‘Il mio posto è qui’, la rivoluzione tenace delle coscienze
L'intervista agli autori di una storia di coraggio che racconta di una donna e del suo mentore, uniti dalla voglia di cambiare e di non rassegnarsi a quello che per loro è stato già deciso. Il film è il vincitore dell'Italian Film Festival Berlin
Trasposizione diretta dell’omonimo romanzo della stessa Daniela Porto, l’opera è un dramma che indaga la condizione umana e la sua capacità di reagire alle avversità, ai destini già scritti, ai silenzi imposti e alle definizioni ineluttabili. Una storia di emancipazione e complicità che coinvolge tutti e con delicata eleganza si fa strada nella miseria del preconcetto, della discriminazione, degli stereotipi immarcescibili e nella voglia di affermare la propria identità, qualunque essa sia. Con un cast di assoluto rilievo guidato da Ludovica Martino e Marco Leonardi, eccellenti interpreti principali, la bella e naturalistica fotografia di Emilio Maria Costa e le musiche di Santi Pulvirenti, la pellicola rifugge i cliché neorealisti e brilla di luce propria con la macchina da presa che non perde mai di vista la tensione narrativa e percepisce ogni singola espressione del territorio e dei personaggi del racconto. Prodotto da Orisa Produzioni,
Il mio posto è qui, la trama
Nell’Italia dell’immediato secondo dopoguerra tutto appare precario, cinto dalla voglia di ricostruire, di ricominciare, di sentirsi nuovamente parte di un qualcosa d’importante, di essere liberi. Tuttavia, in un paesino della Calabria il tempo sembra essersi fermato e la tragedia del conflitto mondiale passata invano. Ogni cambiamento diventa un pericolo per l’ordine costituito, per una tradizione patriarcale che impera e regola soprattutto la vita nei ceti sociali più bassi. Mentre la campagna elettorale s’insinua nei gangli del sistema, con le donne chiamate per la prima volta al voto, il coraggio di una di esse, Marta, ragazza madre che ha perduto in guerra il suo uomo, lentamente prende il sopravvento sul già scritto e con l’aiuto di Lorenzo, l’assistente omosessuale del parrocco, l’uomo che organizza i matrimoni, prova a frangere i legami e le consuetudini di quel piccolo mondo antico. Forzatamente promessa in sposa a un contadino del luogo, una macchina da scrivere diventa la sua spada nella roccia per realizzarsi come donna e come madre.
Il mio posto è qui, l’intervista ai registi
Partiamo dalla genesi del film che poi è, probabilmente anche quella del libro da cui è tratto.
Daniela: la storia nasce da un racconto di mia madre, i miei genitori sono entrambi calabresi, che mi narrava di quest’uomo, omosessuale, che aiutava le donne del paese a organizzare matrimoni, una sorta di wedding planner ante litteram. Anche se questa storia è degli anni ’60 e non dei ’40, gli anni in cui sono ambientati il romanzo e il film, comunque mi ha acceso la fantasia. Mi premeva dare come cornice a questo racconto il ’46, l’anno rilevante per l’Italia, dove molte cose sono successe, ma, nello stesso tempo, molte speranze e aspettative sono state tradite. Dopo il ruolo nella Seconda Guerra Mondiale, per la prima volta le donne votavano, poi, purtroppo, questa carica innovativa si è spenta. C’è stato di nuovo una sorta di passo indietro rispetto alle questioni sociali e politiche.
Basti pensare a quando è stato aboolito il delitto d’onore.
Cristiano: In questo rallentamentto ha contribuito anche la Sinistra che per certi versi aveva una radice conservatrice e moralista.
Daniela: Ad ogni modo, ho scritto questo romanzo, devo essere sincera, principalmente per me, di nascosto e c’era Cristiano che mi guardava e mi chiedeva ma che scrivi?
