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Middle East Now

‘My Stolen Planet’ un diario visivo di memorie collettive

Nata in Iran nel 1979, durante la rivoluzione islamica, Farah riprende momenti di gioia e sfida nella sua vita quotidiana, muovendosi tra libertà domestica e oppressione esterna.

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Dopo essere stato presentato in anteprima nella sezione Panorama della Berlinale e al Bolzano Film Festival, My Stolen Planet, il film documentario diretto dalla regista iraniana  Farahnaz Sharifi é stato presentato oggi al Middle East Now.

Combinando media d’archivio con una voce fuori campo apertamente politica, Sharifi attinge da archivi personali della sua vita filmati girati nel corso degli anni, foto e video di altri iraniani e filmati più generali sulla protesta e la resistenza iraniana. Nata nel 1979, Sharifi ha vissuto la sua infanzia esattamente all’indomani della rivoluzione iraniana, che ha inquadrato la sua vita di ragazzina in termini di diritti e libertà limitate, esemplificati dall’hijab obbligatorio.

Descrive uno scisma che nasce tra il mondo liberatorio all’interno della sua casa e il mondo confinante fuori casa: due “pianeti” li definisce e descrive il mondo esterno governato dall’ordine socio-legale del nuovo regime.

Archivi

The Archive Is a Part of My Soul, Part of My Body, Part of My Life’

Donne che ballano, donne che cantano, donne che bruciano il loro hijab: questi atti di sfida danno forma al lungometraggio d’esordio della regista.

Prima del suo lungometraggio, Sharifi ha realizzato otto cortometraggi mentre lavorava come montatrice per documentari, tra cui “Radiograph of a Family” di Firouzeh Khosrovani, vincitore dell’IDFA.

Usando lo stile saggistico di un diario, My Stolen Planet presenta la gioia e la vivacità in contrasto con l’oppressione irreggimentata di Teheran, e lo fa utilizzando sia gli archivi personali della regista che i filmati in 8mm delle vite di estranei.
La metafora del titolo deriva molto probabilmente dalla doppia vita che le persone conducono in Iran: c’è il ‘loro’ pianeta (quello del regime) e poi c’è il pianeta personale.

Nata nel 1979, durante la rivoluzione islamica in Iran, Sharifi da allora ha sentito storie di una società diversa, di una vita diversa. La separazione tra “tu” e “loro” è fondamentale nel modo in cui la descrive come una situazione in cui “tu hai i tuoi valori, le tue relazioni, mentre loro hanno una comprensione diversa di tutte queste cose. Per questo ci chiedono di dimenticare il passato e di fare la loro storia”. 

Per le donne iraniane e le documentariste come Sharifi, il rapporto tra dimenticare e ricordare è un’ancora di salvezza da preservare. Le vecchie fotografie di famiglia e gli archivi video dimenticati sono visti dalla regista come il suo “legame diretto con il passato” e fungono da ponte.

 

Un lavoro di ricerca

una sorta di dovere, per salvare questa storia”.

È stato alla scuola di cinema che la regista ha lavorato per la prima volta con materiali d’archivio  e da allora non ha mai smesso di farlo. Volti noti e sconosciuti sono apparsi nell’inquadratura mentre raccoglieva e scansionava i rullini che le persone hanno lasciato, sepolto o cercato di bruciare dopo la rivoluzione. Racconta che all’epoca non c’era alcuna intenzione di utilizzare questo filmato in un film in particolare, descrivendolo solo come una cosa che sentiva di Dover fare .

Intorno al 2018, ha pensato di includere gli archivi di estranei in un progetto lungometraggio per mostrare come le persone possano vivere liberamente, ballare e godersi lo stare insieme come ai tempi pre-rivoluzione, nel confinamento sicuro delle loro case. “Un filmato del nostro pianeta”, ammette.

Sharifi ha scritto, diretto, girato e montato “My Stolen Planet”, ed è presente in tutto il film, con la sua voce e il suo volto.

Ero sempre dietro la macchina da presa“, dice la regista che si sente più  come un’ osservatrice con la sua abitudine di registrare tutto.

Queste microstorie e la storia personale di Sharifi ,dalle foto di bambina che fa il suo ingresso a scuola, alle prime riprese col cellulare, si affiancano ai video delle proteste scatenate dalla morte di donne sacrificate per la libertà. Tra di esse  Mahsa Amini nel 2022. Questa finestra apre la riflessione personale del film sulle nuove generazioni di donne iraniane.

Nel 2020, Sharifi si è recata in Germania come parte di una residenza d’artista per finire “My Stolen Planet” e ha fatto un montaggio preliminare prima che le donne scendessero in piazza in Iran.

My Stolen Planet. Due mondi

Il personale e il politico si mescolano e sono interessanti da ascoltare i racconti dell’infanzia, la maturazione della consapevolezza di come si parlasse di armonia e pace mentre nelle case troneggiava sui muri l’immagine di Komehini e gli  uomini venivano sequestrati come prigionieri politici, seviziati e uccisi.

My Stolen Planet è pieno di storie e storie di donne, ma la regista ci ricorda che gli archivi sono anche memorie con le loro trame e i loro colori.

Non è solo qualcosa che riguarda il passato, né qualcosa di nostalgico. Per me gli archivi sono un senso di identità, e mi piace essere connesso con la storia non solo per trovare me stesso, ma per identificarmi. L’archivio è una parte della mia anima, una parte del mio corpo, una parte della mia vita.

E’ un viaggio che parte da una foto in bianco e nero che ritrae una bambina col velo in testa mentre fa il suo ingresso a Scuola per la prima volta e la voce di Sharifi che commenta fuori campo:

La prima cosa che ci insegnarono fu di desiderare la morte degli altri..

Appena tornata a casa da scuola si toglieva il velo capendo  che la vera libertà è quella di poterti vedere come tutti gli altri.

 

My stolen planet

  • Anno: 2023
  • Regia: Farahnaz Sharifi

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