Una famosa ricercatrice di fenomeni paranormali, la Dottoressa Matheson e il suo assistente Tom Buckley hanno smascherato decine di falsi lettori del pensiero, di cacciatori di fantasmi, di guaritori e medium. Quando il sensitivo cieco Silver riappare dopo un’assenza di trent’anni, Tom vuole scoprire a tutti i costi cosa si cela dietro il potere dell’uomo.
Una famosa ricercatrice di fenomeni paranormali, la Dottoressa Matheson (Sigourney Weaver) e il suo assistente Tom Buckley (Cillian Murphy) hanno smascherato decine di falsi lettori del pensiero, di cacciatori di fantasmi, di guaritori e medium. Quando il sensitivo cieco Silver (RobertDe Niro) riappare dopo un’assenza di trent’anni, Tom vuole scoprire a tutti i costi cosa si cela dietro il potere dell’uomo.
Se consideriamo Red Lights come un thriller psicologico in cui si mette in scena (e qui è proprio il caso di dirlo) lo scontro senza tempo tra scienza e sovrannaturale, cercando di indirizzare il pubblico verso una verità, smascherando le percezioni illusorie del cervello o, al contrario, sottolineandone le infinite potenzialità, possiamo dire che il tentativo di Rodrigo Cortés (già regista di Buried) fa acqua da tutte le parti . Se invece lo analizziamo sotto un altro punto di vista, alla luce di un’affermazione recitata dal sensitivo De Niro nel film “tutti noi vogliamo essere ciò che non siamo”, allora Red Lights rivela davvero qualcosa di interessante.
Ovvero che esistono due tipi di persone: uno le cui convinzioni vengono alimentate dalle proprie speranze e dai propri bisogni interiori più profondi, e l’altro che basa le proprie certezze rinnegando quelle speranze e quei bisogni, in altre parole rinnegando se stessi, per paura. Dunque il cuore di Red Lights risiede nell’amletico dubbio “essere o non essere” sollevato ancora una volta dal maestoso De Niro, e il film stesso si fa metafora di quell’arte scenica che il protagonista Cillian Murphy tenta di denudare con la ragione, rintracciandone le “red lights” del titolo, gli indizi che svelano l’inganno dietro il trucco.
Cos’è il cinema se non una rappresentazione illusoria della realtà, una percezione alterata del mondo, una meravigliosa magia che getta fumo negli occhi dello spettatore, restituendogli allo stesso tempo uno sguardo nuovo? Il cinema è finzione e verità, è simulazione; la sua natura per definizione è contraddittoria.
Red Lights vuole essere un film di genere, costruito come un thriller politico, che alterna scene cariche di tensione a momenti quasi documentaristici, e che, per ultimo, ha anche la pretesa di fare un discorso meta-cinematografico. Tutto questo in una mescolanza di stili e linguaggi che disorienta lo spettatore e fa perdere credibilità alla vicenda raccontata. Una pellicola che ha un’impostazione scientifica ma poi si risolve in modo illogico e inconcludente. Non bastano le ottime interpretazioni degli attori a tenere il filo di una storia che sconfina dalla logica al mistero. Gli atti di fede, in nome di una realtà superiore che il film vuole smentire all’inizio, presuppongono la stessa totale adesione che il cinema richiede allo spettatore, quella “sospensione dell’incredulità” che Red Lights non riesce a mantenere. La pellicola impone dapprima al pubblico uno sguardo critico e scettico sulla materia trattata, poi insinua il dubbio e infine ribalta la situazione e scardina quelle stesse certezze che aveva costruito fino a quel momento. Per quanto dunque Red Lights sia un film ben girato e interpretato con una partenza promettente (sopratutto per la presenza del personaggio più convincente interpretato dalla Weaver scomparso immotivatamente dalla scena) si rivela, a mio avviso, un’opera inconcludente e pretenziosa.
Maria Cristina Locuratolo
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