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Festival del Cinema Tedesco

German Films compie 70 anni: intervista alla direttrice Simone Baumann

Nei doppi festeggiamenti per i settant'anni di German Films e la quarta edizione del Festival del Cinema Tedesco a Roma abbiamo incontrato la direttrice Simone Baumann, in un dialogo tra passato e presente di una delle più longeve realtà di promozione cinematografica

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Simone_Baumann_@francesco_Cicconi

Esistono totem sparsi nella storia del cinema che sono riusciti a rimanere fari dell’eredità cinematografica del proprio paese. Dalla storica distribuzione Pathè, alla multiforme italiana Cinecittà: società, fondazioni e imprese che, sempre in divenire, hanno mantenuto il loro ruolo e scopo all’interno dell’industria cinematografica.

Da questo punto di vista, in Germania, c’è German Films.

Per festeggiare i settant’anni dalla sua fondazione abbiamo incontrato Simone Baumann, produttrice cinematografica con un’esperienza di oltre venticinque anni nel mondo del cinema e direttrice generale della società.

Il dialogo ci ha dato la possibilità di scoprire un programma di promozione del cinema tedesco all’estero variegato e moderno, attento ad una rappresentazione orizzontale della società e dell’industria, oltre che tanto cinema da recuperare o ricordare.

Chi è German Films e che cos’è un “film tedesco”

Sicuramente la prima domanda che mi sento di fare è: che cos’è German Films e come si sviluppa negli anni questa idea di tutela e promozione del cinema nazionale tedesco all’estero?

German Films quando è stata fondata settant’anni fa, nel 1954, era un’organizzazione che supportava l’export di film tedeschi e si occupava di festival e di mercati.  

Era una piccola realtà ma che funzionava molto bene. Così agli inizi del 2000 è stata ristrutturata e tutte le organizzazioni dei produttori e film fund nazionali si sono uniti alla compagnia.

Oggi German Films è una realtà indipendente ma è finanziata anche da fondi pubblici. Rappresenta prodotti tedeschi di finzione, ma anche documentari e cortometraggi, e dal 2016 si occupa del programma Face to Face, che dà l’opportunità di conoscere da vicino protagonisti e future stelle del cinema tedesco. Diamo la possibilità a questi talents di essere promossi a livello internazionale presentandoli a festival ed eventi e cercando di creare attenzione su di loro.  È iniziato come un programma per attori e registi, ma oggi chiamiamo a rappresentanza anche DOP, sceneggiatori e montatori. Era per noi importante ampliare lo sguardo, perché il cinema è per definizione un lavoro di gruppo e c’è bisogno di tanto talento per fare buoni film.

Rispetto alle origini di German Films oggi promuoviamo film in fase di distribuzione ma anche i progetti non finiti: i film in sviluppo o ancora in produzione, promuovendo le nuove voci del cinema tedesco, non solo i grandi nomi.

Dal vostro catalogo e dai film selezionati per il Festival del Cinema Tedesco a Roma, si evince che una definizione di “film tedesco” non è legata unicamente alla nazionalità dell’autore o alle location. Che cos’è un “film tedesco”?

Questa è sicuramente la domanda che ci facciamo di più nel nostro team.

Per quanto riguarda una definizione posso dire che un “film tedesco” per noi è un’opera prodotta per la maggior parte con finanziamenti tedeschi e che i talenti legati al film devono essere residenti in Germania. Per esempio, l’anno scorso avevamo due film iraniani in catalogo: Empty Nets di Behrooz Karamizade e Achilles di Farhad Delaram. Sono film iraniani ma i filmmakers che li hanno realizzati vivono stabilmente in Germania, pagano le tasse in Germania. Noi li consideriamo talenti tedeschi.

Esiste una post-new wave tedesca?

Ci sono, secondo lei, delle caratteristiche che uniscono tutti i film del panorama contemporaneo tedesco? 

É un cinema davvero diversificato. Ci sono alcuni film molto commerciali, come ad esempio Rheingold di Fatih Akin, che è stato un grande successo in Germania l’anno scorso. È un film comico su gangster che si mettono a produrre hip hop music ed è basato su una storia vera.

E poi ci sono film più piccoli e indipendenti come La sala professori, che ha però una tematica forte: parla di scuola, di valori e di questioni morali.

Il cinema tedesco è fatto anche di tante sfaccettature a livello formale. Per esempio, Piaffe di Ann Oren: un’artista israeliana che vive a Berlino e che, almeno a livello di studi, non proviene dal mondo del cinema ma da quello dell’arte. La componente visuale di questo film di conseguenza è davvero originale.

È una situazione, quella del cinema tedesco contemporaneo, estremamente variegata. Non c’è un film che guardi e dici: “questo è sicuramente un film di un ipotetica new wave tedesca”. È un contesto molto vario.

Il nuovo profilo del cinema tedesco…

Passando invece dal lato del festival (n.d.r. Festival del Cinema Tedesco), quest’anno ho notato che la selezione è prevalentemente giovane e donna. È una casualità o un’intenzione? 

Il processo di selezione di solito è fatto da una giuria locale che riceve da noi, German Films, venticinque film e sceglie quelli che potrebbero essere più interessanti per il pubblico italiano. Da questo punto di vista è stato un caso che la maggior parte dei film scelti siano di registe donne.

Per quanto riguarda invece il fatto che sono tutti molto giovani, ogni anno ci ritroviamo a distribuire  cinquanta opere prime e film di registi giovani. Alcuni sono davvero belli e riescono ad entrare nel circuito dei festival e molti di questi vengono poi scelti per essere proposti alla giuria locale.