Cristiano: Ogni volta andavo da lei e le domandavo cosa scrivesse. Poi due anni fa ho letto finalmente il manoscritto e le ho detto di quanto fosse fantastico e di grande sensibilità. Ci sono tutti gli elementi presenti nel film, in un’altra chiave letteraria ma altrettanto belli. Alla Mondadori appena l’hanno letto sono rimasti entusiasti e l’hanno messa sotto contratto ( è stato pubblicato con il marchio Sperling&Kupfer, N.d.R.). Allora lei mi ha detto se ti piace tanto dirigi il film. Le ho risposto certo, lo dirigo ma a una condizione, che tu fai con me la coregia. Lei mi ha detto ma sei pazzo, stai scherzando, insomma, è diventato un romanzo famigliare.
Daniela: vorrei precisare che vengo dal mondo del cinema, ho fatto tanto, ho fatto il DAMS, ma penso che non ci sia miglior scuola che quella sul campo dove ho seguito tanti aspetti della produzione, dello sviluppo, della creazione del progetto. Non è un argomento proprio nuovo per me.
Cristiano: Poi ho insistito dicendole tu hai scritto il romanzo, è una storia di donne, con anche un punto di vista femminile, chi meglio di te potrebbe interpretarla. Tutti quanti a dire sei pazzo, litigherete, divorzierete. Abbiamo fatto insieme una figlia perché no anche un film, che è anche più facile. Così abbiamo deciso quest’avventura che è stata veramente bella, soprattutto nell’aspetto umano. Penso che la nostra sinergia in questo film ci sia vista; il rapporto con gli attori, con i due protagonisti. Lei parlava più con Ludovica Martino, io con Marco Leonardi, ma insomma penso sia stata evidente.
Doveva essere l’ultima domanda, ma, visto che siamo in argomento, ve lo chiedo subito: ci sarà una seconda prova in questo senso?
Daniela: Chi lo sa.
Cristiano: Perché no, a me piacerebbe molto, a noi piace, è venuta anche nostra figlia sul set, una storia nella storia. Avendo 5 anni, noi viviamo all’estero, a Berlino. Non avendo dove lasciarla,lei è dovuta venire con noi. Da piccolina, anche lei ha vissuto questo mondo del cinema.
Daniela: Scherzi a parte, mi piacerebbe ripetere l’esperienza. Poi la divisione dei compiti è stata molto spontanea. Credo che questo abbia aiutato tantissimo il risultato del film. Ognuno ha dato l’apporto giusto rispetto alle inclinazioni del proprio carattere.
Cristiano: Siamo comunque una famiglia già molto collaudata, strutturata, con persino una società di produzione in famiglia.
Il mio posto è qui, i protagonisti
Abbiamo parlato un po’ dell’aspetto storico, ma passando a quello umano, che Cristiano stava introducendo, ci troviamo di fronte a una storia di emancipazione in generale. Abbiamo il personaggio femminile, ma anche quello omosessuale che lotta, che, in qualche modo, prende ispirazione dalla protagonista e dice il mio postoè qui probabilmente per cambiare le cose nel luogo dove ha smpre vissuto.
Daniela: Lui rimane perché sente che deve apportare un cambiamento e continuare ad accompagnare altre donne al matrimonio e dare loro una coscienza e una conoscenza. Mentre lei farà un suo percorso, la sua vita, facendo anche una scommessa perché poi non si sa, cosa succederà, se andrà bene, se andrà male, se sarà felice. Però almeno avrà fatto un atto di presa di coscienza di se stessa. Adesso decido io e così andrà la mia vita.
Invece, in fase di scrittura come s’è svolto il lavoro insieme, quanto avete impiegato per scrivere la sceneggiatura?
Cristiano: È stato facile, molto facile, perché il romanzo è già strutturato molto bene. Essendo lei un po’ cinematografara nell’anima, avendo il cinema nel sangue. Ha creato un romanzo molto narrativo. L’adattamento è abbastanza fedele. Non si è trattato di andare a fare delle trasposizioni complesse perché il libro nasceva già come una storia cinematografica. Alla fine il lavoro di sceneggiatura è durato pochissimo, tre mesi.
Daniela: Devo dire la verità, nel libro c’è un’evoluzione dei personaggi, come loro cambiano a mano a mano, che praticamente era già pronta a essere utilizzata. Credo che il film non abbia tradito lo spirito del libro.
Cristiano: Spesso quante volte si sente dire ho letto il libro, è stupendo ma il film non è riuscito, il lettore non è contento del film. In questo caso la cosa curiosa è che l’autrice del libro è anche la regista del film, in qualche modo una garanzia per tutti.
