C’è ancora domani di Paola Cortellesi arriva nelle sale italiane il 26 ottobre 2023, preceduto da un trailer intelligente, che niente lascia trapelare dell’inaspettato finale, ma semina tuttavia tanta curiosità. Ciò che attende lo spettatore è già svelato. Cortellesi gioca a carte scoperte: un film in bianco e nero ambientato a Roma nella seconda metà degli anni ’40, che racconta la vita di una qualunque famiglia italiana, dal punto di vista della donna. Ma C’è ancora domani è molto più di questo.
Lo stile
Paola Cortellesi dimostra di conoscere molto bene il linguaggio cinematografico, a discapito di tutti coloro che storsero il naso nel saperla dietro la macchina da presa.
Contrariamente all’opinione diffusa, secondo la quale C’è ancora domani vorrebbe essere un film neorealista, quello di Cortellesi si discosta furbamente dal canone. Lungi dal cedere al gioco delle citazioni di questa corrente cinematografica (prima fra tutte potrebbe venire in mente Anna Magnani), questo film racconta la storia di Delia, che non è un personaggio neorealista.
Perché non è un film neorealista
Lontani dal Neorealismo sono anche la forma e lo stile. Il Neorealismo porta sì in scena la classe lavoratrice e le persone ai margini della società. Ma uno dei pilastri portanti del movimento è quello di utilizzare attori non professionisti, che agiscono nei loro contesti naturali.
Roberto Rossellini, Vittorio De Sica e Luchino Visconti raccontavano le storie della gente vera, ambientate nei luoghi e negli spazi che quelle persone vivevano davvero, in esterno, senza nulla (o quasi) ricostruire.
Ci accorgiamo quindi che già alla base C’è ancora domani non può essere definito un film neorealista. È vero: l’epoca corrisponde, la fotografia è intelligentemente predisposta per rievocare quella delle grandi pellicole di quel periodo e i personaggi potrebbero esistere in un film di Giuseppe De Santis o Alessandro Blasetti. Ma la grande differenza è che il Neorealismo portava in scena la realtà contemporanea, mentre Cortellesi ha scelto di ambientare la sua storia, oggi, in quella stessa realtà.
La scelta del bianco e nero non è quindi citazionismo virtuosistico, ma conoscenza profonda del linguaggio cinematografico a servizio dell’efficacia narrativa. Perché è proprio grazie a questa scelta che lo spettatore può immergersi totalmente nella narrazione, entrando in perfetta sintonia.
La forma
Abbiamo accennato a una delle differenze più importanti tra C’è ancora domani e il cinema neorealista: gli attori. Se Ladri ci biciclette vedeva sullo schermo personaggi “presi dalla strada”, nel film di Cortellesi troviamo, oltre alla regista stessa, un grande Valerio Mastandrea a fare da contraltare alla protagonista.
Accanto a loro: Emanuela Fanelli, migliore amica di Delia in un perfetto dittico comico; Vinicio Marchioni, nei panni dell’amore perduto; Giorgio Colangeli, il terribile suocero. Accompagnati da bravissimi giovani attori per i ruoli della figlia, del suo fidanzato e dei due fratelli minori.
La forma in cui Cortellesi sceglie di portare in scena questo dramma è quella della commedia, alternando momenti di risate collettive a profonda commozione e tristezza. C’è ancora domani è una tragedia comica, oppure una commedia tragica, ma mai una cosa soltanto. La tensione è palpabile durante le scene di violenza con Mastandrea, così come la risata è sincera e liberatoria durante gli scambi di battute con Fanelli.
Anche questo stile costantemente in bilico ma mai vacillante contribuisce alla piacevole scorrevolezza del film, che non è mai né superficiale, né retorico, né melenso.
La colonna sonora
L’anacronismo con cui Cortellesi accosta musica contemporanea a immagini così distanti da noi potrebbe stridere. Ma quelle immagini sono davvero così distanti?
È proprio attraverso la colonna sonora che C’è ancora domani cerca di dirci, anzi di urlare in faccia allo spettatore, che quella storia non è un racconto del passato. La storia di Delia è la realtà di molte Delie che ancora oggi vivono quella vita.