…e come arriva al pubblico italiano

Ci sono delle caratteristiche ricorrenti di un film tedesco buono per l’audience italiana?

Di base, la scelta è fatta dalla giuria locale, ma noto che spesso si basa sul tema del film: di cosa parla e cosa un pubblico italiano potrebbe essere curioso di vedere e comprendere. Poi ovviamente c’è anche la questione di come il film è fatto. Diventa così una combinazione di questi due elementi.

Abbiamo questo tipo di festival anche in Spagna, in Argentina, in Cina, in Australia, in Francia. Una cosa che ho notato è che in tutti questi festival le varie giurie locali che scelgono i film fanno sempre scelte simili. Più o meno il 70% dei film scelti sono uguali in ogni paese.

Questo vuol dire che ci sono dei film che hanno un valore universale e che si approcciano a diversi pubblici in tutto il mondo o comunque in quasi tutto il mondo.

 

Un panorama cinematografico giovane e multiculturale

Ci sono film nel vostro catalogo che consiglierebbe in particolare?

Mi piace moltissimo tra i più recenti Falling into place, anche perché la regista Aylin Tezel è uno dei più grandi talenti di oggi in Germania, principalmente come attrice ma anche come regista.

Anche Black Box è un film che mi è piaciuto molto. Ed entrambe le registe di questo film non solo sono donne ma sono di origine turche. Aylin è turco-tedesca mentre Asli Ozge, la regista di Black Box, è di seconda generazione. Questa è una cosa importante da dire perché è un esempio di come la nuova generazione di filmmaker in Germania rappresenta maggiormente la multiculturalità tedesca.  La Germania oggi è un paese dove il 25% della popolazione è figlia di coppie miste, o è di seconda generazione, o è migrata in Germania. Una fetta di abitanti che raramente è stata rappresentata nel cinema tedesco.

Fino a neanche cinque anni fa, ad eccezione di Fatih Akin, che è stato però un caso a sé e comunque isolato, non ci sono stati altri filmmaker con un background migrante e non ci sono stati film che affrontassero le loro storie. Adesso abbiamo tantissimi giovani filmmakers di diverse generazioni che raccontano qualcosa di diverso, perché vengono da background diversi e questo è davvero qualcosa di nuovo e di speciale.

Questa multiculturalità esiste da anni in Germania ma c’è stata poca rappresentazione al cinema. Qualche film forse, magari alcune serie tv ma non c’era mai stata un’abbondanza di storie di questo tipo o di registi con queste storie, come invece sta succedendo adesso.

Sempre tra i film che in questi giorni sono stati presentati al festival c’è anche un documentario: Life is not a competition but I’m winning. La regista, Julia Fuhr Mann, viene da un background femminista ed è un po’ la rappresentante di un nuovo giovane movimento femminista. Quello che mi piace di questo film è sicuramente il tema, ma anche l’humor e l’approccio visivo alla storia.

 

Uno sguardo al passato e al futuro della German Films

Com’è cambiato il ruolo di German Films nel nuovo panorama mediale?

Per noi, devo dire, che non è cambiato molto perché ci occupiamo prevalentemente di cinema e il nostro ruolo, sovvenzionato anche dal Ministero della Cultura tedesco, è di lavorare sulle uscite al cinema.

Ovviamente lavoriamo e siamo in contatto con le piattaforme. Il nostro film premio Oscar di due anni fa, Niente di nuovo sul fronte occidentale, è una produzione Netflix ma è uscito anche in sala.

Quello che abbiamo notato dal nostro punto di vista è che i talenti che noi supportiamo e che fanno cinema oggi si occupano anche di tv e di progetti nati per le piattaforme. Così accade che tra un film per il cinema e un altro di un regista affermato oggi passino sei o setti anni, mentre solo dieci anni fa la distanza era di sue-tre anni.

Eccetto questo devo dire che in generale la situazione attuale non ha modificato il numero di film che vengono prodotti in Germania e che escono al cinema in Germania. Ovviamente vediamo che, soprattutto dopo il Covid, l’audience per il cinema che noi consideriamo “cinema arthouse europeo” è il 60-70% di quella che era prima. Non credo che molti torneranno in sala anche perché ormai  vedono i film a casa. In più ci sta una nuova giovane generazione che magari non andrà al cinema. Andrà per i grandi blockbuster ma non per un piccolo film d’essai.

Abbiamo avuto però, su questo fronte, dei cambiamenti nell’età dell’audience. Ci sono più giovani interessanti al cinema arthouse in Germania, forse anche perché la maggior parte del cinema tedesco lo possiamo considerare cinema d’essai.

In generale, io sono convinta che il cinema non morirà. Sicuramente cambierà forma. Forse ci saranno meno proiezioni, ma la fruizione cinematografica continuerà ad esistere. E in questo contesto i festival hanno un ruolo molto importante.

Qual è il film nel vostro catalogo a cui è più affezionata?

Guardando al passato, essendo io proveniente dalla Germania Est, sicuramente ho un legame maggiore con i DEFA Film (n.d.r. l’ impresa cinematografica pubblica della Repubblica Democratica tedesca). Uno che mi piacque molto è Trace of Stones.

Non posso non nominare Lola corre: per me è stato il film che mi ha avvicinato al cinema.

Infine, tra i più recenti, credo che Vi presento Toni Erdmann sia un bellissimo film.

 

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