In vent’anni di onorata carriera, il regista e produttore australiano di origini malesi James Wan è riuscito a plasmare diversi immaginari, coniugando l’autorialità, quindi un disegno preciso di messa in scena, e la capacità di raggiungere una platea ampia, avendo avuto le sue opere, salvo rari casi, una sempre alta resa economica.
È difficile riscontrare in lui un tratto caratteristico che evidenzi in modo chiaro e definito il suo lavoro. Se è infatti vero che parliamo di un artista, è anche vero che, specie negli ambiti in cui opera, quelli dell’horror e degli action movies, la regia e la scrittura sono spesso deputate al servizio dei meccanismi interni al genere, rendendosi di fatto invisibile, privilegiando gli aspetti più puramente scenici ed effettistici.
Ciò detto, James Wan resta un autore. Il suo genio creativo lo ha portato a concepire alcune tra le opere più iconiche del cinema moderno, tra cui Saw, Insidious e la saga di The Conjuring in cui è riuscito a tessere trame e ramificazioni tali da creare un intero universo narrativo, come fatto dalla Marvel e, in misura minore, dalla Dc, con cui lo stesso Wan ha collaborato in due occasioni. Ma riuscire a farlo all’interno di un genere spesso considerato di nicchia – per gli stessi archetipici ed irriducibili motivi per cui allontana molti spettatori, ne attira tanti altri – significa aver fidelizzato il pubblico, oltre che ad un prodotto, ad un’idea.
Saw: un biglietto di sola andata per Hollywood
Scarsità di mezzi – e strumentazione adeguata – richiedono arguzia e ingegno. Questo è particolarmente vero nel cinema indipendente, e lo è ancora di più nel cinema horror indipendente, dove la necessità di sopperire alla mancanza di risorse sufficienti spesso s’incontra con la fantasia e l’abilità di trovare espedienti artigianali, economici, ma non per questo meno efficaci nella resa visiva sullo schermo. Facendo quindi di necessità virtù, James Wan e il suo storico collaboratore Leigh Whannell, con cui ha co-sceneggiato buona parte delle loro opere più conosciute, hanno dato vita al film che forse ha più ridefinito gli stilemi del genere nel nuovo millennio.
James Wan e Leigh Whannell
Come buona parte dei film horror dei primi anni 2000, l’idea per un film low-budget che possa contare su una messa in scena scarna e minimalista, nasce dalla visione di un film seminale – e fenomeno mediatico – che ha ridefinito negli anni a venire il modo di intendere la produzione, la distribuzione e la commercializzazione del cinema indie. Stiamo parlando ovviamente di The Blair Witch Project del 1999. Per stessa ammissione del duo artistico, mai sufficientemente celebrato, l’idea per Saw, ovvero un film basato su pochi e concentrati elementi, venne proprio dalla scoperta di quel fortunato esperimento.
La genesi di un mito
Wan e Whannell si conoscono al RMIT University di Melbourne dove studiano arti mediali. Terminato il percorso accademico, decidono di scrivere una sceneggiatura che permetta di avere massima libertà creativa sfruttando le poche pretese economiche. Nasce così, seppur ancora in forma embrionale, il mito di Saw. Il personaggio di John Kramer, in arte Jigsaw, sarà opera dell’immaginazione fervida e tormentata di Whannell. Mentre è impiegato in un lavoro per lui non gratificante che gli provoca un forte senso di insoddisfazione, somatizza questo malessere in forti ed apparentemente inspiegabili emicranie, che gli causano dolori lancinanti. Convinto quindi di avere un tumore al cervello, decide di sottoporsi a delle analisi. Mentre siede nella sala d’aspetto dell’ospedale, secondo le sue stesse parole, si domanda:
Tre uomini e una gamba
È il 2003. Inizialmente faticano a farsi notare. Decidono allora di girare un cortometraggio che restituisca un’idea il più possibile precisa e spettacolare di quello che dovrebbe essere il prodotto finito. Il corto, inizialmente intitolato Saw, dopo l’uscita del film nelle sale e una riedizione in blu-ray, verrà rinominato Saw 0,5.
