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Italian Film Festival Berlin

‘Zamora’: Conversazione con Neri Marcorè

Zamora di Neri Marcorè è un racconto di formazione che assomiglia in tutto e per tutto al suo autore. Del suo sorprendente esordio alla regia abbiamo parlato con l'autore del film in concorso all'Italien Film Festival Berlin

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zamora neri marcorè

In competizione all’Italien Film Festival Berlin  Zamora è l’esordio alla regia di Neri Marcorè: nell’Italia del boom economico il film racconta la formazione di un giovane “Werther” di provincia.

La pellicola è realizzata con il sostegno della Torino Piemonte Film Commission .

Del film abbiamo parlato con Neri Marcorè.

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Zamora: l’esordio alla regia di Neri Marcorè

Mi sembra che il paradosso espresso dal titolo del film, quello di associare uno dei più grandi portieri della storia del calcio alla figura del protagonista, faccia il paio con quello di parlare dell’Italia del boom attraverso la provincia.

Il film ha diverse chiavi di lettura. Ci può essere quella di giustapporre la vita di provincia con il perbenismo piccolo borghese rappresentato dal padre del protagonista, alla città che si sta sviluppando sulla scia del boom economico, di cui l’azienda del dottor Tosetto costituisce un esempio. C’è anche la chiusura di un personaggio come Walter Vismara che non affronta la vita e che anzi la subisce, contrapposta alla modernità delle figure femminili come la sorella, la mamma o come Ada, la ragazza di cui si innamora, che sono ironiche, all’avanguardia e libere intellettualmente. C’è la chiave di lettura legata all’amicizia tra due uomini, entrambi in disgrazia per ragioni diverse, che con il pretesto delle lezioni di calcio si aiutano imparando qualcosa l’uno dall’altro. A caratterizzare questi esempi è una comicità non legata a battute o all’intenzione di voler strizzare per forza l’occhio allo spettatore ma che deriva dalla vis comica dei vari personaggi e della situazione. Alcuni lo sono in maniera più colorita, altri magari in modo più impacciato, come succede a Walter Vismara. Questo per dire che poggia su vari binomi a contrasto.

Zamora prende in prestito uno degli argomenti – il calcio – che animano da sempre il dibattito popolare e che è un argomento maschile per eccellenza e lo accosta a un personaggio che in realtà ne conosce poco o niente. Questa mancanza di dimestichezza ti permette di non precludere il film al pubblico femminile che in qualche modo si riconoscerà nell’idiosincrasia del protagonista nei confronti di questo sport.

In realtà molte donne seguono il calcio con passione e competenza, ma in effetti a me interessa sottolineare che il folber, come lo chiamava Brera, non è il tema centrale della storia. È la base sulla quale si innestano le vicissitudini dei personaggi principali, il liquido di contrasto dal quale risalta il rapporto del protagonista con le figure maschili. La scarsa affinità con tale sport riflette i problemi con la figura paterna, così come la chiusura caratteriale di Walter verso i colleghi, sia in provincia che nella nuova azienda a Milano, sottolinea la sua tendenza all’isolamento, al vivere al riparo da emozioni e sorprese. Ma è anche grazie a questo contrasto, alla sua sensibilità, che la forza delle figure femminili può risaltare, con la madre che gioisce quando la figlia afferma la propria indipendenza e aspirazione alla felicità, con Ada che gli dà una bella lezione mettendolo di fronte ai suoi pregiudizi, e ancora con Dorina, rappresentante del sessantotto che sta per arrivare e dunque pronta a prendere l’iniziativa con l’altro sesso senza avere paura di passare per una poco di buono. Per completare la risposta alla tua domanda aggiungo che gli apprezzamenti più calorosi arrivano proprio dal pubblico femminile, a testimonianza che il calcio è solo un pretesto per parlare d’altro.

I personaggi

Un’altra caratteristica di Zamora è quella di presentare dei personaggi che nel rapporto con il protagonista risultano essere un surrogato della figura paterna. Tutti, nessuno escluso.

