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‘La donna di sabbia’ di Hiroshi Teshigahara (1964)

A sessant'anni anni dalla prima uscita, riscopriamo un capolavoro del cinema giapponese vincitore a Cannes e amato da Tarkovskij

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Era il 1964 quando La donna di sabbia vinceva  il Premio Speciale della Giuria al 17° Festival di Cannes  e si guadagnava una nomina al Premio Oscar come Miglior Film Straniero e per la Miglior Regia. Il capolavoro di Hiroshi Teshigahara è oggi considerato un caposaldo della storia del cinema. Tanto che anche Andrej Tarkovskij lo annoverava tra i suoi film preferiti. Scopriamo insieme un racconto surreale sulla solitudine e l’alienazione dell’uomo nella società contemporanea.

La donna di sabbia Sinossi

Un entomologo si avventura nel deserto alla ricerca di nuovi insetti e s’imbatte negli abitanti di un villaggio, ai quali chiede ospitalità. Scopre così che essi abitano in case costruite sul fondo di enormi buche nel deserto e devono spalare costantemente la sabbia che li circonda per fare in modo di non essere seppelliti. L’uomo viene costretto a vivere con una donna vedova e a condurre la stessa vita degli altri abitanti. Tra i suoi tentativi di fuga e la costruzione di un rapporto sempre più complesso con la donna, inizierà anche una profonda ricerca esistenziale.

La donna di sabbia : Il contesto culturale e politico

Per comprendere appieno il lavoro intellettuale che c’è dietro la realizzazione di un film come La donna di sabbia, dobbiamo fare un passo indietro e osservare il panorama culturale di quegli anni.

Il Giappone era uscito dalla Seconda Guerra Mondiale rivestendo un ruolo ambiguo. Se da una parte l’orrore delle bombe atomiche e la conseguente devastazione fisica e psicologica aveva fatto del Giappone una delle vittime del conflitto mondiale, dall’altra era difficile ignorare il passato dell’Impero ultranazionalista e ultramilitarista, che aveva compiuto massacri in tutta l’Asia Orientale, a partire dalla Corea e dalla Cina. Dopo aver perso la guerra, il Giappone fu sottoposto una pesante occupazione statunitense che durerà fino al 1951, e che metterà le basi per molti degli aspetti legislativi e culturali  della società giapponese di oggi.

Terminata l’occupazione vera e propria, inizia un periodo in cui la presenza statunitense in Giappone diventa forse meno diretta, ma non per questo meno significativa. È il momento in cui il Giappone si prepara a sottoscrivere il “Trattato di mutua cooperazione e sicurezza tra Giappone e Stati Uniti” (abbreviato Anpo). Il trattato prevede tra le altre cose che vengano mantenute basi militari americane in suolo giapponese e una mutua cooperazione tra le due nazioni.

Le proteste studentesche

La scena politica e sociale giapponese è sconvolta dagli scontri tra la polizia e gli studenti dello Zengakuren, il collettivo comunista degli studenti universitari. Inoltre, l’ordine è minacciato dalle azioni dell’Armata Rossa Unita, un gruppo paramilitare di stampo comunista contrario all’ANPO, che negli anni Sessanta e Settanta si rende protagonista di varie azioni violente, creando non pochi problemi alle autorità.

A Tōkyō si verificano ogni giorno proteste di grande portata intorno al Palazzo della Dieta Giapponese, che rimarranno le più partecipate nella storia contemporanea del Paese. All’alba del 16 giugno 1960 i manifestanti riescono ad entrare nell’edificio della Dieta. Ciò scatena un violento scontro con la polizia in cui perde la vita Michiko Kanba, una studentessa ventiduenne dell’Università di Tōkyō. Dal dopoguerra è il primo studente a perdere la vita per attività politiche.

Shinjuku: Un nuovo centro di ispirazioni

Pochi giorni dopo il primo ministro Nobosuke Kishi ottiene la ratifica dell’Anpo, ma ci riesce solo compiendo un’azione anti-democratica.  È costretto a rimuove con la forza dalla Dieta tutti coloro che sono contrari al voto. In seguito a questi avvenimenti si dimette, ma il fermento politico giovanile resta più vivo che mai.

Artisti e giovani di sinistra in questo periodo tendono a concentrarsi nell’area di Shinjuku, già fulcro della wakamono bunka, la cultura giovanile. Viene a crearsi una melting pot di artisti di varia ispirazione (teatro, danza, performance, pittura, cinema) ed è proprio grazie ai contatti tra arti diverse e tra arte e impegno politico che si sviluppa un nuovo sentire.

Tra gli artisti si diffonde il bisogno di reagire, di raccontare con la propria arte la delusione e il malessere che si vive in quel momento. C’è un pubblico nuovo composto dai giovani rivoluzionari e servono nuovi mezzi di produzione e di distribuzione. È in questo contesto che nascono le nuove esperienze di cinema indipendente.

