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‘Il Cassetto Segreto’ conversazione con Costanza Quatriglio

Con Il cassetto segreto Costanza Quatriglio racconta suo padre e anche se stessa in una delle sue opere più belle

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Presentato con successo all’ultima edizione del Festival di Berlino, Il cassetto segreto è il film del cuore di Costanza Quatriglio, quello in cui il potere di trasformazione del cinema trova il modo di convivere con le priorità della vita. De Il cassetto segreto abbiamo parlato con Costanza Quatriglio.

Prodotto da Indyca, Luce Cinecittà con Rai Cinema con il contributo di Torino Piemonte Film Commission e distribuito da Luce Cinecittà Il cassetto segreto è nelle sale a partire dal 18 Aprile 2024.

Il cassetto segreto di Costanza Quatriglio

Ho trovato una corrispondenza tra il sentimento che pervade il film e la sua parte materiale; di tuo padre raccontato sia come giornalista e uomo di cultura sia nella sua veste di genitore. Se il suo archivio è composto per lo più da una quantità ingente di volumi così il film è organizzato nella sua struttura come un libro di immagini e parole, con le varie parti della storia introdotte da titoli e sottotitoli. 

Nel film l’aspetto fiabesco e quello ludico sono connaturati a un racconto d’avventura che trasfigura un viaggio dentro un’infanzia, dentro una casa, dentro una memoria, in una sfera che riguarda molto la costruzione del sé. Da qui l’idea di un romanzo come potevano essere quelli dei grandi viaggiatori perché il tema del viaggio inteso come spostamento fisico, ma anche come accrescimento di conoscenza è ricorrente all’interno del film. In tale contesto mi sono divertita a giocare con la grafica dei libri antichi, immaginando che i passaggi della vita potessero essere illustrati attraverso i disegni che introducono i vari capitoli del film.

Sono d’accordo con te nel dire che il film in qualche modo incarna l’idea di romanzo, e soprattutto un’idea romanzesca della vita, divertendosi a riannodare i fili per trovare delle possibili genealogie. Nel suo andare a ritroso nel tempo Il cassetto segreto si confronta con una genealogia relativa non solo al rapporto tra padre e figlia, ma anche a ciò che riguarda la cultura, il mediterraneo, l’insieme della nostra società.

A sottolineare la corrispondenza tra la forma del film e le idee ivi contenute c’è il fatto di invertire la cronologia del racconto posizionando l’epilogo all’inizio del film e il prologo alla fine, laddove dici in un passaggio che filmare diventa il certificato di morte che imprime tutte le cose cercando nei fatti la loro rinascita. Con ciò attestando che nel tuo processo artistico la fine è il modo per arrivare a un nuovo inizio. 

In tutto il film c’è un percorso di rinascita attraverso il ricomporre elementi che per loro natura sono incompleti. Un esempio: fotografie che nel momento in cui si sovrappongono alla voce di Carlo Levi acquistano una nuova valenza. Ciò avvalora il fatto che l’unione di diversi elementi espressivi può portare a qualcosa che prima non esisteva.

Un passato nel presente

Il fatto di mettere insieme diversi elementi per arrivare a una nuova verità si constata anche nella continuità tra il tuo mestiere e quello di tuo padre. Come dici nel film la sua necessità di accostare alle parole dei suoi articoli elementi audio fotografici ti ha fatto capire ancora di più il senso del tuo mestiere. 

In realtà dico che mi commuove la sua vocazione di dar corpo agli articoli con le immagini e poi aggiungo di non averci mai pensato prima d’allora. Mi rendo conto che già negli anni quaranta nel suo mestiere di cronista sentiva che la parola, per essere forte, aveva bisogno di essere corredata dalle immagini. Caratteristica che, come giornalista, si è portato dietro per tutta la vita. Nell’archivio ho trovato delle lettere del 1949 in cui un collega tedesco gli chiedeva i negativi di fotografie di Berlino perché lui era stato l’unico a scattarne. Questa cosa mi ha molto colpito perché testimonia l’eccezionalità della cosa. Mio padre non si era mai considerato un fotografo, ma quegli scatti per lui derivavano da un bisogno anche fisico di completare i suoi ragionamenti attraverso un ulteriore supporto.

Pur parlando del passato Il cassetto segreto è un film profondamente contemporaneo non solo nei temi, ma anche nello sguardo. Con questo mi riferisco non solo al tuo, ma soprattutto a quello di tuo padre. A testimoniarlo è innanzitutto la parte del repertorio fotografico in cui la necessità di raccontare il momento è accompagnata da una compostezza compositiva che riesce a fare a meno del superfluo.