Riescono a convincere alcuni produttori che stanziano circa un milione di dollari per l’intera lavorazione. Girato quasi esclusivamente all’interno di un bagno e in soli diciotto giorni, risulterà uno dei maggiori successi commerciali della stagione, e tra i film con più profitti di sempre. Presentato al Sundance di quello stesso anno, la Lionsgate acquista subito i diritti. L’intenzione è quella di posizionarlo direttamente all’interno del mercato home video, ma dopo alcuni screenings in cui il pubblico si rivela entusiasta, decidono di distribuirlo in sala. A fronte di un budget di un solo milione di dollari, ne incassa più di cento in tutto il mondo, raggiungendo quasi i duecento l’anno successivo con la vendita dvd. L’enorme successo darà vita ad una franchise ancora oggi vivo a distanza di vent’anni, con l’ultimo capitolo della saga, Saw x, uscito lo scorso anno.
Una delle immagini di apertura del film Saw
Tra plauso e blasimo
Nonostante gli ottimi risultati, il film viene accolto tiepidamente dalla critica, che in molti casi lo accusa di essere una versione estremamente violenta e volgare di Seven, il capolavoro di David Fincher, con cui condivide alcuni tratti distintivi. Tra questi, ciò che accomuna maggiormente le due opere è sicuramente la figura dello spietato assassino che miete vittime in nome di un apparentemente nobile ideale. In merito alle presunte affinità lo stesso Whannell ha dichiarato:
“Credo che, a ben guardare (in entrambi i film), ci siano due detective che danno la caccia a uno psicopatico, che usa metodi ignobili per impartire lezioni di vita, e questi sono i punti in comune. Quello che mi è sempre piaciuto di Saw, però, è che la storia è raccontata dal punto di vista di due vittime dello psicopatico, invece che dalla polizia che gli dà la caccia, come spesso accade.”
Torture porn, venne definito da alcuni. Termine che negli anni arriverà a comprendere sempre più produzioni debitrici, spesso quasi esclusivamente derivative, che si inseriscono proprio sulla scia di Saw, precursore rispetto alle tendenze dell’immediato futuro. Che se ne apprezzino le qualità estetiche, narrative, anche morali, o che invece lo si disprezzi, non può però essere ignorata l’influenza ed il fascino esercitati sull’industria, arrivando a modellarne il gusto.
L’eredità
Molte sono le opere che, più o meno direttamente, si sono ispirate al film e alle sue caratteristiche intrinseche. Da b-movie come Would you rather, Nine dead, House of 9 e the belko experiment, tutti ascrivibili al tema del death game, di cui Saw è appunto antesignano, a cult come la saga di Hostel, che esaspera la violenza grafica rendendola formula estetica. Gorno, così è stata rinominata la trilogia, crasi tra le parole gore, letteralmente sporco, che per estensione ha assunto il significato di scabroso e straordinariamente violento, e porno, ad indicare un’evoluzione, ancora più esplicita e gratuita, rappresentativa, feroce e manifesta, dello strazio corporale. La teatralità della mutilazione, carni e viscere esposte per il gusto ma anche la necessità catartica di esorcizzarne l’inquietudine. Inquietudine che la diretta esibizione necessariamente comporta.
Ancora, è importante riconoscere la corrispondenza tra il film diretto da Wan e opere che, pur mitigandone la violenza, ne hanno mantenuto l’essenza drammaturgica, come la celebre serie coreana Squid Game, che vede sempre la sopravvivenza e l’esperimento umano come temi nevralgici. Il gore per cui la saga di Saw viene oggi ricordata non era però tra le intenzioni dichiarate degli autori, specie del regista, che infatti firmerà solo il primo capitolo. Lo stesso ha dichiarato in merito che il suo intento era quello di realizzare un film che funzionasse come un mystery thriller. Mentre Whannell firmerà come sceneggiatore altri due capitoli, Wan rimarrà produttore esecutivo per tutto il seguito del franchise, supervisionando ma mai interferendo con il processo artistico dal quale, forse, dati i suoi iniziali propositi, tende ad allontanarsi.