L’apparato produttivo e la Shochiku nuberu bagu

L’ATG è una casa di produzione indipendente fondata da coloro che diventeranno i registi di punta del periodo: Nagisa Ōshima, Imamura Shōhei, Masahiro Shinoda, Yoshihige Yoshida e anche il nostro Hiroshi Teshigahara.

Il contesto di produzione e distribuzione in Giappone in questo periodo è estremamente rigido. Esistono poche case major che gestiscono il mercato e permettono la nascita di molte produzioni. L’ingresso della nouvelle vague in Giappone si deve proprio ad una delle major, la Shochiku, che in questi anni realizza una serie di film del filone denominato Shochiku nuberu bagu (la nouvelle vague della Shochiku).  Sono film d’arte che si ispirano agli ideali del movimento francese, ma vengono comunque realizzati in un contesto di dipendenza dal sistema produttivo mainstream e commerciale.

Ciò nonostante, è un’esperienza significativa per diffondere le nuove idee sul cinema d’arte in Giappone. Inoltre, la Shochiku nuberu bagu contribuisce a lanciare Nagisa Ōshima, Masahiro Shinoda e Yoshihige Yoshida come registi. Man mano i registi principali si distaccheranno dalle major per realizzare progetti indipendenti. In ogni caso l’esperienza della Shochiku nuberu bagu ci fornisce alcuni lavori molto interessanti, tra i quali citiamo Racconto crudele della giovinezza (1960), considerato il primo film della New Wave giapponese, di Nagisa Ōshima.

La nascita della New Wave e l’ATG

In questo contesto nel 1961 viene fondata l’Art Theatre Guild (ATG) da un gruppo composto, tra gli altri, dai già citati Ōshima, Shinoda, Yoshida, oltre che da Shōhei Imamura e lo stesso Hiroshi Teshigahara.  Nasce come una costola della major Toho e inizialmente si occupa solo della distribuzione di film d’arte stranieri. In questi anni produrrà alcuni dei film più significativi della New Wave giapponese.

I film dell’ATG propongono un racconto disincantato della società giapponese con le sue contraddizioni e sfaccettature crudeli, senza vittimismo. Il tutto è narrato attraverso tematiche che tendono all’estremo, con una carica violenta e rivoluzionaria. Il primo film prodotto dall’ATG, Evaporazione di un uomo (1967) di Shōhei Imamura, racconta la storia di un uomo scomparso. In quegli anni in Giappone non era raro che qualcuno, schiacciato dal peso delle aspettative della società, un giorno si allontanasse semplicemente da casa senza farvi più ritorno, evaporando dall’esistenza. Il film racconta la storia di un “evaporato” e lo fa assumendo un tratto documentaristico per gran parte della pellicola. Il tema dell’allontanamento dalla società per ritrovare se stessi è fondamentale e si può dire che anche la trama de La donna di sabbia sia la cronaca di un “evaporato”.

Cinema e letteratura

Hiroshi Teshigahara è decisamente il regista che, tra quelli della generazione della New Wave giapponese, ha cercato più di altri di rappresentare tematiche esistenziali, che – apparentemente – erano distaccate dalla sfera della militanza politica. I suoi film raccontano temi universali, come l’alienazione umana nella società contemporanea e la conseguente crisi esistenziale. Gli aspetti trattati nei suoi film non sono mai legati a un tempo e a un luogo preciso. Per questo motivo possono risuonare in qualunque essere umano, in qualunque luogo ed epoca. Va comunque riconosciuto che la riflessione sull’alienazione umana realizzata da Teshigahara non avrebbe potuto nascere senza le nuove critiche alla società giapponese contemporanea portate dalla New Wave.

Teshigahara si avvale della collaborazione con Kōbō Abe, autore eccelso della letteratura giapponese del dopoguerra. Abe è autore di opere che raccontano la condizione della solitudine e dell’alienazione umana nelle sue sfaccettature più profonde e surreali. Oltre a La donna di sabbia (1962), tra i suoi lavori menzioniamo Il volto dell’altro (1964), L’arca ciliegio (1984) e Il quaderno canguro (1991). I romanzi mettono sempre in scena storie stranianti e surreali che esprimono tutte le contraddizioni dell’esistenza nella società industrializzata contemporanea. Inoltre sono ricorrenti temi di matrice kafkiana: molti dei personaggi di Abe sono intrappolati in situazioni surreali e terrificanti, senza avere possibilità di fuga.