Invece, per quel che riguarda la scelta degli attori. Come siete arrivati a questo cast azzeccatissimo? Come avete scelto i due protagonisti?
Daniela: Abbiamo fatto veramente tanti provini, sia per il ruolo femminile che per il ruolo maschile. In un primo momento, per il ruolo femminile, abbiamo prediletto attrici calabresi, però poi, per una serie di coincidenzze, ci è stato fatto il nome di Ludovica Martino. Ha fatto altri generi di lavori Ludovica, però appena l’abbiamo vista ce ne siamo innamorati. La prima chiacchierata che abbiamo fatto con lei era ancora ai tempi del Covid. Senza che le dicessi nulla ha detto tutto quello che c’era in Marta. Aveva capito perfettamente tutti i passaggi del suo personaggio. Mi son detta sono tranquilla, ha compreso tutto.
Cristiano: La cosa eccezionale di Ludovica è che lei qui ha dimostrato di avere un livello d’interpretazione davvero superiore. Come regista è una di quelle situazioni in cui ti senti fortunato. Quando inizi un film, anche con attori famosi, non sai mai cosa possa succedere. Ogni personaggio prende la sua forma, succedono cose anche singolari, fa parte della sorpresa anche della parte artistica. Però quando avvengono queste cose è meravigioso perché ti senti baciato dalla fortuna. Senti quella chimica che ti permette di improvvisare di lasciare spazio a un attore che ti comprende al volo.
Tra l’altro lei risulta molto efficace anche nella pronuncia in calabrese.
Daniela: Sì, lei ha fatto un lavoro fantastico di preparazione. Marco essendo calabrese ha avuto vita più facile. Poi essendo una storia, penso, molto di sentimento, non è una storia di effetti speciali, è una storia basata sul racconto di questi due personaggi. Quindi avere due attori così bravi, sia Ludovica che Marco, ti fa innamorare follemente di quello che stanno raccontando. È la chiave del film, senza di loro non si sarebbe potuto fare. Siccome doveva essere un rapporto particolare tra i due personaggi, ci siamo anche chiesti come dovesse essere visivamente. Non poteva essere troppo giovane o troppo grande.
Cristiano: Abbiamo anche provinato attori diversi, più grandi, più giovani. Se lui fosse stato più giovane non avrebbe avuto quel senso paterno, se fosse stato più vecchio sarebbe stata una cosa interessante, ma sarebbe diventata una storia un po’ più deprimente; se fosse stato troppo giovane sarebbe sembrato quasi ci potesse essere un’atmosfera sessuale tra i due. Ora questa cosa un po’ c’è, ma è nel calibro giusto. L’altra domanda grossa che ci siamo posti era come raccontare l’omosessualità, il personaggio omosessuale. Era molto facile cadere, come si fa spesso, nello stereotipo, nella macchietta. Lei ha fatto anche una grande ricerca iconografica su questi omosessuali di provincia. Erano quelli di campagna, non si vestivano con le piume di struzzo, non ballavano Y.M.C.A. Con lui abbiamo dato un taglio secondo me molto giusto per il tipo di racconto, che è un po’ quello di Mastroianni in Una giornata particolare. Quindi è uno molto contenuto, dignitoso, con grande romanticismo. Infatti c’è la scena che lui va a trovare il suo amante che è molto emozionante, se ne percepisce anche il dolore. In fondo l’amore appartiene all’essere umano, non ha una connotazione di genere.
In effetti nella creazione di questo personaggio c’è molta delicatezza ed eleganza, realismo, nel riportare i comportamenti concessi dall’epoca. Con il paradosso che il vostro protagonista è vicino alla Chiesa, intesa anche come istituzione.
Cristiano: Noi abbiamo cercato di evitare degli stereotipi, il buono e il cattivo, la stessa figura di Francesco del PCI va in quest’ottica, quando diventa un po’ un mezzo stupratore.
Interessante come nel vostro film non ci sia la classica polarizazzione, bianco e nero, che molto spesso capita di trovare in questo tipo di trama.
