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Jeunesse – Festival Internazionale del Film di Roma – Alice nella Città

Juliette ha vent’anni, studia tutto il giorno e pensa che l’esistenza non valga la pena di essere vissuta. È figlia di un regista e di un’attrice; ha due matrigne, entrambe attrici, e due fratellastri. Un giorno, suo padre si ammala di una malattia degenerativa che lo porterà alla paresi totale e all’impossibilità di parlare e respirare. L’incontro col primo grande dolore della sua vita porta Juliette ai primi cambiamenti.

Pubblicato

il

 

Anno: 2012

Nazionalità: Francia

Durata: 72′

Regia: Justine Malle

Justine Malle, alla sua prima opera, confeziona un saggio, delicato e lancinante, sulla giovinezza. Jeunesse colpisce per il modo sciolto di fare cinema: l’immagine è pura, ricondotta a grado zero, e per questo sa coinvolgere lo spettatore con la sua densa semplicità.

Il lavoro che Malle fa con l’immagine va di pari passo con la scoperta e la crescita di Juliette, la protagonista, interpretata da Esther Garrel.

Juliette ha vent’anni, studia tutto il giorno e pensa che l’esistenza non valga la pena di essere vissuta. È figlia di un regista e di un’attrice; ha due matrigne, entrambe attrici, e due fratellastri. Un giorno, suo padre si ammala di una malattia degenerativa che lo porterà alla paresi totale e all’impossibilità di parlare e respirare. L’incontro col primo grande dolore della sua vita porta Juliette ai primi cambiamenti.

Juliette è vergine, sotto tutti i punti di vista: non è mai stata con un uomo, non segue la moda, né pensa come gli altri. È una persona unica, semplice, schietta, lontana dalle sofisticazioni culturali e sociali di cui invece si fanno portatrici madre e matrigne. Per lei, ad esempio, “Rohmer fa schifo“. Juliette (e Justine Malle) non sono riverenti nei confronti del mondo che gira loro attorno. Se Juliette è pura, lo è anche la Malle, che libera il suo cinema dalle sofisticazioni cui ci ha abituati, spesso, il cinema francese, tra i più consapevoli al mondo. Justine Malle riporta il cinema, come già detto, al grado zero, immagine che scorre sullo schermo e che ci mostra un visibile e un esistente talvolta troppo nascosti ai nostri occhi.

Il dolore che prova Juliette per la malattia del padre è il primo squarcio nella purezza del suo corpo: la sua anima non è più esente dalla vita, non è più vergine. Ed è così che Juliette si concede all’esistenza, dapprima sessualmente, poi truccandosi, fumando, bevendo e vestendosi in maniera più ricercata.

Sono tutti modi per nascondere o per reprimere ciò che è vero, ciò che passa e che lascia segni indelebili. La gioventù, in altre parole, è diventare adulti cercando di rimarginare le ferite della vita, secondo il pensiero della regista. Nonostante questo, Justine Malle ci lascia con una scena onirica, in cui Juliette parla col fantasma del papà-regista. E sarà proprio quest’ultimo a recitare l’ultima vera battuta del film, prezioso lascito per la figlia: la vita è bella.

In realtà Justine Malle ha girato un film che, sì, vuol essere un messaggio universale sulla gioventù, ma allo stesso tempo è un omaggio a suo padre, il regista Louis Malle. Il film è girato nella villa in cui i Malle hanno vissuto e ricalca alcuni dati biografici del regista (come i tre matrimoni). In questo modo si spiega anche la purezza e la schiettezza registica del film, che non si lascia mai andare a orpelli di alcun tipo, sia con la fotografia che nel montaggio, ma semplicemente inquadra e mostra, apre l’occhio e svela: la regista, di fronte all’evocazione del pensiero del padre, diviene semplicemente Justine e sente l’esigenza di parlare di un sentimento così personale attraverso una regia essenziale e intimista. Un film non perfetto e a tratti troppo sbrigativo, ma che per il suo lirismo silenzioso e semplice riesce ad essere d’impatto.

Veronica Mondelli

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