Il giovane Berlusconi (2024) è la fiammante docuserie di Netflix sul Cavaliere, scomparso il 12 giugno 2023. Strutturata in tre episodi (Il pizzone; La rivolta dei Puffi: L’Italia è un paese che amo), la serie è una ritmata panoramica sull’ascesa imprenditoriale di Berlusconi, dal tubo catodico fino alla sua discesa in politica nel gennaio 1994.
È realizzata da Simone Manetti e prodotta da B&B Film in coproduzione con la società tedesca Gebreuder Beetz Filmproduktion e con l’emittente franco-tedesca ZDF Arte. Co-finanziata dalla Regione Lazio (Lazio Cinema International), dal programma Media di Europa Creativa e dal Tax Credit del MiC.
Un ritratto post mortem?
La serie è stata ideata e realizzata tra il 2022 e il 2023 e il montaggio si era concluso poche settimana prima che Berlusconi morisse. Pertanto questa docuserie è diventata una testimonianza postuma soltanto casualmente.
Tanto materiale d’archivio – di cui molto di esso raro – interviste ai sodali che lo hanno accompagnato, sostenuto e protetto nella sua inarrestabile scalata, la versione di Achille Occhetto sullo storico duello politico del 1994 e interventi del giornalista Pino Corrias, per fornire un poco di contro informazione.
Quindi, Il giovane Berlusconi è una docuserie da vedere? È utile per comprendere che cosa è stato Berlusconi e cosa è stato il berlusconismo? Andiamo ad analizzarla.
Un Charles Foster Kane grossolano
Nel 1939 il democratico Frank Delano Roosevelt disse riguardo il dittatore Anastasio “Tacho” Somoza:
Somoza may be a son of a bitch, but he’s our son of a bitch
[Somoza può essere un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana]
Togliendo il nome di Somoza e mettendoci quello di Berlusconi, la frase si può adattare. Berlusconi è stato uno scaltro uomo d’affari che ha raggiunto, giocando sporco e con infiniti appoggi politici e criminali, i suoi obiettivi.
Nonostante questo, Berlusconi ha beneficiato del lutto nazionale, deciso dal Governo presieduto da Giorgia Meloni. Premier che ben conosceva il pedigree giudiziario di Berlusconi:
“Non sono ricattabile, non ho paura di chi pensa di poter influenzare il Governo”.
E questa santificazione istituzionale pare proprio ricollegarsi all’affermazione di Roosevelt (riadattata su Berlusconi), ossia che sebbene sia stato un furbacchione, è stato il nostro furbacchione. Il nostro emblema, un patrimonio di cui possiamo andar fieri.
L’immenso impero che Berlusconi si è costruito intorno non è dissimile da quello cinematografico di Charles Foster Kane (Orson Welles), il protagonista di Quarto potere (Citizen Kane, 1941) dello stesso Welles.
Non è da escludere che da giovane Berlusconi abbia visto questo capolavoro della Settima arte. E affascinato dal film – non dall’aspetto artistico ma dalla formidabile scalata del protagonista – abbia cercato di emulare Kane.
Riuscendoci, perché il suo impero comprendeva tutti i media (tv, editoria e radio) e immobili sparsi, tra cui Villa San Martino, in pratica la sua protettiva Xanadu. E come Kane anche Berlusconi si è poi dato alla politica.
Non a caso, uno dei documentari incentrati su di lui s’intitola proprio Citizen Berlusconi (il presidente e la stampa) (2003) di Andrea Cairola e Susan Gray. È un’inchiesta giornalistica sull’ascesa del Cavaliere, che parte dal potere acquisito con le Tv commerciali fino all’entrata in politica e il suo modo d’intendere la Res Pubblica.
Un George Bailey al contrario
Ma Berlusconi, se lo si volesse paragonare a un personaggio cinematografico, è accostabile anche a George Bailey (James Stewart), protagonista de La vita è meravigliosa (It’s a Wonderful Life, 1946) di Frank Capra.
Chiaramente, è un raffronto solo a livello di ambizione. Ambedue, Bailey e Berlusconi, ambiscono a grandi progetti, ma il fittizio Bailey è umano (d’indole roosveltiana) e altruista, mentre Berlusconi ha fatto tutto per sé.
Questa è la frase che il giovane e aitante George Bailey confessa con slancio a Mary (Donna Reed):
Io so cosa farò domani, quest’altro mese, questo altr’anno e l’anno di poi. Io scuoterò dalle mie scarpe la polvere di questa piccola città e andrò per il mondo. Voglio costruire tante case, voglio costruire dei grattacieli alti 80 90 100 piani. Voglio costruire dei ponti lunghi un miglio.
