Korea Film Festival

‘Small Fry’ di Park Jung-ha, critica al brillante show biz coreano

Uno spaccato dell’industria filmica coreana contemporanea, che tanto premia e altrettanto sottrae.

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Small Fry di Park Jung-ha è il film che ha premiato Kim Ho-won come Miglior Attore Protagonista al Jeonju International Film Festival dell’anno scorso, e da poco presentato in Italia al Florence Korea Film Fest.

Scomodo sin da subito, Small Fry ci comunica la disturbata e inquieta esistenza del protagonista. Sulla riva della riserva da cui sta pescando e su cui sembrano arenarsi tutte le decisioni fondamentali della sua vita, uno spaccato dell’industria filmica coreana contemporanea, che tanto premia e altrettanto sottrae.

Small Fry, la trama

Ho-joon (Kim Ho-won) è un attore che si reinventa Youtuber per sbarcare il lunario. Recentemente abbandonato da produttori, registi e pubblico, ha dovuto dirottare le sue energie altrove. Non senza amarezza, malgrado il successo del suo canale sulla pesca sportiva.

You’re my fish, I’m taking you home.

In una uscita presso una riserva si imbatte in un personaggio un po’ viscido (Seong-hwan) con cui ha immediatamente un battibecco. Quando poi arriva Hee-jin (Leem Chae-young) che lo riconosce, tra i tre si scopre una conoscenza pregressa e più legami di quelli che ci si era immaginati all’inizio.

L’assenza di chiarezza

In Small Fry, Park Jung-ha non si risparmia nel ribadire l’imbarazzo e il disagio della situazione, che vede tutti i componenti dell’inaspettato terzetto combattuti l’uno verso l’altro e crudelmente spinti ad approfittarsi. Ciascuno ha un proprio secondo fine, e l’arrivismo sottile di cui sono costretti a nutrirsi, non si percepisce se non sul finire della storia.

Quella situazione insolita e poco chiara crea una nebbia sempre più fitta di bugie e verità non dette, racconti scomodi e silenzi imbarazzanti che si prepara a franare. A livello narrativo, la percezione è la medesima, non si distingue tanto più chiaramente chi stia mentendo, dissimulando e chi invece abbia un cosiddetto vuoto di memoria.

Ebbene, è proprio lì dove il regista Park Jung-ha ha voluto condurre il proprio pubblico: a confrontare chi cerca i pesci grossi con chi si accontenta del small fry; a riflettere sul successo inseguito, quello meritato e il compromesso con i sogni.

L’industria filmica coreana

Small Fry è una metafora dichiarata del dilemma di chi è parte del sistema cinematografico coreano, che si batte per restare sotto i riflettori mentre quotidianamente scende a compromessi di diversa natura. Dalle avance che l’attrice riceve, alle umiliazioni e i commenti pressapochisti rivolti a Ho-joon. Dallo stesso regista che dissimula un potere che, al confronto di chi detiene l’ultima parola sul suo film, perde miserabilmente.

È la battaglia di chi cerca il salto dall’indipendente al main stream: la stessa del pescatore che punta alle carpe lasciando la frittura agli esordienti. Ma chi siamo noi per sentirci o definirci “carpe” a scapito degli altri? Un confronto che gli indipendenti sentiranno proprio, anche altrove, sebbene lontani da quella che si pensava essere l’industria cinematografica più in crescita degli ultimi anni.

 

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