Regina Rossa è una nuova serie spagnola tratta dal primo romanzo della trilogia di Juan Gómez-Jurado (Regina Rossa, Lupa Nera, Re Bianco), pubblicata in Italia da Fazi Editore. La serie è scritta da Amaya Muruzábal – showrunner – e Salvador Perpiñá ed è diretta da Koldo Serra (La casa di carta) e Julian de Tavira (Hernán).
Il protagonista maschile Hovik Keuchkerian è conosciuto dal pubblico italiano per aver interpretato il ruolo di Bogotà in La casa di carta (2017-2021). La distribuzione della serie è di Amazon Prime Video la quale non ha ancora confermato la realizzazione di una seconda stagione. In una intervista rilasciata a Cosmopolitan, l’autore del romanzo Juan Gómez-Jurado afferma:
La serie è migliore del romanzo e vale la pena condividerla, anche con chi non l’ha letta.
Due antieroi contro il male enigmatico
“Regina Rossa” è un programma segretissimo ed sperimentale che mira a sfruttare individui con straordinarie capacità cognitive. Antonia Scott, con il suo quoziente intellettivo di 242, è fra le persone più intelligenti al mondo – superata solo dall’etereo Mr White. A seguito di un evento drammatico, che ha coinvolto l’intera sua famiglia, Antonia decide di isolarsi e lasciare il progetto.
Mentor, responsabile di “Regina Rossa”, decide di avvalersi del poliziotto Jon Gutiérrez, un omaccione basco che ha un profilo professionale non limpido. Lo scopo è quello di coinvolgere la donna nella ricerca di un rapitore-assassino. La nuova coppia, nonostante le loro disfunzionalità relazionali, inizieranno a instaurare un rapporto che andrà oltre il professionale e che li porterà a scoprire inquietanti verità.
Troppi ingredienti narrativi non fanno una buona storia
Il romanzo di Juan Gómez-Jurado ha decisamente molti percorsi e non è facile trasporli tutti quanti in pellicola. Amaya Muruzabal, showrunner della serie, pecca di ingenuità sotto diversi punti di vista. La scrittura di Salvador Perpiñá, che risulta abbastanza omogenea al racconto originario, perde un elemento essenziale, ovvero l’emotività.
L’estrema tensione di alcuni momenti va a scontrarsi con le evoluzioni dei personaggi, non riuscendo a dare spazio a una compenetrazione dello spettatore. Le sette puntate in cui è suddiviso il lavoro potrebbero essere sufficienti, ma sono davvero troppe le cose da seguire e la parte crime ha inevitabilmente il sopravvento.
Koldo Serra e Julián de Tavira, registi della serie, conoscono il loro lavoro. Regina Rossa è pregna di uno stile personale, che richiama la serialità iberica degli ultimi anni. Anche tutta la parte tecnica, dalla fotografia al montaggio, viaggia in maniera assonante, ma senza anima.
Le scene di Antón Laguna riproducono la sensazione di angusto che ci fa mantenere alta l’adrenalina, aiutate anche dalle musiche di Víctor Reyes. Gli stessi registi viaggiano su continui citazionismi rappresentativi dark, che portano alla luce dei riverberi anche del primo Dario Argento.
Uno squilibrio difficile da gestire
Sono due le linee principali che gli autori cercano di percorrere: la parte thriller e quella legata all’animo dei personaggi. La prima soverchia la seconda. Il passato dei protagonisti si perde nella lentezza di sceneggiatura e non è supportata da una regia coinvolgente. Sembra una scelta consapevole quella di creare un prodotto che colpisca lo stomaco e lasci stupito lo spettatore dalle immagini.
La trasposizione dei ragionamenti della geniale Antonia, gli effetti visivi che vedono levitazioni di oggetti e personaggi piuttosto che le linee tracciate a collegare pezzi del puzzle paiono avere la priorità. Tutto molto efficace e di effetto, come l’inizio con la protagonista riproposta in diverse situazioni all’interno della stessa stanza, ma vista da finestre diverse come fossero aperture di mondi paralleli.
Una delle sfide registiche è stata quella di tradurre in immagini la testa di questa donna (Koldo Serra, regista della serie)
Ciò però inficia sul trauma passato di Antonia, che viene proposto a mero uso informativo. Così come perde spessore il personaggio di Jon: ad esempio il rapporto con il suo lavoro, in una lotta fra ciò che è giusto e sbagliato, viene usato solo come nozione.
Antonia e Jon vivono il loro rapporto in maniera lenta, la sua crescita è data da lunghi momenti che non vengono valorizzati. Se l’alternanza emotiva è una delle caratteristiche usate spesso in tale genere di lavori, in questo caso particolare è poco funzionale, poiché ci sono davvero molti colpi di scena.
Questo prodotto è realizzato per un pubblico giovane, magari meno avvezzo a uno storico del genere. Ma chi è xoomer o millenial ritroverà affinità con serie come Criminal minds, Chuck, Sherlock, Hannibal e altre, da cui sono state estrapolate delle peculiarità e rimescolate. Ciò lascia un retrogusto di déjà vu non proprio entusiasmante.
Un grave ben portato dagli interpreti
Vicky Luengo è l’interprete di Antonia Scott. Un personaggio fra Sheldon Cooper e Chuck Bartowski, difficile da rendere senza eccedere nella caratterizzazione. Lavoro ben eseguito da Luengo e, proprio per questa ragione, è un peccato che la parte tensiva abbia ristretto il suo campo d’azione.
A interpretare il poliziotto Jon Gutiérrez vi è Hovik Keuchkerian, conosciuto ai più per il personaggio di Bogotà in La casa di carta. L’attore di origine libanese riesce a regalare una grande interpretazione, nonostante il suo spazio interpretativo sia limitato. Keuchkerian e Luengo riescono a formare una coppia affiatata che ha il pregio di reggere il peso di alcune lacune di sceneggiatura.
Nacho Fresneda è il cattivo della serie, quell’Ezechiele che nasconde un segreto e che, anche nel suo caso, sarebbe stato interessante approfondire di più. Stessa cosa vale per Andrea Trepat, giovane attrice che gioca su una linea sottile che sarebbe stato facile da oltrepassare.
In attesa della probabile seconda stagione
Visto i presupposti, è probabile che seguirà una seconda stagione, tratta dal secondo romanzo di Gómez-Jurado. Sarà interessante vedere se la produzione manterrà la stessa linea o se verrà dato uno spazio congruo anche alla parte introspettiva dei personaggi.