Anche in questo caso, non è da escludere che un giovane Berlusconi abbia visto al cinema il film. Questa ardente dichiarazione di George Bailey, ambizioso ragazzone di una piccola città di provincia americana, può aver fatto breccia nel virgulto giovane milanese, nato e cresciuto nella nebbiosa provincia italiana.
Dopotutto, Berlusconi scosse dalle proprie scarpe la polvere della piccola provincia, costruì tante case e si propose anche di costruire lunghi ponti, nello specifico il Ponte sullo stretto. La differenza che intercorre da Bailey e Berlusconi, però, è che il Cavaliere ha giovato della mentalità provinciale che da sempre primeggia in Italia.
Restando a La vita è meravigliosa, Berlusconi è più avvicinabile a Henry F. Potter (Lionel Barrymore), banchiere egoista e cinico. La differenza è che Berlusconi, rispetto a Potter, amava il lusso e le belle donne.
Ma se ci soffermasse sull’ucronia che si crea se George Bailey non fosse nato, la cittadina di Bedford Falls, con la gestione di Potter, combacerebbe con la visione edonistica, spregiudicata ed egoistica di Berlusconi.

Il giovane Berlusconi: spiegazione del titolo
Il titolo della docuserie di Netflix non va preso alla lettera. Il giovane Berlusconi non racconta di un virgulto, capelluto e sconosciuto Berlusconi ancora studente o intrattenitore damerino sulle navi da crociera. Il titolo va recepito in senso lato.
In opposizione alla senilità degli ultimi vent’anni, la gioventù a cui si fa riferimento è alla scalata imprenditoriale e finanziaria del Cavaliere dalla seconda metà degli anni ’70, quando si interessò alla televisione. A quel medium presente ormai in quasi tutte le case degli italiani. Elettrodomestico che sforna sogni e bisogni.
A ben guardare, però, Berlusconi sebbene l’età anagrafica, è stato un eterno adolescente. Un modo di fare sempre tendente al goliardico (pubblicamente), all’arroganza (in politica), all’indisciplinatezza (con la legge), alla rapacità (nell’imprenditoria) e al sessismo (con le donne).
Irrequietezza conformista
Questo aforistico Il giovane Berlusconi pare anche un rimando al titolo – italiano – del libro Il giovane Holden (The Catcher in the Rye, 1951) di J.D. Salinger. Come l’irrequieto adolescente Holden Caulfield nei confronti della società americana, anche Berlusconi è stata una figura smaniosa nei confronti della società italiana. Una nazione ancora bacchettona, grigia e di ristrette vedute.
Un’irrequietezza non di carattere esistenziale, quanto un’insofferenza verso leggi e regole che non gli permettevano – o comunque frenavano – la sua smania di ottenere successo. Soldi, donne, macchine, bei vestiti, posti esotici, prime pagine sui giornali.
Insomma, tutti quegli stimoli che pulsano (nel cuore e nella patta dei pantaloni) in quasi tutti gli adolescenti vanagloriosi. E che principalmente brame agognate dai giovani provinciali, che restano abbacinati da quello che hanno visto al cinema.

Il giovane Berlusconi: storia di un italiano… non uguale agli altri
Su Silvio Berlusconi c’è una discreta filmografia. Diversi documentari di matrice giornalistica e i cinematografici Il caimano (2006) di Nanni Moretti e Loro (2018) di Paolo Sorrentino. A cui si aggiunge l’ultimo (o penultimo) Ennio Doris – C’è anche domani (2024) di Giacomo Campiotti. Un agiografico biopic dedicato al fondatore di Mediolanum, in cui compare anche un “giovane” Berlusconi d’inizio anni Ottanta. Sorridente e rampante, il Cavaliere è raffigurato come un conviviale galante che dà carta bianca a Doris.
E a questa filmografia c’è da aggiungere la vasta saggistica cartacea che si è occupata, sin dalla seconda metà degli anni Ottanta, di Silvio Berlusconi. Quindi l’argomento de Il giovane Berlusconi (l’ascesa mediatica fino all’entrata in politica) non è una novità.
L’originalità del manufatto a firma di Simone Manetti sta nel raccontare l’inarrestabile quanto disinvolta carriera del Cavaliere con un cospicuo materiale d’archivio montato con buon ritmo.
E questo tipo di narrazione biografica attraverso il Found Footage ricorda la mastodontica – e incompiuta – monografia Rai Storia di un italiano (1979/1981/1986), biopic che raccontava la carriera di Alberto Sordi con l’utilizzo di spezzoni dei tanti film che l’attore romano aveva girato.
