Arriva il nuovo film firmato Zhang Yimou alla ventiseiesima edizione del Far East Film Festival. Completato dopo quattro anni, Under The Light è il primo di una serie di film che anticipano il riconoscimento al regista con il Gelso d’oro alla Carriera.
Il film è stato proiettato per la prima volta in Cina con presenza del regista, riscontrando un successo da record al botteghino.
Under the Light: di cosa parla
Nella città fittizia di Jiangjing (in realtà la vera Chongqing), un uomo (Wang Sun) prende in ostaggio i passeggeri di un autobus e minaccia di far esplodere una bomba se non riuscirà a far ammettere al vicesindaco Zheng Gang (Zhang Guoli) la responsabilità di crimini imprecisati. La situazione si conclude tragicamente, ma il vicesindaco si salva grazie all’aiuto del suo figlio d’adozione, il poliziotto Su Jianming (Lei Jiayin). Deducendo che il sequestratore sia una pedina di un piano pensato per eliminare Zheng, Su indaga sul caso con l’aiuto della collega ed ex-fidanzata Li Huilin (Zhou Dongyu). Ben presto i due si mettono in contatto con Li Zhitian (Yu Hewei), ricco uomo d’affari e socio di lunga data di Zheng, che in qualche modo risulta coinvolto nell’incidente.
Da qui in poi la trama si ingarbuglia e si alterna tra la tentata risoluzione del caso e le vicende di altri personaggi. Tra questi, la moglie di Zheng, He Xiuli (Joan Chen) e il futuro genero di Li Zhitian, David (Sun Yizhou). Si aggiunge poi una giovane misteriosa con la quale il vicesindaco ha un rapporto apparentemente paterno.
Una società cinese corrotta e contraddittoria
Sebbene sia il suo secondo lungometraggio del 2023, in realtà Under The Light è stato girato quattro anni fa. L’uscita posticipata deriva da lunghe trattative con l’agenda di Stato. Di fatto, un testo di chiusura del film cita la legge nazionale contro il crimine organizzato, entrata in vigore più di due anni dopo la fine delle riprese. Accompagno lo sfondo politico tagli bruschi e tracce di doppiaggio, probabilmente frutto di una rielaborazione in post-produzione. Non solo, ma la sua versione finale, uscita a settembre 2023 in Cina, è apparentemente accorciata di trenta minuti.
Cionondimeno, il film mostra una forte autoconsapevolezza di genere. Si tratta di una storia stigmatizzata di corruzione municipale e giochi di potere mortali, dove si scontrano un influente uomo d’affari e un vicesindaco. Intanto, le forze di polizia tentano di fare il proprio dovere.
Il film si presenta avvincente nella sua prima metà, ma perde gradualmente intensità nella seconda, quando la trama diventa sempre più fitta e finisce per ostacolare il dramma umano. Non mancano simboli pro-lotta alla corruzione e ai crimini. Tra questi, spicca una scena dove uno dei personaggi fa un accostamento metaforico della cottura lenta di una zuppa alla pazienza necessaria per consegnare i colpevoli alla giustizia.
Negli ultimi quindici anni, ogni film cinese sembra esaminato alla luce di qualche sentimento pro o contro la Cina, come se questo fosse l’asse fondamentale su cui poggiare ogni opera nazionale. Ma Under the Light invita attivamente a contrastare questi confronti, ispirando la società cinese a mettersi in discussione e le forze di potere a mantenere la parola data.
Il protagonista Lei Jiayin, inoltre, nasce senza dubbio come rappresentazione dei giovani cinesi, avviliti e frustrati al punto di sottrarsi agli obblighi e all’impegno sociale. Questi temi risultano talvolta pieni di contraddizioni interne. Nonostante ciò, Under the Light si inserisce nella lunga tradizione dei thriller apolitici sulla corruzione politica.
