
Anno: 2012
Nazionalità: Italia
Durata: 100′
Genere:Commedia
Regia: Francesco Castellani
Era il 2009 quando Francesco Castellani presentava alla quarta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma il suo documentario Liberi Nantes football club (e veniva intervistato anche da noi di Taxi drivers), un esperimento di destrutturazione del reality televisivo intento a raccontare la storia di una squadra di calcio interamente composta da ragazzi rifugiati, vittime della migrazione forzata. Un tema serio e scottante, di cui non si parla mai abbastanza. La rosa della squadra, che comprende afgani, nigeriani, sudanesi, ecc…, ha come fine la promozione e la diffusione di una libertà che, nella loro terra d’origine, gli era stata privata. Vite segnate da episodi estremamente drammatici, violenze, traumi profondi che cercano riscatto in un contesto di espressione significativo, ovvero quello dello sport. Un campo di calcio: un luogo di accoglienza che prende la forma concreta di rifugio, sfogo creativo, occasione per stabilire contatti umani e sociali. Lo ritroviamo nella periferia romana, nel quartiere di Pietralata, location del film e sede effettiva del Liberi Nantes.
Black star, infatti, è il risultato dell’osservazione costante di questo fenomeno e del desiderio di Francesco Castellani e il suo team di realizzarne, da un seppur importantissimo documentario, un’opera cinematografica completa ricca di pathos che rende giustizia alle storie di queste persone. Attorno a queste storie vere, si costruisce una trama semplice, ma che di finzione possiede solo gli elementi indispensabili per far sì che si possa chiamare “film”. La scelta attenta del cast degli attori, ad esempio, alternando professionisti a giovani presi dalla strada (come il giovanissimo Giuseppe Takyi nel difficile e commovente ruolo di Samuel) risulta particolarmente riuscita e sensibile. Non i soliti volti che siamo abituati a vedere nel cinema italiano, ma interessanti alternative che saremmo felici di ritrovare e ribattezzare come la nuova generazione di promesse nel campo della recitazione (spiccano, su tutti, le performance di Alessandro Procoli, Alfredo Angelici e Rocco Tommaso Cicarelli). Un esercizio corale ben assemblato: da un lato i guerrieri del Liberi Nantes, dall’altra alcuni abitanti del quartiere che si schierano contro l’iniziativa della squadra e minacciano di far sgomberare il campo. “Vogliamo essere padroni, almeno a casa nostra”, recita lo slogan razzista del comitato composto da un manipolo di rancorosi cittadini. Nella realtà, fortunatamente, questo non è accaduto, ma è stato senz’altro un intelligente pretesto per avere la possibilità di far assumere maggiori sfaccettature il più possibile credibili a favore dello spettacolo per il grande schermo. I giocatori, quindi, decidono di unirsi per occupare il campo, con tutte le forze, come un loro legittimo diritto. “Fottetevi!Questa è la nostra terra!”.Ma qual è il vero scopo di entrambi gli schieramenti? Perchè tutti tengono così tanto a questo vecchio campo di calcio? Non è un mero accanimento, ma un gesto collettivo che simboleggia la voglia di credere in qualcosa per cui vale la pena combattere, mettersi in discussione, cambiare. E, per le persone rifugiate, il bisogno di sentirsi finalmente a casa. Proprio quando alla fine tutto sembra prendere una cattiva piega, accade un piccolo miracolo. Una speranza che riporta l’armonia all’interno della comunità. Una partita di calcio rimette tutti d’accordo e la costruzione del Monumento/Scultura al Migrante Ignoto assume un significato fondamentale che oltrepassa il concetto di arte/scenografia e di cinema inteso come fiction: una composizione di 300 elementi in ceramica bianca collegati ad un filo di acciaio rivestito di spine, radici e germogli,con 28 fischietti nascosti, viene suonata come un richiamo per tutti i dispersi nel viaggio…in mare, nel deserto,lontano dal calore di amici e familiari, o in fuga., alla ricerca di una condizione umana più dignitosa e ospitale. Quel suono è una voce che arriva lontano, come se confortasse le anime di quelli che non ce l’hanno fatta.
Nonostante i temi drammatici trattati, il regista (autore del suo primo lungometraggio), opta per un taglio di commedia quasi infantile, nel senso positivo del termine, che non scade mai nella risata volgare. Anche l’intervento del simpatico attore comico Marco Marzocca, voce narrante, ribadisce palesemente questa scelta. Si ride, ci si emoziona, ci si immedesima, ci si diverte. É questa la sensazione che trasmette il messaggio di questo film: non facciamoci paladini della giustizia ostentando seriosità in modo sterile, ma facciamoci coinvolgere con entusiasmo da quello che di buono ci è dato offrire e condividere.
Giovanna Ferrigno