La prima scena ad aprirci gli occhi sulla contemporaneità di questo lungometraggio è quella che vede Paola Cortellesi e Vinicio Marchioni l’uno di fronte all’altro, accompagnati dalle parole di Fabio Concato con la sua M’innamoro davvero. I due si guardano negli occhi e la macchina da presa inizia a girare intorno a loro. È un movimento di macchina che non appartiene al linguaggio del Neorealismo.
Mi sento strano davvero / Da un po’ di tempo è così / Succede sempre ogni volta che sei qui / Tutto mi sembra migliore / Capisco bene cos’è / Capisco che m’innamorerò di te
Il tutto mentre i due personaggi si sorridono amabilmente, inconsapevoli di avere i denti pieni di pezzi di cioccolato. Ancora una volta il bianco e nero gioca a favore dell’efficacia, sottolineando di più il contrasto tra i sorrisi noncuranti dei due innamorati e il cioccolato che non riesce comunque a sporcarne la purezza.
Nessuno di Mina e La sera dei miracoli di Dalla
Sulle note di Nessuno, portata al successo da Mina negli anni ’60, arriva una delle scene più forti. Ivano (Mastandrea) picchia Delia, ma l’aggressione viene sublimata in una coreografia da musical che stride dolorosamente con ciò che rappresenta. Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi si muovono in un balletto simbolico in cui la violenza domestica non esplode, ma è comunque rappresentata in tutta la sua follia e durezza.
Paola Cortellesi ha spiegato la scena: voleva che fosse un rituale, qualcosa di quotidiano, di banale, un’abitudine.
Anche La sera dei miracoli di Lucio Dalla viene usata per dare valore fortemente simbolico a un’altra scena chiave del film.
È la sera dei miracoli fai attenzione / Qualcuno nei vicoli di Roma / Con la bocca fa a pezzi una canzone / È la sera dei cani che parlano tra di loro / Della luna che sta per cadere / E la gente corre nelle piazze per andare a vedere
È una canzone che racconta una collettività che si muove insieme. In modo diverso, la collettività sarà protagonista di quello che accadrà un po’ dopo quella scena, quell’evento storico per cui un domani c’è ancora davvero.
Ma il vero fiore all’occhiello della colonna sonora di questo film è A bocca chiusa di Daniele Silvestri. L’appuntamento che per tutto il film lo spettatore ha sperato e pregato si realizzasse non è quello che ci viene suggerito. Quello di Delia è un appuntamento con la storia. E se lei “parla troppo”, come le viene più volte ricordato dagli uomini della sua vita, allora lei farà sentire la sua voce anche a bocca chiusa.
E senza scudi per proteggermi né armi per difendermi / Né caschi per nascondermi o santi a cui rivolgermi / Con solo questa lingua in bocca / E se mi tagli pure questa / Io non mi fermo, scusa / Canto pure a bocca chiusa
Il canto della rivolta
Il colpo di genio, il segreto, la meraviglia nascosta di questo film è proprio il finale.
Nella sua interezza C’è ancora domani è un ottimo prodotto cinematografico, sul piano tecnico, narrativo e attoriale. Ma la vera forza di questo lungometraggio scritto e diretto da Paola Cortellesi, sta nell’abile illusione che tesse e porta avanti fino all’ultima scena.
Il finale ci dimostra che la rivincita di Delia non è la fuga, non è un altro uomo. Ma far sentire la propria voce. Perché se per le madri, ormai, è troppo tardi, c’è ancora domani per le figlie.
C’è ancora domani non solo per andare a votare, manifestando finalmente quella presa di coscienza di migliaia di donne italiane che hanno avuto il coraggio di dire: io esisto, io penso, io voto. C’è ancora domani per provare a cambiare le cose, per fare sentire la propria voce.
E laddove è troppo pericoloso parlare a voce alta, si può cantare la rivolta anche a bocca chiusa.
C’è ancora domani per il cinema italiano e Paola Cortellesi l’ha dimostrato al mondo intero, realizzando un prodotto efficace, al limite della perfezione, sicuramente ineguagliabile nella sua riuscita.