattutto quelli di intimità tra i due protagonisti, ma anche in questo caso si nota un’intenzione enfatica e idealizzante da parte della regia che ci dipinge questi corpi bellissimi, caldi, illuminati, mentre si cercano, si trovano e si amano. Idillio che s’infrange nel momento in cui Malanova sceglie la svolta drammatica, a tratti quasi da thriller.
Il risultato è un lavoro traballante, ammirevole nelle intenzioni ma meno nella realizzazione finale, insipida e spesso pedante, soprattutto nei dialoghi e negli snodi drammatici prevedibili e ripetitivi, che non reggono il peso del racconto.