Silvio Berlusconi, purtroppo in un certo qual modo, è l’essenza dell’italiano. È stato un personaggio come quelli interpretati da Alberto Sordi: furbo, volubile, mammone, maschilista, vanesio, arrivista, ecc. E tutti questi “rimarchevoli pregi” trapelano dai filmati utilizzati nella docuserie.
Il Cavaliere, sempre sorridente e con atteggiamenti affabili e finanche spocchiosi, riusciva a bucare lo schermo ed entrare nelle grazie degli italiani, con il suo charme artefatto.
I comprimari del giovane Berlusconi
A questo ricco Found Footage si affiancano le interviste ai sodali e ai dipendenti che lo hanno conosciuto e hanno beneficiato anche loro di questa sua folgorante carriera. Interviste che servono per puntualizzare sia il personaggio e sia la società di quell’epoca.
Marcello Dell’Utri (condannato per associazione mafiosa) rievoca con bonomia il suo caro compagno, mettendo in rilievo le capacità imprenditoriali e gestionali di Berlusconi. Fedele Confalonieri (condannato per frode fiscale) rammenta come era difficile stare dietro al vulcanico Silvio.
E Dell’Utri e Confalonieri confidano anche come gli sconsigliarono di scendere in politica, perché ambito che non faceva per lui, anzi ci avrebbe rimesso.
Spazio anche ad Adriano Galliani (condannato nel 2006 nell’ambito di Calciopoli), che pone l’accento sul dinamismo di Berlusconi e quanto ha fatto per il Milan, riportando che è sempre stata la sua squadra del cuore. Sebbene Berlusconi per un decennio (dal 1972) abbia tentato di comprare l’Inter e Galliani fino al 1985 fosse uno sfegatato juventino.
Vittorio Dotti, che fu avvocato di Berlusconi dal 1980 fino al 1994, e poi per due anni, fino al 1996, deputato di Forza Italia, rievoca anche lui le mirabolanti gesta del Cavaliere, suo remunerativo assistito.
Ci sono poi le testimonianze di Iva Zanicchi, presentatrice Mediaset e poi europarlamentare per Forza Italia, che racconta di un Berlusconi galante e intelligente.

Testimonianze analitiche
Carlo Freccero, che si occupò della programmazione di Canale 5 e Italia 1 dal 1980 al 1983, spiega negli episodi Il pizzone e La rivolta dei Puffi, la dirompente novità che il monopolio televisivo di Berlusconi portò nella società italiana, di una democristiana concezione.
A Pino Corrias, giornalista attualmente de Il Fatto Quotidiano, spettano gli interventi definibili “di contro informazione”. Sono usualmente delle puntualizzazioni sui discorsi impostati dalle memorie dei sodali di Berlusconi. Chiaramente non sono gli interventi super dettagliati di Marco Travaglio, biografo (non) ufficiale delle gesta del Cavaliere, ma piccole precisazioni.
Ad esempio sulla disfatta del canale televisivo La Cinq in Francia (ma non sono menzionate le violazioni e le tangenti che Berlusconi diede per non far naufragare il costoso progetto, che comunque terminò nel 1992). Corrias parla anche del fallimento della catena commerciale Standa, nota perché alcuni locali furono incendiati dalla mafia come avvertimento per ricevere il pizzo.
Il giovane Berlusconi: una docuserie di parziale storicità
Ecco, il problema de Il giovane Berlusconi, che è appunto una docuserie e quindi un documentario storico a puntate, è raccontare solo in parte – o superficialmente – quella folgorante scalata mediatica che ha poi condotto Berlusconi a ottenere successo anche in politica.
Tenendo in conto il cospicuo pregresso saggistico che si è occupato di Berlusconi, uno spettatore e/o un critico che conosce quei testi e/o i documentari incentrati sul Cavaliere, rimane perplesso su tutte quelle lacune storiche e giudiziarie che contribuirono in maniera determinate all’edificazione dell’impero berlusconiano.
Certamente Il giovane Berlusconi non crea un santino del Cavaliere, però durante queste tre puntate non si parla di mafia, di P2, di mazzette e di escortaggio. Eppure nel documentario ci sono – quasi – tutti i personaggi che hanno vissuto dal di dentro quelle vicende.
Quando Vittorio Dotti accenna ai primi successi di Berlusconi, legati all’edilizia, il suo racconto è agiografico. Tralasciando che non si menziona come d’improvviso un giovane e sconosciuto imprenditore si sia ritrovato a disposizione molta liquidità pecuniaria, Berlusconi con l’edilizia non ha sempre guadagnato.