Verissimo! È una giusta lettura. Alcuni di loro, come il cavalier Tosetto che obbliga i dipendenti a giocare a calcio, rappresentano una reiterazione della figura paterna, superficiale ed egocentrata. Con l’antagonista Gusperti il confronto è ancora più schiacciante. Altri, come l’ex portiere Cavazzoni, ne raffigurano una versione più umana e fragile, ma è proprio in virtù di questo che Walter riesce a instaurare una relazione migliore, più corrispettiva.

Anche il personaggio interpretato da Antonio Catania lo è.

Sì, anche il commendator Galbiati è una sorta di alter-ego del padre su cui appoggiarsi nei momenti di bisogno. Walter è una persona sentimentalmente bloccata e in cuor suo è consapevole dei suoi limiti, per questo preferisce tenersi al sicuro dalla vita e rifugiarsi magari in ambiti dove può fare bella figura, per esempio in una preparazione culturale che gli permetta di rispondere, per esempio, ai quiz di Mike Bongiorno. Walter è tutt’altro che stupido, visto da fuori sembra normale e affermato, ma a me piaceva l’idea di rivelare la sua inadeguatezza di pari passo con la storia, perché sotto quella normalità covano l’insicurezza e il disadattamento, mascherato da distacco e presunzione. E ovviamente anche offrirgli la possibilità di un riscatto partendo innanzitutto dall’autocritica.

Il rapporto di Neri Marcorè con il suo Zamora

Il cinema d’autore di norma è caratterizzato da sguardo personale e componente autobiografica, caratteristiche che penso di aver ritrovato nel tuo film perché non ho potuto fare a meno di pensare all’identificazione tra te e il tuo protagonista. Anche tu, come lui, a un certo punto ti sei trasferito dalla provincia alla grande città.

Sì, hai beccato pure questa (ride, ndr). È assolutamente vero! non a caso mi sono impegnato molto per poter fare questo film. È una storia che conoscevo da circa vent’anni e di cui sapevo che avrei potuto raccontare quei movimenti del cuore, quel modo di approcciarsi alla realtà un po’ impacciato e timido, quel cercare sicurezza in alcuni ambiti tralasciandone completamente altri. Anche se sono tutti aspetti che riguardano più la mia vita adolescenziale che adulta, c’erano comunque delle dinamiche che conoscevo bene e che pensavo di essere in grado di raccontare. Non ho voluto essere il protagonista sia per questioni anagrafiche, sia perché mi volevo dedicare alla regia e godermi fino in fondo questo lavoro nuovo senza essere distratto dalla mia prestazione attoriale. Mi sono comunque ritagliato un ruolo, quello dell’ex portiere di calcio a cui Walter si rivolge per imparare a giocare. Mi sembrava un giusto equilibrio nella gestione delle energie e del tempo a disposizione.

Un personaggio in controtendenza

Tutto il film, a cominciare dal carattere del protagonista, è come se fosse impregnato dal tuo modo di essere come personaggio pubblico. In Zamora hai riversato la mansuetudine e un pudore da ragazzo d’altri tempi che è stato fin da subito – penso alla conduzione di Per un pugno di libri – il tuo segno distintivo. Da sempre in controtendenza rispetto al linguaggio urlato e cialtrone tipico dei nostri tempi, hai fatto della gentilezza e originalità uno dei tratti più riusciti del tuo film.

Bè, innanzitutto ti ringrazio per questi complimenti. Che poi la storia sia ambientata negli anni sessanta ha permesso di rendere credibili e realistici i personaggi e il loro percorso; gli stessi calati nella realtà contemporanea avrebbero potuto sembrare anacronistici senza un necessario riadattamento. Infine, come dicevamo prima, ci sono delle dinamiche che conosco molto bene per cui sapevo di poter aiutare Alberto Paradossi a rappresentarle al meglio.

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Come autore a me è piaciuto il tuo modo di trasfigurarti all’interno del film. Lo hai fatto creando una poetica che ti appartiene e in cui è possibile riconoscerti.

Sì, sembra quasi che Roberto Perrone abbia scritto il suo romanzo apposta per me.

Zamora di Neri Marcorè è un romanzo di formazione?