Trovo che quelle fotografie restituiscano un’urgenza dello sguardo in cui non c’era spazio per la ricerca di un’estetica compositiva. A dircelo sono soprattutto gli scatti in cui si capisce il bisogno di cogliere il momento o anche lo sguardo dell’altra persona. Le facce rivolte verso la macchina fotografica sanciscono il suo incontro con la parte del mondo che andava a conoscere.

L’inizio de Il cassetto segreto di Costanza Quatriglio

La prima sequenza mi sembra simbolica rispetto al modo in cui hai realizzato il film. In essa tuo padre, oltre a darti il permesso di fare luce sulla parte più intima della sua vita, ti lascia la responsabilità di scegliere cosa far vedere e cosa tenere fuori. Come pure di prendere decisioni importanti come lo è quella di dissotterrare le sue ceneri dal giardino di casa per metterle nella tomba di famiglia. 

Come ho spiegato prima, in quella decisione c’è un atto di disobbedienza indispensabile per acquisire la consapevolezza e l’autonomia che mi ha permesso di appropriarmi e nello stesso tempo imparare a lasciare andare quello spazio. La disobbedienza risiede nel fatto che, mentre il dialogo tra me e mio padre a proposito del suo lavoro e dei suoi interessi avviene nel 2010, epoca in cui era lui a essere parte della casa, le riprese relative al lavoro degli archivisti e dei bibliotecari in vista della donazione alla Regione siciliana testimoniano il modo in cui mi sono riappropriata di quello spazio. Non a caso lo sguardo con cui lo faccio ha lo stupore e il gioco tipico di una bambina che apre la porta e trova delle sorprese. Dunque, accanto all’avventura romanzata della vita di un uomo c’è anche un discorso su elementi simbolici quali la casa, la città, la Sicilia, la lingua madre, mia madre che appare poco, ma in modo fondamentale.

Il rapporto con tuo padre comprende anche la condivisione del nostos. Come lui, anche tu ti sei allontanata dalla tua terra per poi tornare laddove sei partita.

Lui in realtà non vi è mai tornato perché non l’ha mai lasciata: se da una parte ha portato dentro la sua casa i viaggi e le testimonianze di una vita trasformandola in una casa mondo, dall’altra ha continuato a viaggiare sempre tornando a casa. Da parte mia ho riscoperto la Sicilia attraverso il mio lavoro, dunque la mia è una posizione privilegiata, derivata dalle necessità del mestiere che ho scelto.

Una leggerezza giocosa

Il cassetto segreto è attraversato da una leggerezza giocosa e da un pudore che appartiene tanto a tuo padre che a te. Mi viene in mente il passaggio in cui si racconta che il direttore del giornale fa recapitare a tuo padre, inviato in Spagna, una missiva in cui scherza a proposito delle ragazze in lutto per la sua prolungata assenza. Una maniera discreta, ma divertente per rivelare l’ascendente che aveva tuo padre nei confronti del mondo femminile, in linea con quella vita romanzata a cui accennavi prima. 

Lì stiamo parlando di una lettera del ’48 spedita a un ragazzo che non aveva più di ventisei anni. Di un giovane dell’età che hanno oggi i miei allievi del Centro Sperimentale che però all’epoca, come molti coetanei, era già un uomo fatto.

In effetti da come appare nelle foto sembra più grande della sua età.

Nel 1947, a 25 anni, era già inviato a Parigi, poi in Spagna, ed è quando si trovava a Madrid che ha ricevuto la lettera scherzosa del direttore del giornale che scriveva le ragazze di Palermo piangono lacrime a fiumi per la sua lontananza. È una cosa simpatica che mi ha fatto molto sorridere. Senza dimenticare di come questo mi ha permesso di arricchire il viaggio nel Novecento, restituendolo non solo attraverso i grandi eventi, ma anche mediante l’immaginario con cui è stato interiorizzato: come testimoniano la collezione fotografica di donne vestite come le grandi attrici del momento, oppure gli scatti americani all’interno della redazione del giornale che sembra uscita da un film di Billy Wilder. L’appartenenza di quelle immagini al nostro vissuto è la stessa che scaturisce dalla consapevolezza di una storia comune che parte dal Mediterraneo e che mio padre aveva molto chiara.

Un altro passaggio divertente, e come tanti segnato dall’identificazione tra forma e contenuto, è quello in cui constati come anche tu e tua madre siate entrate a far parte dell’archivio di tuo padre nella stessa maniera in cui lo sono stati gli altri materiali.

Sì, è stata una cosa molto bella scoprire che mio padre aveva conservato gli articoli e le fotografie della cerimonia di consegna a mia madre della toga d’oro, premiata per essere arrivata prima negli esami di procuratore legale. Ritagliare un articolo del genere in cui questa giovane signora si ritrova circondata dai grandi avvocati dell’epoca ci stava. Per contro non mi sarei mai immaginata che il tutto avesse trovato posto all’interno dell’archivio. Questa, come altre scoperte, hanno accompagnato la conoscenza sempre più profonda della personalità di mio padre.

Inizio e fine ne Il cassetto segreto di Costanza Quatriglio

Epilogo e prologo, ovvero la cornice entro cui racconti l’avventura di una vita, sono entrambi caratterizzati dalla presenza della casa di famiglia che, in tale contesto, assume una funzione non solo materiale, data dalla collocazione dell’archivio, ma anche simbolica, in quanto collettore di un mondo affettivo ed esistenziale che coincide con la Sicilia e con il mondo, ovvero gli antipodi che hanno fatto parte del viaggio di tuo padre e poi del tuo.

Beh, sì, diciamo che è una casa decisamente siciliana perché gli interessi di mio padre erano molto legati alla sfera della Sicilia come dimostra il contenuto della biblioteca, legato alla cultura e all’arte del novecento siciliano. Si tratta di un patrimonio abbastanza prezioso per chi vuole conoscere la storia della Sicilia.

La trama del film prende spunto da un evento molto concreto ovvero dalla procedura di donazione alla regione siciliana dell’archivio Giuseppe Quatriglio dichiarato di interesse culturale dalla sovraintendenza archivistica della Sicilia, archivio di stato di Palermo. Di esso fanno parte tra gli altri 10000 volumi, 60000 scatti fotografici, dal 1947 a oggi 22 ore di riprese in bobine da otto millimetri e centinaia di registrazioni. Si fatica a immaginarlo dentro la vostra casa. 

Effettivamente non era rimasto un metro libero e questo il film lo racconta con precisione. Era una casa stracolma di storia.

Due momenti importanti

A dominare il giardino della casa è il grosso albero che a un certo punto decidi di potare. Fare luce sul giardino sgomberandolo dall’erba incolta assume una valenza metaforica, equivalendo a fare luce sulla vita di tuo padre.

In parte sì. Il giardino è molto siciliano nel senso che, oltre al valore simbolico, porta con sé quello iconografico, raccontando moltissimo di Palermo. Si tratta di un ficus magnolioide simile a quello presente a piazza Marina dove c’è il palazzo dell’inquisizione spagnola di cui ho ripreso le carceri. È un albero divenuto emblema della sicilianità.

Un’altra sequenza esemplare è quella in cui sentiamo i tuoi vagiti mentre tuo padre ti canta una ninna nanna. Il fatto di rimanere sull’immagine del registratore acceso sottolinea l’importanza dell’archivio, del suo essere una cosa viva. Ancora una volta nel film i sentimenti si mescolano con una riflessione sul cinema documentario che ti appartiene. In effetti ne Il cassetto segreto ci sei tu come regista e come documentarista in una sorta di backstage in cui la metodologia del tuo lavoro è riconoscibile all’interno del processo di scoperta e selezione del materiale presente nell’archivio di tuo padre. 

Questa è forse più una tua riflessione che però mi fa molto piacere. Considero questo film un gesto cinematografico e come tale nato in maniera spontanea, per cui tutto quello che avviene dopo in termini di consapevolezza è legato al fare. In quel frangente il cinema si è manifestato per accompagnare la vita che comunque ha sempre mantenuto la priorità su tutto il resto, nel senso che per me la cosa più importante era portare a casa il lavoro: fare le cose per bene, accompagnare i bibliotecari, stare con loro, guidarli all’interno della casa, aiutarli a trovare i fili e le connessioni. Il cinema ha seguito la vita.

Costanza Quatriglio dietro e davanti la mdp ne Il cassetto segreto

Nella tua filmografia Il cassetto segreto rappresenta un inedito perché è la prima volta che ti vediamo davanti alla mdp, per di più alle prese con una dimensione intima come quella del rapporto filiale. Dovendone scegliere una mi viene in mente la tenerezza con cui, a un certo punto, rassicuri tuo padre preoccupato di non essere a posto per comparire davanti alla mdp. 

All’inizio lui si scherniva perché non voleva essere ripreso, poi a un certo punto ha iniziato a preoccuparsi di apparire bello, a dimostrazione della capacità del cinema di trasformare la realtà a diversi livelli. Lo ha fatto nel 2010, mediando tra me e mio padre che un poco alla volta si è aperto iniziando a raccontarsi davanti alla mdp. Ovviamente tu devi essere all’altezza di questo potere, riuscendo a capire che strada devi scegliere e come comportarti.