Cristiano: È il realismo della vita, siamo tutti esseri umani, al di là di quale bandiera o di quale maglia indossiamo.
Le fonti
Cosa potete dirci di specifico per quello che concerne il lavoro sulle fonti?
Daniela: Ho letto ovviamente dei libri di storia, della nascita del movimento femminista, del voto alle donne del ’46; devo essere sincera, in questo ambito internet è una fonte inesauribile. C’era un sito che raccoglieva delle interviste fatte dai nipoti ai nonni e c’era questo signore, siciliano, che raccontava che lui era omosessuale e diceva quello che poteva fare e quello che non poteva. Mi sono messa a vedere tutti questi video, molto toccanti, di testimonianza di persone anziane, abbastanza avanti negli anni, che a volte facevano fatica a portare avanti il loro discorso, però riuscivi a intuire qual era stata la loro vita, costretti a nascondere completamente una parte della loro personalità. Un’altra fonte d’ispirazione che per me è stata bellissima, la cito sempre, è stata Le donne si confessano, un libricino pubblicato negli anni ’60 che raccoglieva la rubrica La posta del cuore. Leggi queste lettere e rimani sconvolto dalla totale ignoranza verso il mondo maschile: incontro ogni mattina per strada unragazzo, lo amo follemente, lo voglio sposare; oppure ho baciato quella persona e sono rimasta incinta, quindi si capisce come queste donne venissero tenute completamente all’oscuro di qualsiasi cosa. Loro dovevano assolvere una funzione: pulire la casa, fare i figli, accudire e punto, non dovevano capire il mondo maschile. Se si pensa che questo libro raccoglie delle lettere di ragazze degli anni ’60, da Nord a Sud, leggendolo ti rendi conto di quanto, per fortuna, l’accesso alla scuola dell’obbligo sia stato fondamentale per cambiare un po’ il corso delle cose.
Tornando nello specifico della vostra opera, a parte il danno iniziale con la morte del fidanzato di Marta e la sua conseguente riprorevole condizione di ragazza madre, tra i protagonisti figurati, oltre l’amore, mi sembra che assurga prepotentemente la conoscenza. Siete d’accordo?
Cristiano: Non c’è dubbio, l’aspetto dell’educazione diventa iconico all’interno del film, la macchina da scrivere, lei che ha fatto la scuola elementare.Ci sono delle scene emozionanti come quando lei va in chiesa e dice a Lorenzo a me piace leggere ma non perché mi interessa leggere le cose dei sacri testi, mi piace perché mihanno impedito di coltivare questa cosa e forse avrei potuto fare qualcosa della mia vita se avessi continuato a studiare, ma la famiglia non me l’ha permesso. Quindi la negazione dell’accesso alla conoscenza era lo strumento che permetteva di mantenere quella cultura patriarcale predominante. Quando lui la porta dall’amica con la macchina da scrivere, quel gesto diventa quello un simbolo della sua liberazione. L’unica via di fuga. In quegli anni lì, dove c’era anche uno sviluppo nuovo della società, già fare la segretaria per la donna era una liberazione.
Daniela: Comunque sono problemi che ancora oggi esistono, la differenza salariale, il fatto che la donna si prende più cura dell’uomo dei figli, che lavora solo mezza giornata e non a tempo pieno. In Afghanistan, anche se parlo di un paese che è molto distante dal nostro, la prima cosa che hanno fatto è stato di impedire alle bambine di andare a scuola. Così hanno stroncato un’intera generazione. Quindi sono tutti strumenti che, purtroppo, ancora oggi vengono utilizzati.
Cristiano: è coercitivo il fatto che tu non sappia fare nulla di nulla, non avere l’accesso alla conoscenza è come essere una lumaca senza guscio; a quel punto devi stare zitta e di contro, in questo contesto, la macchina da scrivere diventa molto simbolica. Uno dei film che ci è piaciuto molto, anche se non ha nulla a che fare con questa storia, però in fondo ha delle assonanze, è Lezioni di Piano di Jane Campion. Il pianoforte diventa il simbolo della sua libertà, del suo riscatto. Nel caso nostro la macchina da scrivere assurge a quella stessa valenza simbolica.
