Nella Sarmizegetusa del 106, l’imperatore Trainao, con le fattezze del grande Amedeo Nazzari, intento a conquistare la Dacia per far sì che regni la pace anche lì, pretende dal generale Tiberio alias Richard Johnson una prova della morte di Decebalo, re dei Daci; la quale, puntualmente, arriva con la consegna della testa del sovrano.
E’ il punto di partenza della co-produzione tra Romania e Germania Ovest La colonna di Traiano
(1968), peplum a firma di Mircea Dragan che la romana Mosaico Media, da sempre attenta alla riscoperta su supporto digitale di dimenticati titoli di genere (e non solo) appartenenti alla Settima arte, provvede a lanciare in dvd.
Con Franco Interlenghi incluso nel cast e Tiberio inviato a nord per fargli mettere in piedi le necessarie fortificazioni atte a prevenire le insidie rappresentate dal fatto che, intorno alla Dacia, si trova il territorio dei vandali, oltre un’ora e mezza di visione destinata presto a tirare in ballo anche Antonella Lualdi nei panni della principessa Andrada; della quale non solo il generale s’innamora, ma finisce anche per avere da lei un figlio.
Soltanto il primo dei sei nuovi interessanti titoli – tutti a tiratura limitata – sfornati dall
a label, che, sempre a proposito di vicende a base di guerre e sentimenti, propone anche lo sconosciuto La battaglia di Engelchen (1963) di Ján Kadár ed Elmar Klos.
In questo caso, si comincia dal momento in cui, in prossimità della conclusione del conflitto bellico 1939-1945, un partigiano cecoslovacco ferito da un colpo di striscio viene ricoverato in ospedale.
Il giusto pretesto per poter far rivivere, attraverso i suoi ricordi, tutte le situazioni che lo hanno visto coinvolto negli ultimi anni; dal momento in cui giustiziò un tenente tedesco alle diverse azioni di guerra. Senza dimenticare una giovane interprete presso il comando germanico che, grazie alle proprie informazioni, permise a molti compagni dell’uomo di salvarsi durante il rastrellamento attuato dal disumano comandante Engelchen, incarnato da Norbert Chotas.
E l’amore fa da sfondo anche al bizzarro western italo-spagnolo Una donna per Ringo (1966) di R
afael Romero Marchent, le cui protagoniste sono le gemelle Pilar ed Emilia Bayona nella parte di due graziose sorelle costrette a muoversi di paese in paese per mettere in atto spettacoli di danza e numeri comprendenti il tiro al bersaglio, nell’attesa di possedere, un giorno, una casa in cui vivere.
Bizzarro perché, sebbene si presenti come lungometraggio principalmente indirizzato al pubblico dei ragazzi, durante la visione non sono assenti violenza e morti; tra i quali proprio lo zio delle due, ucciso quando riesce a vincere a poker la fattoria in cui le nipoti vanno poi a vivere.
La stessa fattoria su cui mette gli occhi un gruppetto di malfattori interessati a conquistarla, mentre, dalla parte delle ragazze, si schiera il giovane Ringo, che, con il volto dello Sean Flynn figlio dell’arcinoto Errol, porta da tempo avanti un rapporto burrascoso con una delle due.
Ci si sposta in tutt’altro ambito con Violenza armata a San Francisco (1973) di James T. Flocker, che, nonostant
e il titolo, sembra puntare più su un plot proto-spionistico che sull’azione sfrenata a suon di pallottole volanti e mitragliatori scatenati.
Infatti, racconta la dura caccia all’uomo attuata da due agenti per bloccare il folle piano di un feroce boss malavitoso che pare abbia nascosto in una delle torri del Golden Gate una bomba atomica da far esplodere, entro un determinato periodo di tempo, se non verranno lasciati liberi due mafiosi che si trovano rinchiusi in carcere.
Con la vita di quattro milioni di inconsapevoli innocenti in pericolo e un procuratore distrettuale ugualmente intento a far processare e condannare al più presto i due criminali per assassinio di primo grado, sebbene le autorità locali e quelle federali si dimostrino disposte a trattare.
Per gli amanti irriducibili del trash, invece, l’appuntamento imperdibile è rappresentat
o da Terminator dall’inferno (1994), diretto dal prolifico messicano René Cardona Jr. e che, ovviamente, non ha nulla a che vedere con la mitica serie che ha regalato notorietà all’imponente Arnold Schwarzenegger.
Neppure con il suo genere d’appartenenza, però, in quanto qui non viene raccontata una vicenda fantascientifica, ma l’epopea thriller e quasi horror di donna e figlioletta che, su un’incantevole isola esotica immersa nella natura incontaminata, si trovano improvvisamente inseguite da un tanto misterioso quanto inarrestabile individuo vestito di bianco e con occhiali da sole impegnato a sterminare a colpi di fucile chiunque capiti sulla sua strada.
Il tutto, dopo che la piccola, in occasione del giorno della celebrazione dei defunti, ha fatto incidere il suo nome e quello della madre su due teschi di zucchero che, secondo la superstizione, allontanerebbero la morte… che non va mai via a mani vuote.
Ma il vero gioiellino è rappresentato da La distruzione del mondo (1933) di Felix E. Feist, autentico precu
rsore del cinema catastrofico di Roland Emmerich, ma di cui, curiosamente, la critica non parla mai.
Infatti, è impossibile non pensare alle memorabili situazioni di The day after tomorrow-L’alba del giorno dopo (2004) nell’assistere alle spettacolari sequenze d’inondazione di questo capolavoro non riconosciuto della cinematografia in bianco e nero.
Capolavoro che, dopo aver messo al corrente lo spettatore del fatto che la storia a cui sta per assistere è di fantasia, ipotizza l’imminente condanna a morte del pianeta Terra in seguito a una misteriosa eclisse; tra terribili scosse telluriche che colpiscono la costa del Pacifico e paesi e città che cominciano presto ad affondare in voragini immense, man mano che le acque invadono le metropoli e i grattacieli si sgretolano schiacciando i cittadini che vagano per le strade.
Fino al momento in cui troviamo una nuotatrice impegnata a lottare per la sopravvivenza insieme a un avvocato, ignaro del fatto che la moglie e i suoi due figli siano tutt’altro che morti come crede.
Francesco Lomuscio