Dead Silence e Death Sentence: tra insuccesso e ripensamenti
Nel 2007, dopo tre anni dal successo del suo esordio, Wan dirige due film, entrambi dai risultati insoddisfacenti.
Dead Silence, il primo film realizzato con una major, l’Universal, horror sovrannaturale che si distanzia drasticamente dallo splatter che aveva invece caratterizzato e catalizzato l’attenzione su Saw. L’intento è quello di realizzare un film sulle presenze, le infestazioni e gli spiriti maligni, filone tradizionale del genere, sicuramente tra i più esplorati e codificati, a cui il regista legherà poi il suo successo nel decennio successivo. L’esperienza però non è positiva, né lavorativamente – sia Wan che Whannell lamentano le pressioni e la mancanza di libertà creativa in un grosso studio – né in termini di risultato. Non solo la critica sarà poco indulgente, stroncando il film, ma anche il pubblico non premierà la nuova prospettiva: aspettandosi probabilmente un film simile al precedente, rimane evidentemente delusi.
La ventriloqua con il suo iconico pupazzo animato nel film Dead Silence
Le critiche
Le ragioni dell’insuccesso sono però anche da ricercare nelle diverse falle narrative che il film presenta. Così come Saw ha avuto un impatto enorme sull’immaginario collettivo diventando un caso commerciale proprio grazie alle innovazioni stilistiche e formali introdotte, per ragioni contrarie, ovvero la mancanza di originalità e inventiva e la reiterazione quindi di modelli ed espedienti già allora inflazionati – e oggi ormai insopportabili – Dead Silence non ha trovato la sua dimensione. Costato venti milioni di dollari, ne incassa soltanto ventidue. Ciononostante, nel corso del tempo il film è stato rivalutato e oggi viene considerato un cult da molti appassionati, come lo stesso Wan, confuso e rincuorato, ha dichiarato in una recente intervista.
Death sentence invece si allontana dal genere pur mantenendone la violenza illustrativa: un revenge movie che vede Kevin Bacon impegnato in una caccia spietata alla banda criminale rea di avergli ucciso il figlio. Anche in questo caso il film si rivela inadatto alle aspettative. La critica lo taccia di violenza gratuita e di avere un impianto dai risvolti assurdamente iperbolici, mentre il pubblico non ne premia l’audacia: per un budget sempre di venti milioni di dollari, ne incassa meno, per un totale di diciassette. A seguito della forse troppa fiducia che nel breve periodo le produzioni hanno riposto in lui, e possibilmente proprio a causa di ciò, essendo passato senza fasi intermedie da uno a venti milioni di dollari spesi, mancando però risultati corrispondenti sul fronte dei guadagni, Wan sarà costretto a ridimensionare le sue aspirazioni.
Insidious: la riconferma
Se si vuole fare un horror – o se si è costretti dalle circostanze, come in questo caso – spendendo poco ma con l’ottica di ampi orizzonti commerciali, la storia recente ha insegnato che affidarsi alla casa di produzione Blumhouse è una scelta intelligente. Jason Blum, produttore ormai leggendario nel panorama hollywoodiano, ha costruito la fortuna della propria azienda su una formula molto semplice: low-budget e totale libertà creativa agli autori, due elementi coerentemente coniugabili tra loro, e infatti la formula, quanto più semplice, tanto più funziona.
Forse uno dei jump scare più iconici di sempre nel primo capitolo di Insidious
La regola è semplice: un milione di dollari da spendere senza interferenze di sorta. Wan conosce il procedimento, avendone beneficiato per la realizzazione di Saw. Allontanandosi definitivamente dalla crudezza visiva dei suoi primi film, il risultato è canonico e sorprendente allo stesso tempo. L’intreccio, altrettanto: una casa infestata, una famiglia disperata. Medium, demoni e presenze aleatorie. Jump scare, porte che sbattono, finestre che si aprono.
