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‘La Seconda Via’: la guerra, la memoria, il ricordo

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Alla fine del marzo del 1943 l’ultimo corpo dell’Ottava Armata Italiana, l’A.R.M.I.R., lascia il territorio dell’Unione Sovietica. È la conclusione di una tragedia annunciata. Nonostante il coraggio e il valore, costata più di 90000 morti e una serie infinita di famiglie spezzate, irrimediabilmente divise. In questo ambito, Alessandro Garilli dirige un’opera di lungometraggio che è qualcosa di più di una storia di rievocazioni, di memoria o di celebrazione dell’abnegazione e della vlontà. La Seconda Via è il tentativo di testimoniare, seppure attraverso l’artificio della finzione, di un’umanità che nel segno del dovere verso il proprio Paese, verso il proprio corpo militare, quello degli Alpini, si ritrova sospesa in un’unità d’esistenza nella quale i confini del tempo, e dello spazio, cedono il passo a ogni estrema suggestione. Un dramma storico in cui tutto è utile per andare oltre la prospettiva di un ineluttabile tragico Destino. La Seconda Via è prodotto da Quality Film e Angelika Vision, in associazione con RS Productions e in collaborazione con Rai Cinema.

La Seconda Via, personaggi di semplice eroismo

Il sergente Bisi, Ferri, Prati, Zaina, Artico, con il fedele mulo Remigio, e il tenente Sala, quel che resta della compagnia 604, sono i protagonisti di un racconto che affonda le sue radici  in una guerra sbagliata, funestata da episodi di difficile accettazione. Narrati in non poche pubblicazioni, ma troppo spesso confinati nel recinto di dolore delle famiglie o nella memoria di testimonianze belliche poco aduse al grande pubblico. La Seconda Via, per la prima volta in sala nell’ottantesimo anniversario della battaglia di Nikolajewka, giornata nazionale della Memoria e del Sacrificio degli Alpini, ha in sé la capacità, al di là delle ricostruzioni degli episodi militari, di modellare la percezione intima della guerra attraverso quella di quelli uomini votati al sacrificio. Costruito con un cast di ottimi interpreti quali Giusto Cucchiarini, Melania Dalla Costa, Nicola Adobati, Nina Pons, Sebastiano Bronzato, Simone Coppo, Ugo Piva, Stefano Zanelli.. Con la partecipazione straordinaria di Neri Marcorè, il lavoro di Garilli si avvale della bella e realistica fotografia di Claudio Zamarion e delle musiche struggenti, e avvolgenti, di Elisabetta Garilli e Francesco Menini.

La concezione dello spazio

Secondo Walter Benjamin e Theodor Adorno nessun evento è l’esito di un’unica forza o volontà. Esso ha sempre una genesi risultante dalla contrapposizione e dalla divisione di potenze antagoniste. Nel film di Alessandro Garilli è interessante notare come questa teoria si riveli, raggiungendo un punto d’equilibrio tale da rendere tangibile la presenza di una seconda via. L’astrazione di cui tutti i protagonisti diventano parte, mentre la realtà attorno a loro, tumefatta, è prigioniera di un indicibile e inafferrabile Destino. Avvolto nel fittizo candore bianco, compagno fedele di una vita sempre in bilico, trasmuta in forti relazioni di carattere simbolico. Come sospesi di fronte alla tragedia, il visibile e il narrativo trovano un punto di tensione che è allo stesso tempo un approdo a forte densità spirituale. È il piccolo mondo lasciato in patria dai protagonisti che, al di là di tutto, reclama una propria esistenza.

