Victor perde il suo miglior amico, il fido cagnolino Sparky, a causa di un incidente. Dopo un’insolita lezione di scienze a Victor viene un’idea che potrebbe riportare in vita il suo adorato animale domestico. Ma è estremamente pericolosa…
Uno dei progetti più personali di Tim Burton riprende vita dopo più di vent’anni. Era il 1984 quando il regista si cimentò in un corto dedicato al suo cagnolino defunto Pepe che lui perse in tenera età. Per Tim, ragazzino introverso dalla mente fantasiosa, quello rappresentò il primo “contatto” con la morte, il primo distacco affettivo importante. Ora quel corto è diventato un film in stop motion (non è una novità che questa tecnica sia per Burton più congeniale) in 3d e in bianco e nero, coniugando l’innovazione tecnologica con l’effetto nostalgia e conferendo ai puppets del film maggiore profondità ed intensità.
Già osservando la straordinaria galleria di personaggi (Victor, Sparky, Elsa Van Helsing, The Weird Girl, Mr Whiskers, Mr.Rzykruski, solo per citarni alcuni) si intuisce, oltre all’impronta ben riconoscibile del “brand” burtoniano, la scrupolosa cura nei dettagli e la dedizione con cui sono stati costruiti. Burton, artigiano delle meraviglie, ricrea una cittadina che nuovamente ricorda molto la sua Burbank (New Holland), il sobborgo californiano in cui è cresciuto, e riporta le lancette dell’orologio indietro, al tempo della sua infanzia. Facile individuare nel protagonista del film, Victor, la malinconia e la genialità di Tim Burton a dieci anni; un bambino destinato a grandi cose, con un mondo dentro che vive di vita propria.
La nostalgia del regista per quel particolare periodo della vita non è da intendersi in senso assoluto; è piuttosto un anelare e ricercare quella purezza primitiva e quella genuinità nelle intenzioni e dei sentimenti propria di quell’età. Sono quelle intenzioni e quei sentimenti che portano Victor ad oltrepassare la linea di demarcazione tra vita e morte per riportare in vita il suo adorato cucciolo Sparky. Con Sparky novello Frankestein e Victor piccolo “mad doctor”, Frankenweenie solleva non solamente le questioni legate alla “perdita” ma anche alla “creazione”. Victor riporta in vita Sparky e Burton dona vita ai suoi puppets, infonde un’anima ad ognuno di loro; la tecnica utilizzata ricalca e valorizza tutta la tematica connessa alla creazione, elevando l’artista a demiurgo. È nella creazione che si realizza il superamento della morte, svincolando la realtà dai limiti imposti dal tempo, dallo spazio e dalla possibilità, riconoscendo l’atto creativo come unica via che sovverte le regole, come unica scelta per permanere, per perseguire l’immortalità. Se il Joker burtoniano affermava in un impeto di follia creativa “Io faccio arte finché qualcuno muore, qui Victor/Burton sembra dirci “Io faccio arte finché qualcuno riviva”.
Al di là di queste considerazioni, Frankenweenie è un’opera toccante e delicata, ha una magia tutta sua perché è – in modo palpabile – un film fatto con il cuore.
Gioiello di rara bellezza che ha in sé tutta la poetica burtoniana, visivamente una gioia per lo sguardo. Ha una forza anarchica e catartica, è un’opera talmente personale che è difficile da classificare, ma sappiamo del resto che Burton odia le classificazioni. Elogio ai doppiatori, tutti assolutamente perfetti (Winona Ryder, Catherine O’Hara, Martin Short) con un plauso particolare al grandioso MartinLandau/Mr.Rzykruski e a Danny Elfman che, ancora una volta, con la sua colonna sonora ha conferito un valore aggiunto al film. Tante le citazioni-omaggio a tutti i film che hanno accompagnato e formato Burton sin da giovanissimo, tutte le opere horror della Hammer e della Universal e alcuni horror-movie giapponesi dell’epoca; deliziosa, in particolare, la citazione dell’acconciatura della cagnolina, che ricorda quella de La moglie di Frankenstein.
Oltre alla tenera poesia della storia c’è da notare come Burton, in un atto di coraggio ed estrema generosità verso il suo pubblico, metta di nuovo a nudo i suoi sentimenti più intimi e le sue memorie più segrete.
Frankenweenie è un must-see perché è un film che restituisce allo spettatore uno sguardo puro; non è un film fatto per i bambini, sebbene sarà amato dai piccoli, e non è il classico film Disney, tant’è che agli esordi il genio di Burton non venne compreso dalla famosa casa di produzione, nota per le fiabe animate con animaletti graziosi e happy endings zuccherosi. Frankenweenieè un’opera d’autore che conserva il candore delle prime pellicole burtoniane, rivelando una raffinatezza stilistica e una consapevolezza piena del regista nei propri mezzi. Non è semplicemente un ritorno alle origini, ma una summa e un’evoluzione dell’arte burtoniana in toto. Una volta visto il film avrete subito voglia di riguardarlo. Ancora, ancora e ancora.