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‘The Painter’: la spy story nostalgica

Su Paramount+ una spy story con Jon Voight diretta da Kimani Ray Smith

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Su Paramount+ il film The Painter diretto da Kimani Ray Smith e scritto da Brian Buccellatto. Prodotto dalla SP Media Group, i protagonisti Charlie Weber e Jon Voight sono affiancati da Madison Bailey, Max Montesi e Marie Avgeropoulos.

IL TRAILER – The Painter

Conti col passato – The Painter

Il secondo lungometraggio dell’ex stuntman Ray Smith si contraddistingue per un’evidente approssimazione nel linguaggio e per essere stantio nella messa in scena. Eppure non si riesce a non volergli bene apprezzandone l’ampia dose di ritmo che si porta dietro. The Painter nella sostanza è qualcosa di già visto, unito ad un tentativo seppur refrattario di innovare il genere. Unendo con difficoltà la monotonia della prevedibilità con l’ampia adrenalina di cui è costituito il film. La storia è arcinota. Il migliore agente operativo della CIA ha fatto tabula rasa rispetto al suo passato. Colpa di un’operazione andata male e per la quale ha cancellato tutto ciò che è stato. Il personaggio interpretato da Weber, Peter Barrett, ora fa il pittore, lontano ma vicino da quel sintetico flashback iniziale che Buccellato ci fornisce. L’attesa di essere padre e la distruzione di quel sogno.

La spy story godibile

Perdere la figlia che tanto aspettava in The Painter equivale anche a far perdere al protagonista il solido matrimonio con la moglie, Elena, valida agente dell’agenzia di spionaggio. Ma il film in particolar modo vive del suo caratterista che splende di luce propria. Jon Voight assume le fattezze di ciò a cui ci ha abituato almeno dagli anni ottanta. Voight fa Voight, il padre affettuoso del protagonista, Byrne, poi spalla per la fuga, fino a grande doppiogiochista che tiene le redini del quadro narrativo. Il film Paramount delinea il brevissimo viaggio solitario intrapreso  da Barrett.

Il classico percorso dell’eroe action che nel cinema hollywoodiano ritorna sempre per dei conti che non ha chiuso o per un blocco psicologico di non finito che deve riattivare. Peter Barrett è un po’ Stallone in Cliffhanger e un po’ Jason Bourne in procinto di combattere il sistema. Ma, al netto delle ambizioni derivative di Ray Smith, The Painter prova a stare lontano dal classico sparatutto, non potendolo però evitare in assoluto, concentrandosi sull’amore paterno e la disabilità come super potere.

 Il desiderio di famiglia  – The Painter

La famiglia è al centro di tutto in The Painter. L’agente dimissionario Peter, con il suo atteggiamento volutamente ascetico, si isola dall’Agenzia del dolore. La morte ha annientato la sua speranza di famiglia normale. E non è casuale che il protagonista debba rimettere le mani nella stessa melma da cui è uscito per ricongiungersi con chi aveva perso. La figlia ritrovata, Sophia, creduta morta prima di nascere, instilla nel film quel desiderio di paternità che anche gli eroi duri dell’action possono provare. Barrett è un personaggio che agisce in funzione di qualcosa. Le sparatorie, l’adrenalinico buttarsi nella mischia per difendere il suo passato, la vendetta per l’ex moglie uccisa e la protezione del futuro sulla nuova parte di sé emersa iniziano e chiudono il quadro del film nella sua componente tematica sentimentale.

A differenza di quello che si potrebbe pensare il titolo non c’entra nulla col film, e nemmeno la pittura. Peter forse nemmeno sa disegnare. Quell’espediente, il dipingere e la barba incolta, servono a chi guarda per delineare un personaggio in balia di ciò che ha perso e che vorrebbe tanto ritornasse. Anche il rapporto col padre è talmente conflittuale che nessuno dei due può fare a meno dell’altro. È sempre il personaggio di Voight che camuffato segue il figlio nella sua parentesi solitaria dalla CIA a Vancouver. Per sorvegliarlo certo come si capirà alla fine del film, ma l’intento di The Painter rimane ben saldo. Legare la narrazione ai rapporti. Alle dinamiche sentimentali ed emotive connesse all’illusione di Peter Barrett di risolvere il suo passato e continuare a dipingere.

L’assenza di reali villain, la disabilità sussurrata – The Painter

Il problema di The Painter è aver deciso a monte di puntare sul richiamo del solito Voight e su una storia ampiamente ripetuta in tutte le salse per credere di essere un buon film. Perché il fatto che si lasci vedere non implica che l’operazione sia riuscita. In un film su un padre e una figlia ci si aspetterebbe una dinamica paritaria. Se infatti Charlie Weber è abbastanza caratterizzato anche più del dovuto, Madison Bailey sembra più un oggetto vago, in cerca del padre e poi strumento nelle mani del nonno.

Sophia mostra qualcosa nelle scene chiavi, nel finale, ma in generale non riesce mai a prendere il controllo del film. La questione del super-udito è interessante. Barrett ha una disabilità all’orecchio per il quale porta delle cuffie con cui si orienta nell’azione, come anche il suo ipotetico nemico sulle sue tracce per tutto il film, Ghost,  che è cieco. L’idea che questa serie di soldatini della CIA, alla Nikita, potessero proiettare delle proprie imperfezioni risulta in apparenza la specialità del film.

Jon Voight sublime caratterista

Un’intuizione che rimane non approfondita per garantire l’etichetta dell’action-man inclusivo. Se Ghost non è mai quel cattivo che appariva nella prima parte di The Painter, lo stesso si può dire per le figure femminili strumentalizzate. Come la cattiva Naomi, sadica e spietata, reggente di un reparto dell’agenzia che sembra trovarsi in uno scantinato e che esiste come tutte le donne del film per esaltare il cuore nobile di Peter e la manipolazione affaristica di Byrne. La mancanza di reali villain influisce su una spy story senza infamia e senza lode, negandone certe note tra le righe. La corruzione della politica grazie al personaggio di Voight e la riflessione sull’etica dello spionaggio e del potere statale portata da Peter fino al climax finale, vengono sussurrati e messi in mezzo come plot twist o intervallo tra un combattimento in steadycam e un sentimentalismo melodrammatico.

The Painter è un film che si lascia vedere, condizionato com’è dalla superficialità di scrittura e di estetica. Il finale sembra presagire un sequel e l’attaccamento padre e figlia destinato a non finire mai.

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