Un potere di trasformazione quello del cinema che riguarda anche il grado di conoscenza. Nel corso del film arrivi a dire che lo studio dell’archivio ti ha fatto scoprire aspetti della personalità di tuo padre che prima ignoravi, come per esempio, la sua affabilità.

A questa aggiungo anche il suo essere ordinatissimo. Si tratta di entrare nella logica della persona e io ho imparato a farlo osservando il lavoro degli archivisti che un poco alla volta hanno capito il metodo con cui mio padre conservava i documenti. A quel punto per loro è stato come se lo avessero conosciuto da sempre. Con il passare del tempo mi sembrava che riuscissero addirittura ad anticipare le sue mosse.

Sintonia, anche vocale

Una sintonia, quella con il tuo genitore, testimoniata anche dalla presenza delle vostre voci, la tua in primis, quella di tuo padre in seconda battuta, chiamate a commentare fuori campo le diverse fasi della storia.

Riferendoti a quella di mio padre tu intendi quella dei filmati del 2010?

Sì, e più in generale mi rifaccio alla sensazione avuta come spettatore che quella di tuo padre sia comunque presente perché spesso la sentiamo anche nei file audio delle interviste da lui realizzate. 

Per certi versi è vero. È come se si imponesse la presenza attraverso l’assenza.

Tra di voi esiste un dialogo che si realizza facendo coincidere diversi piani di percezione. Il tuo, che è parte integrante della regia, e quello di tuo padre, che è del repertorio messo in campo dal film. Peraltro negli audio delle interviste realizzate da tuo padre a personaggi importanti della nostra storia, oltre alla passione e all’amore per il suo lavoro, emerge anche una nota del suo carattere perché il tono della voce con cui interloquisce con l’altro è sempre privo di enfasi e di retorica. Sempre un passo indietro, per non togliere importanza a chi gli sta davanti.

Sì, questa cosa l’ho notata anch’io. In generale nell’incontro con l’altro non aveva manie di protagonismo. Nel riempire la casa della sua documentazione forse sì, e lo dico come figlia, ma come regista sono d’accordo con il tuo punto di vista.

Così succede, per esempio, nel corso dell’intervista a Carlo Levi. Il tono della sua voce è sempre composto.

Succede quando dice che il riscatto è difficile. In quel momento si parlava del Mezzogiorno e delle sue piaghe e lì emerge la consapevolezza del suo essere un uomo del sud che conosce la condizione della sua terra.

Un po’ di divertimento

Una delle scene più iconiche del film è quella in cui ti vediamo ballare in una delle stanze della tua casa. Detto che a me ha ricordato la danza della vespa di Moretti in Caro Diario, quella sequenza crea uno scarto di leggerezza rispetto alla pesantezza fisica dei libri e a quella del lavoro manuale necessario alla loro catalogazione. 

La ripresa del ballo è stata estemporanea ed è nata come un gioco. Era il modo che avevo scelto per salutare i libri nel momento in cui stavano per lasciare la casa.

Dicevamo di come il film sia pieno di momenti divertenti. Tra questi c’è quella in cui inizi a ridere mentre dici alla persona all’altro capo del telefono di richiamare per ripetere la ripresa.

In realtà quella non era una messa in scena, nel senso che stavo telefonando al traslocatore per sapere quando sarebbe arrivato. Questo per dire che tutte le riprese del film nascono nella profonda verità delle cose che accadevano. La volontà di svelare il trucco della messinscena, come succede in questo caso, è stata istintiva, capivo che non potevo non fare anche una riflessione sull’atto stesso del filmare.

A metà film c’è quella vertigine visiva provocata dalla rivoluzione della mdp, con ciò alludendo al cambiamento radicale imposto nello spazio famigliare. 

Sì, è vero stavo facendo la rivoluzione! Rivoluzione è la parola esatta. E come ogni rivoluzione è stata faticosa e ha avuto un costo.

Allo sguardo contemporaneo del film contribuiscono le scelte musicali caratterizzate da suoni moderni e allo stesso tempo intimi. 

Ho deciso di lavorare attraverso i generi musicali nel senso che c’è anche un occhio agli anni Ottanta, ma anche agli anni Sessanta o ai Novanta, poi la musica classica e le sue rivisitazioni. Mi sono permessa di giocare con la musica chiedendo alla cantante di considerarsi un alter ego narrante perché con la sua voce interpreta come se fosse un’attrice i vari momenti del film.

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