Dotti accenna alla costruzione del quartiere residenziale di Brugherio (iniziato nel 1962 con la Edilnord), dicendo che fu un successo. Invece Berlusconi riuscì ad andare in paro in extremis, quando gli appartamenti furono venduti al Fondo previdenziale dei dirigenti commerciali:
“Qui manca tutto: scuole, negozi, cinema. La gente non ci verrà”
(Carlo Rasini, fondatore della Banca Rasini, istituto in cui venivano riciclati i soldi della mafia, che diede i soldi per questa impresa)
Dotti en passant cita anche il successo edilizio di Milano 2, adducendo che fu la bravura dialettica di Berlusconi a far spostare i voli aerei del vicino aeroporto di Linate, che altrimenti avrebbero disturbato, con le loro scie acustiche, gli abitanti. È vero in piccolissima parte, perché quel successo fu ottenuto dando una lauta tangente all’assessore regionale Parisi (PSI). E all’iscrizione alla P2.
Omissis cronachistici anche quando si narra dello stretto rapporto tra Berlusconi e Bettino Craxi, in particolar modo della risoluzione politica per ripristinare le trasmissioni di Canale 5, Italia 1 e Rete 4, che nell’autunno 1984 furono offuscate da alcuni pretori perché fuorilegge, stando alle leggi sulle trasmissioni radiotelevisive di allora.
A raccontare di questo luccicante rapporto, contribuisce anche Stefania Craxi, figlia di Bettino, che al massimo evidenzia come l’unico vizio paterno, che lo accomunava a Berlusconi, era la smodata passione per le donne.
Più affresco d’epoca che biopic
Da Il giovane Berlusconi non ci si deve aspettare una completa storia del personaggio e della sua carriera. In questo caso si possono recuperare gli altri documentari, in primis Silvio Forever (2011) di Roberto Faenza, che utilizzando il materiale d’archivio racconta il Cavaliere in maniera più goliardica ma obiettiva.
Questi tre episodi, al massimo, confermano come Silvio Berlusconi sia stato un furbacchione all’ennesima potenza, che ha saputo individuare le necessità del popolo provinciale e plasmare, a sua immagine e somiglianza, il Belpaese.
La docuserie, a questo punto, diventa più utile per comprendere l’Italia di quel tempo e di come si sia espanso il berlusconismo. Un’Italia che dalla seconda metà degli anni Settanta, con l’avvento delle tv private, è stata bombardata da immagini edonistiche e consumistiche.
Tv provinciali che offrivano maggior goduria rispetto alla democristiana Rai. Nudi di donne, film non autoriali, cartoni animati e abbondanza di pubblicità che inchiodavano gli spettatori davanti lo schermo.
Ed è agghiacciante constatare come la programmazione del cartoon I puffi, nell’orario strategico dell’ora di cena, avesse reso completamente “succubi” e plagiati gli spettatori. Erano ormai schiavi della politica suadente, vanesia e consumistica di Berlusconi.
Il giovane Berlusconi: parabola mediatica
Questo assoggettamento si palesa nelle immagini d’archivio di una puntata speciale del Maurizio Costanzo Show, a ridosso di una sentenza del monopolio televisivo di Berlusconi. Un pacioso e faceto Maurizio Costanzo (che fu iscritto alla P2, beneficiando a suo tempo di un salto di carriera) si fa promotore della battaglia per ridar vita alle tre tv commerciali del suo padrone. Non solo: gli spettatori presenti in sala inneggiano a Berlusconi, come fosse un eroe che ha dato finalmente il benessere al popolo.
Gli interventi memorialistici e tecnici di Carlo Freccero, abile e navigato conoscitore del tubo catodico, sono utilissimi per descrivere quell’epoca televisiva. Freccero spiega precisamente che sebbene i prodotti televisivi proposti fossero spazzatura, erano perfetti per soggiogare gli spettatori.
E mentre i tre canali Rai si differenziavano per appartenenza politica, le tre reti di Berlusconi si differenziavano astutamente per target: Canale 5 (famiglia), Italia 1 (giovani), Rete 4 (casalinghe).
E nel terzo episodio “L’Italia è il paese che amo”, quelle tre reti saranno determinanti per l’ascesa politica di Berlusconi. Megafoni, utilizzati precedentemente dal carissimo (inteso anche a livello di mazzette) Craxi per propagandare il PSI, per lanciare Forza Italia.
Tre reti che in quei mesi, dal gennaio fino a marzo 1994, fecero proselitismo berlusconiano, con i più noti presentatori (Mike Bongiorno, Ambra, Raimondo Vianello) che palesemente promuovevano il loro padrone. Un’estensione della usuale réclame che imporchettava i programmi e i film trasmessi.
Tutte queste immagini provenienti dagli anni ’80 e primi anni ’90, sono testimonianza del perché Berlusconi è resistito in politica per quasi trent’anni. E del perché beneficiò del lutto nazionale. Per il popolo, fu martire nel 1984 e perseguitato, poi, fino alla morte.