Zhang Yimou: un regista complesso
L’opera riconferma la figura complessa e contraddittoria del regista. Zhang Yimou ha sempre diviso il pubblico, sia nazionale che estero. Se un film con un ottimo rendimento occidentale viene criticato dell’audience cinese, d’altro canto un film in accordo con le linee governative e/o il gusto locale delude il pubblico estero. Molti dei film che hanno portato l’autore all’apice del successo tra gli anni ‘90 e 2000 erano stati pensati proprio per sbarcare i confini. Situazione che ha causato non poche critiche da parte dei connazionali, non tanto per il successo raggiunto all’estero, quanto per le sue rappresentazioni culturali. Lanterne Rosse (1991), in particolare, ha ricevuto non poche accuse di aver “inventato di sana pianta” alcune tradizioni locali per farsi piacere dal pubblico orientalistico occidentale.
Tuttavia, Zhang Yimou non se la cava facilmente nemmeno nel proprio Paese. Da sempre vittima di censure, anche nel sopracitato periodo (definito da alcuni critici come “auto-orientalistico”), l’autore ha sempre fatto fatica a trovare un punto d’incontro con il pubblico. Seguire le linee guida governative e rendere un’opera conforme ai gusti nazionali può risultare spesso limitante a livello creativo.
Negli ultimi dieci anni, pur avendo tentato di mettersi in pari, il regista non è comunque riuscito a convincere l’Occidente, che lo accusa di aver perso le sue abilità direttoriali a causa dell’influenza del Partito.
Come già affermato, le censure non sono mai mancate, non importa la direzione narrativa del film. Eppure, molti dei suoi elementi stilistici distintivi continuano a farsi sentire, dalle coreografie alla scelta musicale, dall’intensità delle scene all’uso specifico dei colori. Sicuramente lo sfondo burocratico, che ha spesso la meglio sui film in uscita, condiziona le scelte di molti autori. C’è anche da dire che il regista è sempre stato incostante a livello artistico e, nel corso degli anni, ha giocato (volente o nolente) con più generi, audience e realtà burocratiche. Dedurre che un film di Zhang Yimou non sembri un film di Zhang Yimou non è soltanto un problema di propaganda, ma dell’idealizzazione della sua figura. Nonostante ciò, il regista è riuscito a mantenere la sua nomea di uno degli autori più influenti del cinema cinese.
Un’opera imperdibile e tecnicamente (im)perfetta
Come in Cliff Walkers (2021), Zhang mette in scena con grande maestria i passaggi più salienti, tra aggressioni ed eroi messi alle strette. Anche la scelta del cast è risultata perfetta per l’atmosfera. In linea con lo stile distintivo del regista, le coreografie e le musiche risultano gli elementi più riusciti. Notevole inoltre la fotografia, che negli ultimi anni sembra un aspetto predominante delle sue opere. Riesce infatti a trasmettere il clima pesante del film, anche se a lungo andare risulta difficile da digerire. Di fatto, in Under The Light il problema principale risulta il ritmo. Da un lato affrettato, tipico dei thriller cinesi, dall’altro insostenibile a causa della sceneggiatura troppo ridondante.
Firmata Chen Yu (che ha lavorato anche in Snipers e Full River Red), la sceneggiatura è in partenza ottima e ben studiata. Tuttavia, è incapace di tenersi in piedi per due ore. Vincente nei momenti clou e nel delineare i personaggi, la trama diventa col tempo troppo densa, forse perché asfissiata dalla sua stessa atmosfera di inquietudine. Questo aspetto rischia di far perdere ai personaggi la propria individualità.
Intanto, il montaggio tenta di equilibrare queste contraddizioni tecniche e stilistiche. Non a caso, l’opera risulta perfettamente coerente rispetto al suo titolo originale, il quale si può rendere con: “solido come una roccia”.
Nonostante ciò, Under the Light si presenta come un’opera allettante. Le sue contraddizioni confondono e attraggono allo stesso tempo. Anche perché il film mette in scena dinamiche complesse, inedite per un pubblico estero disabituato a narrazioni così radicate nel loro contesto di appartenenza.
La nuova direzione artistica invoglia sicuramente ad attendere progetti futuri di uno dei registi simbolo della Quinta Generazione cinese.