Abe e la vita tra le dune

Per la genesi del romanzo La donna di sabbia, è importante avere presenti alcuni aspetti della biografia di Abe. Nato nel 1924, trascorre la prima parte della vita nella Manciuria occupata dal Giappone, dove era stanziato il padre medico. La zona in cui la famiglia risiedeva era quasi desertica e il rapporto che Abe instaura con il paesaggio delle dune lo segnerà per tutta la vita; spesso racconta della duna di sabbia che vedeva dalla finestra della sua scuola media, la quale ogni anno si avvicinava di un metro all’edificio della scuola a seguito delle forti piogge primaverili. In molte interviste non mancano le riflessioni sulle tempeste di sabbia in Manciuria e in generale sul clima inospitale della colonia.

“Nei giorni di tempesta, il cielo diventava bruno e mi sentivo quasi soffocare dalla sabbia. Non importava quanto mi strofinassi gli occhi, la sabbia era sempre lì. Tuttavia ho sempre vissuto le tempeste con un senso di gioia, perché significava che la primavera era alle porte.” (Abe, 1965, Sabaku no shiso, trad. dal giapponese di Xinyi Zhao in Zhao, Xinyi. 2022).

È ad Abe che dobbiamo i romanzi da cui sono tratti anche i film Otoshiana (1962), Il volto dell’altro (1966) e La mappa bruciata (1968), tutti diretti da Teshigahara.

La colonna sonora

Grazie alla commistione delle sensibilità del regista e dello scrittore, la narrazione del film si svolge senza sforzo. Il tutto non sarebbe possibile senza la colonna sonora di Tōru Takemitsu, compositore contemporaneo dalla carriera lunga e ricca di ispirazioni. Oltre a contribuire all’innovazione della musica contemporanea, cura la colonna sonora di oltre cento film tra cui Ran (1985) di Akira Kurosawa e La pioggia nera (1989) di Shōhei Imamura. Le musiche de La donna di sabbia, così tese, sperimentali e provocatorie, diventano così parte integrante della narrazione e restituiscono allo spettatore un senso di straniamento costante.

Il film è ricchissimo di suoni che realizzano una fedele caratterizzazione dell’ambiente: scricchiolii, fruscii, tonfi prodotti dalla sabbia e che ci rendono coscienti della sua presenza incessante. La musica è presente solo nei momenti di tensione: non si tratta solo di tensione tra l’uomo e la donna, ma soprattutto tra l’uomo e la sabbia.

I suoni sono espressivi e hanno qualcosa di inquietante che mantiene lo spettatore vigile. Ci sentiamo come se stesse sempre per accadere qualcosa, come se ci fosse una catarsi che non arriva mai. Ciò crea una sensazione di disagio costante, che rende in modo straordinario le emozioni del protagonista: un uomo la cui vita lontano dalle dune non aveva nulla di straordinario né di drammatico, ma che era semplicemente caratterizzata da un senso generale di malessere. Non c’è sicurezza, non c’è immobilità. C’è solo il lento fluire di qualcosa che non comprendiamo bene, ma che è fonte di una profonda ansia esistenziale.

La recensione

Il film, a distanza di esattamente sessant’anni dalla presentazione al Festival di Cannes, dimostra ancora di avere molto da raccontare. Lo fa avvalendosi di una storia che parla di tutti noi e che potrebbe essere ambientata in qualunque società moderna. La pellicola si snoda raccontando con forza il dramma esistenziale di un uomo che agisce nella società senza viverci, senza esserne appagato. ll suo viaggio inizia per cercare insetti da studiare e continua per cercare di dare un senso alla propria vita.

Il surreale concorre ad aiutare la ricerca del senso della propria esistenza. Una volta che la realtà ci si presenta distorta,  è permesso di dissezionarla e analizzarla pezzo per pezzo. Il trattamento dei corpi è magistrale. Vengono descritti per sottrazione e anche qui assistiamo ad una scomposizione dell’immagine che è sinonimo della frammentazione dell’interiorità. Soprattutto il corpo di lei, che viene rappresentato sempre una parte per volta, rende al meglio la mancanza d’immobilità che tutto il film comunica. I corpi sono considerati quasi sempre in relazione all’elemento della sabbia: si fondono con essa, scompaiono e sono complici nel fare scomparire anche l’identità interiore.

La sabbia rappresenta un non luogo. Si tratta di uno spazio in costante evoluzione, che si muove come corpo unico sotto forma di deserto ma si insinua dappertutto – tra i vestiti, nelle nostre anime – sotto forma di granelli. Lo spazio delle dune, e quello della strana comunità umana con cui il protagonista si confronta, danno alla fine una possibilità di redenzione per ritrovare il proprio io. La donna di sabbia ci mette davanti a tutte le distorsioni del mondo per costringerci a guardarci dentro, per assicurarci infine di non essere proprio noi quelli distorti.

Il film è disponibile integralmente su YouTube sottotitolato in inglese.

La donna di sabbia

  • Anno: 1965
  • Durata: 123'
  • Distribuzione: Toho, Teshigahara Productions
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Giappone
  • Regia: Hiroshi Teshigahara