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In Sala

Grandi Speranze

Un misterioso benefattore offre a un ragazzino rimasto orfano, la possibilità di riscattarsi dalle sue umili origini. Pip, questo il nome del giovane, usa la sua nuova posizione sociale per corteggiare la bella Estella, un’ereditiera viziata, educata ad essere glaciale e senza scrupoli, della quale lui è perdutamente innamorato sin dall’infanzia…

Pubblicato

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Anno: 2012

Durata: 128′

Nazionalità: Regno Unito

Genere: Drammatico

Regia: Mike Newell

Distribuzione: Videa – C.D.E.

Uscita: 6 Dicembre 2012

Pochi sanno che, nonostante ci siano stati numerosi adattamenti televisivi, sono passati in realtà sessant’anni dall’ultima trasposizione cinematografica di Grandi Speranze (se si esclude la rivisitazione  dell’opera in chiave moderna di Alfonso Cuaròn Paradiso Perduto del 1998). Forse perché, a ragione, molti autori hanno ritenuto impresa impossibile condensare un’opera così complessa e ricca di sfaccettature come quella di Charles Dickens in un film di due ore.  Sfida che invece il noto sceneggiatore David Nicholls e il regista Mike Newell  hanno accettato, coinvolgendo un cast stellare di attori britannici di prim’ordine, da Helena Bonham Carter a Ralph Fiennes, passando per Sally Hawkins e Jason Flemyng.

Nonostante Great Expectations  sia  un classico per eccellenza che si concentra sul percorso di vita di un ragazzo, Pip, sul suo tentativo di capire chi è e chi vuole diventare, sarebbe riduttivo definirlo semplicemente un romanzo di formazione. Perché Grandi Speranze è un’opera poliedrica, popolata di personaggi memorabili. L’eroe dickensiano è ancora una volta un bambino danneggiato  ma in Grandi Speranze non è solo l’infanzia ad essere violata.  Ci sono adulti che cercano di ricucire i pezzi della propria vita e gli strappi emotivi dell’abbandono, c’è la povertà e la vendetta, c’è la lotta di classe e il desiderio,  quello bruciante di essere chi non si è o di riuscire ad amare  e c’è  il senso di colpa e la paura.

Dickens ha creato dei personaggi estremi, umani ed epici, in cui coesistono bene e male, luci ed ombre.

Una delle supreme creazioni dickensiane è Miss Havisham, il personaggio chiave della storia a mio avviso, perché costituisce “l’incontro”, il punto di svolta del destino del protagonista, la vita verso cui convergono le altre vite.  Helena Bonham Carter di sicuro rispetta pienamente la vivida descrizione di Dickens del personaggio; nonostante le numerose polemiche della stampa inglese che voleva un’attrice più anziana per non tradire l’immaginario creatosi  attorno a Miss Havisham. La Bonham Carter risulta perfetta, almeno in apparenza, per il ruolo, tanto più che il personaggio letterario in realtà è una donna di mezz’età sebbene il suo corpo sia in decadenza.  Ciò che manca alla più gotica che mai Miss Havisham di Bonham Carter è ben altro. È come se l’attrice non fosse riuscita a rappresentare le sfumature di una donna non semplicemente folle ma disturbata emotivamente, rinchiusa in una casa che è una tomba e in un corpo che è un simulacro, perpetuando il lutto dell’abbandono e del tradimento, sposando nel suo abito nuziale la morte , in un tempo che è quello del ricordo, in cui le lancette  ferme  segnano l’ora in cui ha cessato di esistere.

A tal proposito invito a visionare l’adattamento televisivo del 2011 di Grandi Speranze di Brian Kirk in cui Gillian Anderson interpreta una spettrale Miss Havisham riuscendo a trasmetterne tutta la sofferenza e la fragilità, restituendo a questa icona letteraria la sua umanità  e la sua tragicità, senza una recitazione che sia troppo “sopra le righe”.  È solo verso la fine che Helena Bonham Carter, penalizzata anche dal costume pesante e dal velo che le copre il viso (senza contare il poco spazio concessole), riesce a illuminare Miss Havisham di un bagliore poetico commuovente. Che la Bonham Carter (attrice che adoro) stia diventando prigioniera del suo stesso personaggio  e delle sue eccentricità?

Ralph Fiennes è molto bravo ad interpretare la violenza e la brutalità di Magwitch, il reietto, l’esiliato, il classico villain della spietata Londra ottocentesca, che viene salvato da un atto di misericordia, restituendogli la fiducia perduta nell’umanità.

La vera scoperta di questo film, più che il protagonista Jeremy Irvine, già apprezzato nello spielbergiano War Horse, è  la giovane Hollyday Grainger che qui vediamo nel ruolo di Estella,  la ragazza allevata da Miss Havisham per spezzare il cuore degli uomini e che conquista quello di Pip, a cui l’attrice riesce a conferire il tocco di mistero ammaliatore da femme fatale. L’amore di Pip ed Estella nasce quando i due sono ancora bambini ma non è solo un amore infantile. Il loro legame è profondo e commuovente perché c’è un riconoscimento reciproco: entrambi hanno vissuto abusi da piccoli e sono stati privati dell’amore dei genitori. Estella è una figura vulnerabile e affascinante verso cui Pip da  prova un’attrazione irriducibile sin da subito che cresce nel tempo, impedendogli di amare chiunque altro.

Il film, considerata anche la sua notevole complessità, è ben diretto anche se non siamo di fonte al capolavoro, come nel caso dell’ Oliver Twist di Roman Polanski, altra grande opera di Dickens.

Il punto cruciale di tutte le considerazioni possibili su questo film resta uno solo e cioè che quest’opera  così lunga e complessa, si presta di più ad un adattamento “seriale” in cui i personaggi possano evolversi e i fatti essere descritti nel giusto tempo, consentendo allo spettatore di assimilarli e comprenderli.  Il tentativo di Newell e soprattutto di Nicholls è pertanto apprezzabile ma non soddisfa le “grandi speranze”  del pubblico sulla trasposizione di un capolavoro assoluto come questo.

Maria Cristina Locuratolo

 

 

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