Repetita iuvant
Elementi abituali e per questo solitamente fatali per la buona riuscita di un haunting movie, riescono a trovare la propria collocazione precisa grazie a un uso sapiente degli strumenti propri della regia. Grazie a sequenze tensive che generano una crescente ansia nello spettatore, e ad un character design efficace che rende gli incubi tangibili, l’orrore, che pure nel finale si rende manifesto rendendosi forse eccessivamente esposto, si mantiene celato e, appunto, insidioso, per l’intero svolgimento, raccontandoci come la paura non si origini dalla mostruosità in sé ma da quella che noi fervidamente immaginiamo.
Il film è un successo commerciale enorme: incassa cento milioni dando così vita ad un nuovo franchise, per un totale di cinque capitoli e un incasso complessivo che supera i settecento milioni di dollari. Wan tornerà a dirigere il secondo episodio della serie mentre Whannell segnerà il proprio esordio alla regia dirigendo il terzo. Entrambi rimaranno poi produttori per l’intera saga.
The conjuringverse
La consacrazione definitiva che porta Wan ad entrare nel gotha dei grandi maestri horror arriva nel 2013 con il film The conjuring, basato sulla storia vera di Ed e Lorraine Warren, e sui presunti veri casi di possessione demoniaca da loro affrontati in qualità di investigatori dell’occulto. Patrick Wilson torna nel ruolo di protagonista com’era stato nel caso di Insidious, in cui interpreta un padre inerme e disorientato per quello che sta accadendo alla sua famiglia. Qui invece, pur trattandosi di film simili se analizzati dal punto di vista tematico, che trattano sempre il tema dell’occulto, l’angolazione da cui gli eventi vengono giudicati cambia: qui abbiamo modo di seguirli direttamente dalla prospettiva degli esperti, che affrontano le presenze infestatrici subendone loro per primi le influenze malefiche.
Come sempre, il finale per essere risolutivo spesso deve anche essere spettacolare, seppure qui Wan riesca a mantenere una certa eleganza nella messa in scena, statuaria, quasi epica, senza scadere nei vezzi della suggestione teatrale, ovvero l’intensità del dramma e la sorpresa, come invece era accaduto, con colpevole leggerezza, nel caso di Insidious. Alcune sequenze sono tanto semplici quanto efficaci, sfruttando alcuni topoi del genere, che sono poi quelli animatori delle nostre inquietudini più archetipiche: la paura del buio, quella dell’ignoto.
Le ragioni del successo
La formula degli eventi tratti da una storia vera connessa al cinema di genere che crea fascino e mistero, la fidelizzazione del pubblico, come dicevamo, a un’idea e non all’opera singola, quindi ad un’universo, la qualità del confezionamento in tutti i suoi aspetti scenotecnici, la regia autoriale che rischia, con movimenti di camera anche lunghi e vertiginosi: tutte queste componenti concorrono all’ottima fattura generale che viene riconosciuta per un plauso unanime. La critica lo loda come uno degli esempi meglio riusciti del cinema horror contemporaneo, e il pubblico è entusiasta.
Patrick Wilson e Vera Farmiga interpretano Ed e Lorraine Warren nella saga The Conjuring
Con un budget di 20 milioni di dollari, ne incassa 320. Il film darà vita ad un franchise – il quarto capitolo è oggi in lavorazione – ma non solo. Così come pensato dai grandi marchi di cinecomics come Marvel e Dc, che creano un universo espanso di trame e sottotrame di eroi che si intrecciano tra loro legandone destini ed imprese, così Wan, seguendone negli anni con evidente attenzione gli sviluppi (legherà il suo nome proprio ad uno di questi universi, dirigendo i due capitoli della saga Aquaman), decide di creare il proprio di universo, anche tramite la sua neonata casa di produzione Atomic Monsters.
La nascita di un fenomeno
In un ambito dove questo tipo di struttura non era mai stata adottata, riesce ancora una volta a permearne il gusto e le dinamiche rappresentative. Non solo spin-off e sequel quindi, ma una vera e propria ramificazione di eventi che trovano sempre una radice comune: potremmo dire, quella del male.