Tornando al film, anche se Walter è un personaggio adulto, Zamora di fatto è anche un romanzo di formazione. Sei d’accordo?

Sì, lo è. Ed è esattamente la definizione più ricorrente quando mi capita di parlare di Walter, ovvero della formazione di questo giovane uomo che finora è rimasto chiuso nel suo guscio per le ragioni che abbiamo esplicitato poc’anzi e che subisce un’evoluzione come è normale e bello che sia in qualsiasi storia che si racconti. Lo è anche per l’attore che lo deve interpretare, quello di percorrere un arco narrativo nel quale si possa dimostrare un cambiamento.

Influenze e citazioni

Zamora rende omaggio ad alcuni degli esempi migliori della nostra commedia, da una parte, mettendo in scena con pudore e ingenuità l’educazione sentimentale dei nostri genitori raccontandola alla maniera di Pupi Avati, dall’altra proponendo attraverso la presenza di grandi comici contemporanei una certa maschera italica celebrata da Sordi e da registi come Risi e Monicelli.

Il fatto di aver girato per la prima volta da protagonista con Pupi Avati mi ha lasciato un imprinting determinante per la mia formazione a cui comunque hanno concorso anche gli altri autori con cui ho lavorato. Anche a loro ho rubato qualcosa cercando però di filtrare tutto con il mio gusto e la mia sensibilità. Con un solo film da regista non è ancora possibile tirare una linea definita sul mio modo di dirigere, però si può comunque notare il tipo di impostazione, la mia volontà di trasferire alla storia una certa grazia e delicatezza, senza per questo rinunciare a passaggi…

… più graffianti?

Sì, esatto. Attraverso qualche personaggio surreale e qualche battuta in controtempo, come quella della segretaria di Tosetto che dichiara la sua vera fede calcistica sotto finale, strappando un’ulteriore risata dopo che l’atmosfera si era già fatta più leggera e positiva. Il personaggio di Giovanni Esposito che a un certo punto tira fuori la sua meridionalità è un omaggio a Nino Manfredi e Franco Brusati di Pane e cioccolata, con il protagonista emigrato in Svizzera che al gol dell’Italia tira fuori tutto il suo orgoglio nazionale dopo averlo represso fingendosi autoctono. Nel film c’è anche la rivalsa di quei tanti meridionali emigrati al nord nell’Italia degli anni sessanta che cercavano di integrarsi nascondendo le proprie origini.

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Mi viene da chiederti anche di Nanni Moretti perché la formazione dell’Inter citata a memoria dalla segretaria di Tosetto ricorda un passaggio analogo presente in un suo film.

Non sapevo di quest’analogia, quella battuta è frutto dell’ottima collaborazione che ho avuto con gli sceneggiatori. Di contro, un riferimento-omaggio al cinema di Moretti c’è, quello in cui Giovanni Storti, al cameriere che si offre di andare in porta, dice: “E non ha pietà, Lei, di me”. È una citazione di Bianca.

La forma di Zamora di Neri Marcorè

Parlando della forma del film, la scelta di una regia invisibile risulta efficace non solo per la capacità di mantenere l’attenzione sui personaggi, ma anche per restituire lo stesso tipo di immagini che ci sono pervenute di quegli anni. Anche il montaggio classico e non frenetico va in questa direzione.

Questo è talmente vero che uno dei commenti riferiti a Zamora è che non sembra un film ambientato negli anni ‘60 ma un film girato negli anni ’60. La tecnica di ripresa non presenta volutamente movimenti di macchina eclatanti perché volevo uno stile che non fagocitasse il racconto. A me interessava raccontare la storia e offrirla allo spettatore nel modo più diretto, immediato possibile. Non mi sono inventato movimenti ricercati di macchina da presa perché poi magari quello rischia di diventare più un autocompiacimento, una forma utile all’efficacia narrativa. Ho evitato di fare come l’arbitro che vuole diventare protagonista in una partita e comincia a fare il bello e il cattivo tempo. Quindi è vero quello che hai detto, e cioè che l’Italia di quell’epoca viene restituita con la stessa estetica dei filmati di allora. È stata una scelta ben precisa concordata con tutti i capireparto.

