Elaha, il film d’esordio della regista curda Milena Aboyan è una di quelle opere che riescono senza alcuna retorica ad affrontare un tema delicato e complesso, quello di un’operazione molto diffusa (ma di cui si parla pochissimo) che è la ricostruzione dell’imene a cui ricorrono le donne che per rispetto di una tradizione patriarcale sono obbligate a conservare la loro verginità per il matrimonio. Per il suo coraggio nel mettere in scena l’io diviso di una giovane donna, ricorda due film che urlavano allo stesso modo la necessità di un’emancipazione femminile: Never Rarely Sometimes Always (2020) e L’evenement (2021)
La protagonista Elaha, una ragazza di ventidue anni prossima al matrimonio, guarda disperata in macchina chiusa in un formato ristretto dell’inquadratura, chiede aiuto al di fuori di quella gabbia sociale e culturale che le è stata costruita intorno. Trova una via di fuga tra le pareti dell’appartamento del suo amante dove è libera di scegliere, di restare o andare via. Nel suo affannoso tentativo di ricorrere ai ripari al “danno” imperdonabile commesso, le verrà in aiuto la sua insegnante, una donna indipendente in grado di mostrarle una via d’uscita.
La libertà negata di Elaha
Quando Elaha balla troppo vistosamente durante una festa, sua madre la costringe a smettere, è infatti un’altra donna, chi l’ha messa al mondo, che più le impedisce di vivere liberamente la propria vita: è il sintomo di una mentalità coercitiva imposta dagli uomini e ormai radicalizzata, che impedisce alle donne di una comunità di fare fronte comune. Elaha però è di una generazione che non accetta più così facilmente la sottomissione e l’umiliazione fisica. Il suo corpo e il suo volto sono sempre al centro della scena, chiedono di essere visti e rispettati.
Elaha a lavoro è costretta a stirare camice maschili, indossa abiti eleganti scelti da sua madre, guarda con distanza il pesante abito da sposa. Soffre in silenzio trattenendo il suo segreto fino a esplodere per poi liberarsi da ogni abito-imposizione esterna, alla fine resta solo il suo corpo riscattato, avvolto dai lunghi capelli scuri. L’attrice protagonista Bayan Layla sostiene con la sua interpretazione il dramma interiore intorno a cui ruota il film che si concentra sui pochi giorni decisivi che precedono le nozze, il dolore straripa tutto dal suo sguardo.
La corsa di Elaha
Il film si muove su due dimensioni che finiscono per scontrarsi. Da una parte c’è l’intimità di un racconto familiare dove a scaldare il cuore è il rapporto di Elaha con suo fratello. Dall’altra parte Elaha corre sola lungo la strada per l’emancipazione sessuale, un percorso pieno di ostacoli. La regia insegue senza sosta questa folle piccola corsa individuale, profonda come un viaggio introspettivo, illuminato da una fotografia che ricorda il grigio opaco di un cielo prima della tempesta.