 

Gli Alpini

Il 2 marzo 1942 si era costituito il corpo d’armata per il fronte russo, con le divisioni alpine Tridentina, Julia e Cuneense. Era il nucleo fondante della spedizione italiana, forte di 230.000 uomini. Dopo l’annientamento, e il sacrificio, della Julia a Nowo-Georgiewka, il 22 gennaio, e della Cuneense a Valuiki, il 27 e il 28 gennaio, toccò alla Tridentina raccogliere tutti gli sbandati e continuare il ripiegamento. A 40 gradi sottozero, per più di 300km, con pochissime munizioni, mezzi di trasporto e scarsità di cibo. Con la disperazione, il coraggio e tutto quello che resta a un essere umano nel momento in cui la speranza è ormai al tramonto. Alle 9.30 del 26 gennaio 1943, dopo 9 giorni di marcia e tante battaglie, gli alpini attaccano lo sbarramento di Nikolajewka riuscendo, dopo dieci ore di combattimento, ad aprirsi un varco. I 6 protagonisti de La Seconda Via agiscono in quel terribile frangente e, in qualche modo, con la loro drammatica vicenda, celebrano le gesta di tutti i loro compagni, di coloro che tornarono, pochi, e di coloro che non tornarono, tanti.

Soltanto il Corpo d’Armata Alpino Italiano deve considerarsi imbattuto in terra di Russia

Bollettino N°630 del Comando Supremo Sovietico

La storia siamo noi

Un racconto parallelo corre accanto a quello della guerra. È la vita che tutti hanno lasciato a casa, la bellezza della propria gioventù, con le aspirazioni e gli amori pronti a diventare famiglia. La prospettiva di un futuro, di un qualcosa in divenire, di una dimensione temporale intatta, ancora visibile. È l’ancoraggio di pensiero che, con i ricordi, dà un senso a quello che nel mare bianco del nulla non ha ormai più senso. Quello spaccato di vita che costruisce la storia di noi tutti, giorno dopo giorno, nei contesti che ogni epoca ci disegna attorno, il promemoria della nostra umanità. Garilli racconta il sacrificio ricordando che ognuno, nella semplicità della propria esistenza, rappresenta qualcosa di straordinario che ha il diritto di compiere fino in fondo la sua parabola.

Sequenze interpretative

Il non facile lavoro di sceneggiatura, a cura dello stesso regista, trova attestato nella complessità dei piani temporali e delle sequenze interpretative. La Seconda Via svolge la sua azione su tre dimensioni differenti, tutte simbolicamente racchiuse nella mente dei sei superstiti, prigionieri del loro disperato Golgota.  A questo presente si alternano il remoto e il prossimo, quest’ultimo testimone principale della dimensione onirica. La macchina da presa si fa bastione e incrocia ogni cosa con sequenze mai banali, associando, ai movimenti classici ed eleganti, suggestive riprese dall’alto e primi piani che suggellano le trame di volti ed espressioni. Non si agisce propriamente come in un film di guerra. Non c’è epica, non c’è enfasi. Lo spazio della lotta non è dei soldati ma degli uomini. Anche le scene nel bosco, girate con una dinamica che ricorda quella dei western d’autore, scandiscono il coraggio e la voglia di sopravvivere. Anche quando non ci si risveglia più, imprigionati in una primavera tanto rincorsa ma, in realtà, sempre presente.  Abbandonandosi al sogno, in grado di riscattare ogni dolore, di sospendere la disperata lotta, affidando al ricordo il compito di perpetrare l’esistenza.

La Seconda Via, l’ascolto

Il lavoro di Alessandro Garilli ha la capacità di andare oltre le relazioni personali condensate nella struttura dei dialoghi,  innestandosi nella mappa simbolica del non detto. Rappresenta un’umanità che annaspa, catapultata nel suo Inferno dantesco. Sballottata lì dove la volontà non è mai veramente padrona delle proprie azioni. Lasciandoci al suo ascolto, nell’attesa di un segno che consenta di eludere quello che sembra già scritto. Nei silenzi, che poi tali non sono mai  veramente, sostano i pensieri, i frammenti del proprio essere, sparsi qua e là, come i refoli del vento che sferzano le anime e i corpi, nei passi che ognuno compie. Indossando l’abito buono della responsabilità, l’unico adatto a quietare la coscienza.

Un guerriero responsabile non è quello che si prende sulle spalle il peso del mondo. È colui che ha imparato ad affrontare le sfide del momento.

Paulo Coelho

 

 

 

 

 

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