La fotografia

La tua è volutamente una ricostruzione più ideale che reale e ce lo dice l’uso della fotografia, in cui a prevalere sono tonalità calde e morbide che testimoniano l’affetto da te nutrito nei confronti di tutti i personaggi, anche quelli che in qualche modo appaiono negativi.

La fotografia di Duccio Cimatti è uno dei cardini fondamentali del film. Con lui abbiamo ragionato a lungo su come rappresentare quell’Italia. Penso alla fòrmica verde e alle pareti gialline riprodotte dalla scenografia di Francesca Bocca, e agli abiti dell’epoca di Cristina Audisio. L’amore per i personaggi è quello che nutro per gli attori e le attrici che ho scelto personalmente anche nei casi in cui si trattava di ruoli meno corposi, ma importantissimi per dare colore alla storia, come nel caso della moglie del barista o quella di Galbiati. Questo perché per me era fondamentale che anche la singola battuta fosse valorizzata al pari delle altre. A proposito dei cattivi, anche quelli hanno la loro redenzione. Capita così al collega di Vismara interpretato da Walter Leonardi che dopo averlo perseguitato per tutto il film è pronto a riconoscergli il merito.

Tornando al cast posso dire che sono grato a ognuno di loro perché hanno svolto un lavoro eccellente, con impegno e divertimento. Mi sono concentrato molto sulla cura della recitazione perché uno degli aspetti a cui tenevo di più era che ci fosse armonia nel registro e nel tono del film, senza per questo rinunciare alle identità e alla creatività di ogni singolo interprete.

All’interno dell’inquadratura hai lavorato molto sugli spazi che nel film diventano un altro modo per restituire lo stato d’animo del protagonista. Quando Walter sta a casa tu lo inquadri sempre in mezzo ad altre persone e questo la dice lunga su come vive e su quanto conti sull’aiuto degli altri. Peraltro in tutta la prima parte non lo vediamo mai nella sua cameretta, quasi a sottolineare la mancanza di un’impronta personale sulla vita.

Sì, è vero. Lo vediamo nella sua cameretta solo quando torna da Milano, è la rappresentazione emblematica della sua solitudine.

La solitudine

Una solitudine resa ancora più esplicita dal vuoto presente nella stanza dell’ufficio milanese che tu enfatizzi inquadrandolo da una prospettiva che ne esalta l’ampiezza.

Sono davvero felice che tu abbia colto tutte queste cose perché hanno fatto parte del nostro lavoro dal primo all’ultimo giorno di riprese. Quello che notavi nella domanda fa parte del meta-linguaggio filmico; serve a sottolineare come il personaggio di Walter cavalchi la sua solitudine con orgoglio, come fosse un tratto di merito e non qualcosa da occultare. Quando la sorella gli dice che è un presuntuoso si riferisce a quello. Piuttosto che tirarsi su le maniche e affondare le braccia nella melma lui se ne tiene fuori, ritenendosi superiore al gioco del calcio e più metaforicamente alle scaramucce e agli accadimenti della vita, in famiglia e fuori. Walter e la sua solitudine sono una coppia di fatto.

Quando si è soli il sapore di una sconfitta si fa ancora più amaro. Nella nuova azienda di Milano il senso di straniamento viene accentuato quando si ritrova in un ufficio enorme, dove lui risulta ancora più isolato e piccolo. In generale a Milano tutti gli spazi sono più grandi di quelli a cui è abituato. Anche a casa della sorella, che lo lascia spesso da solo, il senso di vuoto risulta evidente.

La crescita del personaggio corrisponde anche alla conquista di un suo spazio personale. Prima in realtà sono spazi che appartengono anche agli altri, poi un poco alla volta diventano i suoi.

Sì, man mano che cresce la sua consapevolezza e sicurezza, anche gli ambienti si fanno più rassicuranti, le persone che incontra smettono di essere estranee e cade quella diffidenza che permette alla comunicazione di scorrere più liberamente. È stato un aspetto del lavoro molto interessante e stimolante anche quello di curare ciò che passa allo spettatore per via subliminale, mi ci sono dedicato e mi sono confrontato coi miei compagni di viaggio. L’obiettivo, senza voler apparire presuntuosi, era trovare un linguaggio che contenesse una sua originalità pur nel solco di un film tradizionale e che segnasse un esordio che potesse assomigliarmi e potessi rivendicare in ogni suo dettaglio, sempre frutto di un ragionamento.