Titoli come The Nun, Annabelle e La Llorona si connettono agli accadimenti narrati in The Conjuring, tracciando un filo conduttore che appassiona milioni di spettatori, ancora oggi attenti agli ultimi sviluppi. Pur ricevendo spesso un’accoglienza tiepida se non addirittura avversa da parte della critica, il Conjuringverse ha incassato complessivamente più di due miliardi di dollari a fronte di un budget di soli duecento, rivelandosi così la saga di maggior successo nella storia del cinema horror. Wan tornerà anche in questo caso alla regia per il secondo capitolo, mentre manterrà il ruolo di consulente creativo e produttore per tutte le altre opere derivate.
I blockbuster: Furious 7 e Aquaman
“Vorrei sperimentare in altri generi, […] non sono solo appassionati di horror. Sono appassionato di cinema. Amo i film d’azione. Voglio fare film d’azione. Voglio fare commedie romantiche. Amo tutte queste cose. Quindi, se trovo del buon materiale, le farò”
Così si esprimeva Wan nel 2011 rispetto alla sua volontà di spaziare in altri generi e di non voler vincolare la sua immagine unicamente al cinema horror. Con Death sentence in parte era già riuscito a dimostrarlo, ma il risultato per molti aspetti non soddisfacente aveva probabilmente rimandato una seconda occasione, che si ripresenterà diversi anni più tardi. Nel 2013 infatti, dopo i successi ottenuti con le diverse saghe a cui è riuscito a dare vita – pochi come lui, forse nessuno, è riuscito in questo, trasformando semplici intuizioni in creature che, grazie a innesti solidi e correttamente indirizzati, hanno saputo vivere floridamente anche lontane dal suo ideatore – entra in trattativa con la Universal per dirigere il settimo capitolo della fortunata saga Fast and Furious.
Il toccante tributo a Paul Walker, morto in un incidente stradale durante le riprese di Furious 7
Wan dimostrerà ancora una volta di riuscire a coniugare l’apporto tecnico e la suggestione creativa agli intenti di carattere esclusivamente commerciale. Il film ottiene riscontri positivi e apprezzamenti – significativi, considerando la reticenza che la stampa tende ad avere nei confronti dei blockbuster – arrivando ad incassare più di un miliardo e mezzo di dollari, diventando uno dei film dal maggiore incasso di sempre.
Nel 2018 è il turno di Aquaman, di cui dirigerà anche il sequel. Supera il miliardo, diventando il film di maggiore incasso per la DC. È la legittimazione risolutiva della sua poliedricità, che lo rende capace di reinventarsi in diversi generi ottenendo sempre l’eccellenza. Le polemiche che accompagneranno invece l’uscita del secondo capitolo, tra la crisi dell’universo Dc, il Caso Heard e una scarsa cura mediatica, concorreranno al disastro annunciato, non imputabile quindi alla qualità estetica del prodotto: il film incassa infatti meno della metà del precedente.
Malignant e prospetti futuri
Nel 2021 torna alla regia di un film horror, Malignant. Diversi sono gli echi di pellicole cult, tributando in particolare il maestro Argento, facendo riferimenti espliciti ad opere come Tenebrae e Trauma. Essendo la combinazione di diversi stili e tecniche narrative, il film è anche in comunicazione diretta con pellicole non necessariamente ascrivibili al cinema orrorifico, come Matrix o Vestito per uccidere.
James Wan e Annabelle Wallis sul set del film
Un Ip originale ma certamente obbligato nei confronti di molte opere passate. Difficile valutarne il rendimento economico, considerando che la distribuzione è avvenuta in piena pandemia, mentre il responso è stato vario: chi ne ha acclamato la varietà delle proposte stilistiche e l’istrionismo di Wan come innovatore e artista eclettico, si contrappone alle critiche mosse all’eccessiva bizzarria e mancata concretezza della scrittura.
Al momento non si hanno notizie certe su quello che sarà il suo prossimo progetto ma, a detta dello stesso artista, dopo la negativa esperienza di Aquaman – il regno perduto probabilmente tornerà all’horror. Dimostrando, ancora una volta, la sua fedeltà al genere, di cui ha servito gli onori e, in alcuni casi, pagato gli oneri, ma che ha saputo rendere universale, allargando la platea degli spettatori e donando nuovo lustro ad un genere che, raccontandosi, parla soprattutto di noi.