Musica e Distribuzione
Com’è stata la scelta della musica? Ci sono dei brani d’epoca, Donizetti, con la colonna sonora che ha sia una natura melanconica che romantica, un crescendo, una tensione costante che ricorda un po’ lo spirito beethoveniano.
Cristiano: Quello che abbiamo cercato di fare, in parte, è di combinare alcune sonorità acustiche con alcune elettroniche. Siccome il film è molto narrativo, d’epoca, in costume, abbiamo cercato di apporre degli elementi elettronici che potessero dare un contesto contemporaneo, inserendo anche un mix di elementi tradizionali. C’è una ricerca di strumenti locali, non suonati in maniera folkoristica, ma tali da far percepire le sonorità che ricordino la Calabria. L’attenzione al suono è una mia grande passione, già nel mio film Rosso come il cielo questa fascinazione era fortemente presente.
Il percorso del film. Quand’è prevista l’uscita in sala, che iter seguirà nei prossimi Festival?
Dopo la première di Bari il film esce in sala il 9 maggio, distribuito da Adler, ci auguriamo che il film, indipendente, una coproduzione con la Germania, uno sforzo comunque notevole, militante, possa arrivare facilmente anche al grande pubblico. Ci ha aiutato molto in questo senso il film della Cortellesi. Che ha portato alla ribalta certe tematiche con un pubblico pronto all’ascolto. Intercettare anche una parte di questo tipo di pubblico non sarebbe male.
Poi molte volte sono dei casi fortuiti, delle cose inaspettate, che determinano il successo di un film.
Daniela: oggi come oggi si dice sempre che il film si gioca tutto nella prima settimana e non si ha veramente neanche più il tempo di fare il passaparola di una volta. Il libro per fortuna ha dei tempi che gli consentono di crescere un pochino di più.
Cristiano: Ahimè, è uno dei fascini del cinema, l’imprevedibilità. Mi consola sempre ricordare che di Psycho volevano fare due puntate per la televisione, o di un GuerreStellari inizialmente rifiutato da tutti. Ci sono tanti esempi nella storia del cinema. La stessa Cortellesi che non aveva avuto i finanziamenti.
Per quel che concerne invece la distribuzione all’estero?
Cristiano : per la distribuzione all’estero abbiamo la fortuna di avere un grosso distributore internazionale che è Beta Cinema, che è molto entusiasta del film. Vediamo che succede, comunque loro sono molto contenti dell’aspetto emeozionale del film. Da non dimenticare che ci sarà un ruolo anche riferito alla pubblicazione del romanzo all’estero, dove è già molto richiesto. Per il momento è atteso in Francia, Spagna e Inghilterra. L’abbinamento romanzo poiù film crea ovviamente maggiori possibilità.
Cristiano: Aggiungo un’ultima cosa riguardo alla ricerca che è stata fatta a livello di scenografia. Se trivedi le foto del dopoguerra italiano noterai come abbiamo cercato di distanziarci tantissimo da un taglio televisivo, patinato del film. Le foto dell’epoca ci parlavano di un’Italia veramente messa male, con persone con un solo vestito per tutta la vita o un vestito con due parti: una per tutti i giorni e una per la domenica, bastava girarlo. C’era una miseria incredibile. Noi ci siamo sforzati di interpretare questa cosa cercando anche il paesino giusto dove girare. Nella storia ci sono tre livelli sociali, c’è il livello di Marta, il più povero, il mediano e poi quello un po’ più nobile. In questo senso abbiamo cercato di lavorarci su vari aspetti, dalla scenografia ai costumi. Lavoro fatto anche a livello linguistico. Ci sono tre tipi di calabrese: quello dialettale, che è quello del popolo, quello che è un mix con l’italiano, quello del prete, e infine, quello più elevato che è praticamente italiano.
Vedi anche: l’intervista di Taxi Drivers a Paolo Sorrentino
Anno: 2024
Durata: 110 minuti
Distribuzione: Adler Entertainment
Genere: Dramma
Nazionalita: Italia, Germania
Regia: Daniela Porto, Cristiano Bortone
Vuoi mettere in gioco le tue competenze di marketing e data analysis? Il tuo momento è adesso!
Candidati per entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi Drivers