I protagonisti di Zamora di Neri Marcorè

Nel ruolo di Walter Vismara Alberto Paradossi appare come una specie di Clark Kent. Come lui anche Walter dietro i suoi modi timidi e impacciati nasconde intelligenza e fascino da vendere e poi ci sono anche il ciuffo sulla fronte e gli occhiali a ricordarcelo. Allo stesso modo Marta Gastini nel ruolo di Ada è anch’essa portatrice di un fascino discreto, ma coinvolgente. Come Walter anche lo spettatore non potrà fare a meno di innamorarsi di lei.

Anche in questo caso hai colto nel segno! Il riferimento a Clark Kent è esatto perché anche nel mio film gli occhiali svolgono lo stesso ruolo, sono uno schermo protettivo grazie al quale ci si può confondere nell’ordinarietà, aspirando quasi all’invisibilità. Non è un caso che man mano che si affranca dai propri impacci ne faccia sempre meno uso.

Come Superman a un certo punto per compiere la sua missione si toglie gli abiti civili e indossa il costume, in questo caso la tuta da calcio con cui difenderà la porta della squadra del suo ufficio.

Sì, anche se alla fine il costume più importante è l’abito che indossa quando va in balera. Quando ho fatto il provino ad Alberto mi sono accorto subito che aveva un impaccio che non mi faceva pensare a un perdente ma a uno vivace intellettualmente e che però non sempre coniugava mente e corpo. In effetti man mano che la storia va avanti, anche il suo fascino aumenta e stiamo sempre parlando del metalinguaggio del film. Sceglierlo non è dipeso solo dalle potenzialità che aveva nell’interpretare il personaggio, ma anche dalla mia voglia di spettatore di conoscere facce nuove, nella considerazione che di attori e attrici bravi ce ne sono tanti, ma non vengono valorizzati come a suo tempo è successo a me con Pupi Avati che ne Il cuore altrove mi schiuse le porte del cinema e della fiction. Alberto è un bravissimo attore, per questo spero che Zamora gli porti la stessa fortuna che ho avuto io con il film di Avati.

Oltre che del volto, di Marta Gastini sono incantato dalle piccole e meravigliose cose che riesce a fare e dalle preziosissime sfumature che è riuscita a dare al suo personaggio. Ma questo vale per tutti gli altri interpreti del film: ognuno a suo modo ha fatto un lavoro molto accurato con impegno ed entusiasmo. Provo molta gioia e riconoscenza verso di loro.

Il cinema di Neri Marcorè

Parliamo del cinema che preferisci.

Su tutti la commedia italiana degli anni ‘60, quella dei grandi maestri che hai citato prima e cioè Risi, Monicelli, Scola. Mi piace molto il cinema francese mentre mi capita di innamorarmi di capolavori che provengono dal Sud America, come è successo per Il segreto dei suoi occhi di José Campanella, o per un film che in giuria abbiamo premiato al festival di MonteCarlo: Empieza el baile, che spero esca presto in Italia. Un mio film di riferimento è Buffalo ’66′ di Vincent Gallo. Ho sempre pensato che avrei esordito con un film diverso da quello, com’è ovvio, ma che ne ricalcasse le stesse caratteristiche creative e produttive: un po’ surreale, realizzato con pochi soldi ma con un taglio narrativo ben delineato e una chiave autoriale forte. Poi è arrivato il romanzo di Roberto Perrone e mi ritengo molto fortunato di aver trovato in quella storia tanti elementi da mettere in scena. Il mio “Buffalo” sarà magari il prossimo progetto, per il quale però non ho fretta né ansia. Per ora vorrei godermi Zamora il più a lungo possibile.

Zamora di Neri Marcorè

  • Anno: 2024
  • Durata: 100'
  • Distribuzione: 01 Distribution
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Neri Marcorè
  • Data di uscita: 04-April-2024