Anno: 2012
Durata: 114′
Genere: Drammatico
Regia: Kira Muratova
Eterno ritorno: provini – La commedia e la tragedia della vita e del cinema
“La vita non è breve, ma è terribile e finisce”. Questa battuta, tra il comico e il tragico (ripetuta dai vari interpreti nella rappresentazione della medesima commedia-tragedia dell’esistere), ben condensa Eterno Ritorno: provini, l’ultimo lungometraggio del Concorso della Selezione Ufficiale che guardo. Dentro un Festival davvero difficile da inquadrare-inscatolare, nella sola ed unica certezza che IL FESTIVAL DI ROMA NON E’ MAI STATO E MAI PIU’ SARA’ una festa del cinema, arriva in Concorso nella selezione ufficiale, accanto al polpettone melodramma ad effetti speciali cinese 1942, il cinema d’autore. Con una presenza ‘storica’, importante. Kira Georgiyevna Muratova, classe 1934, definita “l’anello mancante attraverso il quale raggiungere il cinema sovietico moderno”. Indipendente sia stilisticamente che ‘politicamente’ dal regime, sempre in lotta con la censura dell’ex Unione Sovietica per il suo non allineamento. Soltanto con l’avvento della Perestrojka il suo cinema si è potuto espandere, attraversando i confini. Leone d’Argento (Premio speciale della giuria) alla Berlinale del 1990 con The Astenic Syndrome, membro della Giuria al Festival di Cinema di Venezia, grazie ad Enrico Ghezzi e Fuori Orario è stata introdotta-diffusa visivamente in Italia. Cineasta tutta da scoprire (anche per me). Eterno ritorno: provini imbastisce una godibile riflessione proprio sul senso-necessità di un cinema d’autore, oggi. E lo fa ingannando (sorniona) i suoi spettatori.
L’avvio di una storia è solo apparente…tutto si inceppa in un ‘loop infinito’, riprodotto-rappresentato ad ogni avvio da una coppia differente. Incipit-storia magnifica, nel taglio di inquadratura, nel bianco e nero che ci accoglie e nella prima donna che la Muratova traccia. Bella, matura negli anni, indipendente nel nutrirsi di se stessa nella casa-nido che la contiene. Arriva, inaspettato, un uomo con un cappello e venti anni di distacco reciproco. “Da dove cominciare?” (Le si rivolge l’uomo/ Prima domanda –quesito anche (per me) che chi vuol far un certo cinema si pone, oggi). “Comincia a toglierti il cappello”. L’uomo è meno bello, meno libero, più codardo e naturalmente egoista. “ So che tu stai bene, io invece sto male… Tu hai sempre saputo cosa fare, sei intelligente, saggia, sei stata la migliore tra quelli del corso… Io amo mia moglie, vivo con lei da più di dieci anni, amo mia moglie…”. La donna capisce, perde l’entusiasmo, si siede. “Ho conosciuto una donna e me ne sono innamorato…” .“Parli del passato, parli di tua moglie”. “No. Tre mesi fa ho conosciuto una donna. È meravigliosa, e la amo da impazzire. Vivo con questo tormento…ho bisogno di un consiglio…”. “Se la ami, lascia tua moglie”. L’uomo la guarda stupito: “Ma come puoi dire una cosa del genere?”. “Allora amale entrambe”. L’uomo è ancora più allibito. “Mi chiedi di far soffrire due donne meravigliose? Come puoi essere così…”. La donna lo consola: “L’attrazione è passeggera, resta con tua moglie…”. “Ma io non posso vivere senza l’altra…darei la mia vita per lei”. “Allora è tutto chiaro, ami lei.” L’uomo è ancora più stupito… “Come puoi essere così insensibile…?” – (intanto tutti in sala ridiamo da un bel po’) -. “Beh. Le soluzioni sono tre, anzi quattro: o lasci tua moglie, o lasci la tua amante, o le ami entrambe, oppure… la quarta… la migliore, la più eccitante: lasciale, fuggi e cambia vita…”. L’uomo è ancora più incredulo. Se ne va, come un cane bastonato, ma poi, naturalmente, tornerà…
Questa istantanea, riprodotta-reinterpretata ogni volta da un uomo-una donna differenti, riesce (visione sicuramente non semplice da tenere per un occhio non allenato) a dare sostanza a due ore di girato. E ci riesce per la capacita (e della Muratova e dei suoi splendidi interpreti, storici propri attori-collaboratori) di multiformare la traccia esistenziale, espandendola a varie tipologie umane (per età, per condizione), assolutizzandola in simboli ‘metafisici’ (un groviglio di spago indistricabile, un quadro che testimonia la presenza dell’assenza, una canzone antica ‘volgare e rozza’ nel cantare l’utopia dell’amore), pur mantenendo una costante. La donna è sempre, ogni volta, più ‘forte’. Più indipendente, meno egoista, più saggia, più leggera. Le donne che la carrellata umana della Muratova ci mette davanti, sono sicure di sé, si nutrono di arte e bellezza, non gettando all’aria la fragilità, anzi… divertenti, sognatrici, sensibili, sofferenti ma piene di speranza, di attesa… L’uomo è ridotto ad un essere piccolo, egoista, pronto solo a ‘prendere per sé’, poco creativo, poco vitale.
E il cinema? Esce ed entra dalla vita… La Muratova ci stacca abbastanza presto dal gioco strutturale fine a se stesso, coinvolgendoci nella relativizzazione autoriale che una praticità, innanzitutto economica, porta a dover necessariamente considerare. Dentro un’industria cinematografica attuale dominata più che mai dal profitto fine a se stesso, da un gusto e consumo livellati verso il basso, col meno sforzo possibile nell’offrire e nel fruire anche del puro intrattenimento, l’assoldare con l’inganno un industriale dello zucchero quale produttore/finanziatore (inconsapevole) di un cinema d’autore, è la più bella e poetica risposta che la Muratova dà al mio dilemma. Ora sono più tranquilla: continuerò a guardare e a scrivere di cinema autoriale. Ora più che mai, grazie a questa piccola, splendida delizia.
Maria Cera
*Eterno ritorno: provini di Kira Muratova e Le spose celesti dei Mari di Pianura di Alexey Fedorchenko, i due film più pieni della Selezione Ufficiale, tra quelli da me visti. Spero verranno in qualche modo valorizzati dalla Giuria, me lo auguro vivamente.