Ha ufficialmente preso avvio il Lovers Film Festival, giunto alla sua 39° edizione, in quel di Torino. La prima serata, introdotta dalla direttrice Vladimir Luxuria e dalla madrina Maria Grazia Cucinotta, non poteva che essere una festa. Tra amici ed amiche, volenterosi di festeggiare “la libertà, l’uguaglianza e l’assenza di pregiudizio”.
Dopo i doverosi saluti, ringraziamenti e qualche canzone intonata (con grande partecipazione del pubblico in Sala Cabiria, al Cinema Massimo) dalla frizzante Tekemaya, lo spettacolo ha davvero potuto avere inizio. Un particolare omaggio, ancora, è stato rivolto a Sandra Milo, icona del cinema italiano da poco scomparsa, a cui quest’edizione del Festival è dedicata.
Ad aprire le danze, Duino del regista Juan Pablo Di Pace, presente in sala. Il film risponde al genere drammatico/sentimentale ed è una produzione USA/Argentina/Italia. Tra i protagonisti, lo stesso Juan Pablo Di Pace, Jóhannes Haukur Jóhannesson, Krista Kosonen e Santiago Madrussan.
Duino al Lovers Film Festival: il tema dell’amore e della libertà
Duino di Juan Pablo Di Pace è un fulgido esempio di “movie that make you move”, come recita la locandina di quest’edizione del Lovers Film Festival. Un film che muove, nell’accezione di smuovere. Ricordi, pensieri, prese di coscienza, atti mancati. Ed ancora, un film che muove, nel significato letterale del termine: i due protagonisti vengono da due mondi culturali, geografici e sociali diversi. Matias (Santiago Madrussan/Juan Pablo Di Pace) si trasferisce dall’Argentina per studiare in Europa, presso il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, con una borsa di studio. Alexander (Oscar Morgan/August Wittgenstein) può contare su una famiglia economicamente agiata, che si occupa della sua istruzione senza riscontrare particolari difficoltà: anche lui, ad ogni modo, si trova a Duino, trasferitovisi dalla Svezia. L’incontro tra i due giovani è solo apparentemente casuale: è in verità il risultato di tentativi, per quanto ancora immaturi, di scoprire se stessi e l’altro da sé, in accordo con chi – nel profondo – si sente di essere.
Duino è richiamo, presenza, ricordo e dolore. Quel luogo c’è sempre, anche quando i suoi personaggi non lo abitano più fisicamente, perché cresciuti. Un posto che racconta e testimonia l’amore, particolarmente sofferto, tra due giovani ragazzi, che tentano di sfiorarsi ma che per paura ritraggono la mano. Non ci può essere Duino senza il terrore della scoperta, che apre la porta al desiderio e all’accettazione di sé. Lo diceva proprio Rilke, poeta praghese autore delle Elegie duinesi (1923), dopotutto, che la bellezza non è che l’inizio del terrore.
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Un tempo che va, un tempo che viene ma sempre lungo l’asse di Duino
È il luogo di Duino a dettare la linea del tempo del film di Juan Pablo di Pace. Ciò è evidente fin dal principio del lungometraggio: le vite di Matias ed Alexander da piccoli, poi adulti, i ricordi, le figure genitoriali, si sovrappongono continuamente. La dimensione temporale appare quasi confusa, eppure l’intento alla regia è sapientemente tracciato ed esplicitato: la giovinezza dei due protagonisti non è altro che un richiamo, mai qualcosa di compiuto in sé, o che goda di una coerenza narrativa autonoma.
C’è qualcosa che manca. Non a caso Matias, ora cresciuto e divenuto regista, non riesce a portare a compimento il suo film proprio per questo motivo: non ha la chiave adatta per leggere il presente e scrivere un finale per il suo lavoro. Ad opprimerlo, una vaga sensazione di insoddisfazione. L’origine di questo vuoto è da ricercare – necessariamente – nella circostanza specifica che ha “rotto” l’equilibrio temporale fra ieri e oggi. Una privazione, che si trasforma in repressione – velata o meno che sia – e che si traduce, infine, in dolore. L’impossibilità di vivere un amore omosessuale, perché ritenuto “strano”, “pericoloso”. È questo il nodo che Matias regista deve risolvere nel tempo presente se vuole completare il proprio lavoro, che non è altro che la storia della sua vita. O almeno, un pezzo di essa.
Per riuscirci, il protagonista deve però – altrettanto necessariamente – tornare indietro nel tempo (ed ecco che la dimensione temporale si modella a favore delle esigenze della narrazione filmica) per trovare il momento ed il luogo in cui è davvero riuscito ad essere se stesso, libero da pregiudizi e paure: a Duino, al fianco di Alexander. Un tempo adesso concretamente irraggiungibile, ma di cui finalmente – una volta elaborato il dolore – ci si può riappropriare pienamente.