La dodicesima edizione del Prato Film Festival è stata anche l’occasione per un’intervista a Luc Merenda, star e icona del genere poliziottesco anni ’70. Tra gli ospiti d’onore del festival l’intervista a Luc Merenda ha permesso all’attore francese di raccontarsi e raccontare il suo cinema.
In due serate sono stati presentati due titoli ai quali ha preso parte: Le 24 di Le Mans e Milano trema: la polizia vuole giustizia.
Intervista a Luc Merenda
Nonostante il poco minutaggio, nel tuo curriculum c’è anche il film Le 24 ore di Le Mans. Cosa puoi raccontare di questa esperienza?
Prima di tutto devo dire che io adoravo McQueen come attore, poi per lavoro c’è stato naturalmente un rapporto diverso. Sono rimasto cinque mesi sul set e alla fine mi sono rimasti pochi secondi nel film. Però non potevo dire di no, lui mi piaceva e poi ero ferrarista. Poi questo è un film che ti dà voglia di sopportare e migliorare continuamente. Non a caso due anni dopo ho fatto un film da protagonista, quindi ho avuto ragione a sopportare.
E poi ci sono dei collegamenti tra questo e i tuoi film successivi. Mi viene in mente l’azione, l’adrenalina che sono presenti sia ne Le 24 ore di Le Mans sia nel film Milano trema: la polizia vuole giustizia. E poi il fatto che sei stato un atleta ed è una cosa che ritorna nei film con varie acrobazie.
In Le 24 ore di Le Mans avevamo la macchina da presa attaccata all’auto. Mi divertiva competere durante il film, ma poi avevamo delle parti precise da rispettare. C’è stato indubbiamente un grandissimo lavoro da parte di coloro che si occupavano di effetti speciali e che, prima di questo film, si erano occupati di carri armati.
Per quanto riguarda il resto, ho fatto vari sport e posso dire di essere (stato) fortunato fisicamente parlando. Poi sono dell’idea che l’attore debba fare il possibile per dare il più possibile al pubblico.
E alla fine tutto questo è stato un allenamento per i film successivi. Si può definire il tuo ruolo come quello di un poliziotto anomalo?
Di base è un mestiere molto difficile quello del poliziotto perché sei al servizio di tanta gente, anche da proteggere. Lì, poi, c’erano dei casi particolari, c’era la mala. E i poliziotti non sono solo quelli che fanno la multa, c’è anche gente che muore facendo questo mestiere. Milano trema è stato il mio primo poliziotto di successo.
Intervista a Luc Merenda: i personaggi
Hai avuto delle dritte particolari per questo ruolo? Ti sei ispirato a qualcuno in particolare?
I primi tre film poliziotteschi che ho fatto erano particolari. Nel primo c’era un interrogatorio e una persona che cadeva dalla finestra, in un altro il direttore dei servizi segreti lavorava con la mala e il terzo ero un poliziotto più pericoloso, corrotto perché mi piacevano le donne e le belle macchine, ma ero contrario alla droga e alle armi quindi, alla fine, non ero così corrotto (ride, ndr).
E poi i tuoi personaggi hanno dei tratti ancora attuali.
Tutti i fatti sorprendenti si ripercuotono, la corruzione, per esempio, esiste da 2000 anni, non ci si può sorprendere che esista ancora oggi. Sono film diventati tutti stracult e anche a distanza di 35/40 anni la gente mi riconosce come allora.
C’è una frase interessante che pronuncia il tuo personaggio in Milano trema: la polizia vuole giustizia. Si definisce un poliziotto un po’ speciale. Sei d’accordo?
Sì, perché essere un poliziotto è sacrificio, ma è anche qualcosa di mortale. Poi si ha talmente tante opportunità di fare cose che se si fa questo mestiere c’è un potere che può portare anche a uno sbandamento. Ma le cose oggi sono identiche; noi lo abbiamo fatto vedere pensando che si poteva migliorare. E poi per fare carriera è più facile se si accettano dei compromessi.
Infatti non hai fatto solo il poliziotto nella tua carriera, ma anche ruoli comici.
Penso che un attore debba passare per tutti i generi. Sono stato chiamato anche per questo tipo di film perché è anche più facile. E poi il mio sogno era fare la commedia. Mi dicevano che non avevo il fisico, ma credo non ci sia un fisico per fare la commedia.
Il documentario Pretendo l’inferno
Prima di concludere non posso non chiederti del documentario presentato a Bari, Pretendo l’inferno.
Posso dire che è stata un’epoca orribile e stupenda allo stesso modo. Quando sono arrivato in Italia ho fatto un western, poi piano piano altri film. Avevo voglia di chiudere un certo tipo di carriera con determinati film. In quegli anni ho fatto Italia: ultimo atto? dove uccidono il primo ministro (come poi è veramente successo mesi dopo). Nonostante, quindi, il momento storico particolare è un periodo molto bello che ricordo con piacere.
E questo documentario ti permette di farti conoscere a tutte le generazioni, non solo a quelle che hanno vissuto in prima persona il poliziottesco degli anni ’70.
Sì, anche perché se quei film sono diventati dei cult significa che non era come certe critiche li avevano etichettati.
Qual è stato il tuo contributo a questo documentario?
Volevo che ci fossero quegli specifici intervistati, così come i film che mi piacevano. Anche se ci sono state difficoltà finanziarie (non ci sono, per esempio, alcuni film che avrei voluto). Però il risultato finale è molto soddisfacente.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli