In breve tempo è riuscita a imporsi come una delle attrici più brave della nuova generazione recitando per Gabriele Mainetti, Ferzan Ozpetek e prossimamente per Michele Placido. Con The Cage – Nella Gabbia Aurora Giovinazzo cambia ancora una volta pelle interpretando una lottatrice di MMA. Del film di Massimiliano Zanin abbiamo parlato con Aurora Giovinazzo.
Prodotto da Rodeo Drive, Wave Cinema, Fairway Film, Rai Cinema The Cage – Nella Gabbia di Massimiliano Zanin è stato presentato in anteprima alla 18ª edizione della Festa del Cinema di Roma all’interno della sezione Alice nella città nella categoria Panorama Italia – Proiezioni Speciali.

Aurora Giovinazzo in The Cage – Nella Gabbia
The Cage – Nella gabbia ti dà l’opportunità di un’interpretazione che guarda di più al modello anglosassone che a quello italiano. Alla maschera tipica della nostra tradizione anteponi un tipo di performance che chiama in causa un linguaggio del corpo molto esplicito. Un processo di immedesimazione che ha reso celebre i lavori di Robert De Niro, Christian Bale e Charlize Theron, solo per fare alcuni nomi di attori americani, senza dimenticare che anche da noi in tempi recenti Favino, Borghi e Gifuni hanno lavorato molto in questa direzione.
Anche se la cosa mi mette un po’ in imbarazzo ti ringrazio di avermi infilato in mezzo a questi grandi nomi. Per quanto mi riguarda ho un ottimo rapporto con il mio corpo, sono una sportiva per cui sono stata particolarmente fortunata a ottenere questo ruolo. Non è facile trovare film italiani a tema sportivo e in questo caso le mie qualità fisiche e il mio agonismo mi hanno permesso di apparire credibile agli occhi del regista.
Il rapporto con il corpo
Il fatto di essere anche una ballerina penso abbia regalato al tuo personaggio una fluidità di movimento che per te è una cosa naturale.
Assolutamente. Non solo in questo, ma anche negli altri film che ho fatto. Essere a mio agio con il mio corpo mi permette di controllarlo meglio e questo diventa un valore aggiunto per chi fa il nostro lavoro. Alla stregua della faccia e del tono della voce, il corpo è uno strumento di comunicazione molto efficace. Lo sport e il ballo mi hanno permesso di sviluppare una coscienza del mio fisico che mi ha permesso di allargare il numero dei ruoli adatti a me. È così che sono riuscita a essere una nuotatrice ne L’uomo sulla strada, una lottatrice di MMA in The Cage – Nella gabbia, una circense in Freaks Out.
In The Cage – Nella gabbia il lavoro fatto sul tuo corpo è evidente senza però essere esagerato come si vede in certi film americani. A guadagnarne è la credibilità del personaggio.
In realtà non abbiamo avuto molto tempo a disposizione altrimenti avrei potuto irrobustirmi molto di più. Ciò nonostante mi sono allenata sei ore al giorno, sei volte su sette. Con me avevo un nutrizionista e un preparatore atletico che mi hanno aiutato a rendere il mio corpo più credibile possibile non tanto agli occhi di mia madre o di mia sorella ma a quelli di un vero lottatore. Avendo poco meno di due mesi prima delle riprese l’unico modo per farlo era quello di lavorare sulla definizione, anche se poi un po’ di massa muscolare l’ho comunque messa su.
Però secondo me il fatto di presentare con un corpo atletico senza esasperazioni muscolari ti hanno reso più credibile agli occhi dello spettatore. Con un altro fisico c’era il rischio di vederti come una supereroina e non come una giovane donna alle prese con la propria sfida.
Sì, sì certo, capisco cosa intendi e sono d’accordo con te.

Lineamenti e fisicità
Un’altra cosa che emerge dalla tua recitazione è lo scarto tra i lineamenti del tuo viso, morbidi e rassicuranti, da ragazza della porta accanto, e una fisicità selvaggia che lascia intravedere l’irrequietezza del tuo personaggio.
All’inizio avevo paura che il mio viso fosse poco credibile per una lottatrice di MMA e infatti abbiamo lavorato sull’aspetto del personaggio cercando di inserire cicatrici capaci di rimandare non solo alle ferite del ring, ma anche a quelle della vita. La gabbia del titolo non è solo riferita al ring, ma anche a quella mentale prodotta da una relazione tossica e da conoscenze poco piacevoli. Per rendere palpabile questa dimensione emotiva abbiamo fatto un lavoro collettivo in cui regista e attori hanno collaborato per creare personaggi capaci di giustificare il modo di essere di Giulia.
Recitare con il corpo e con la mente ti permette di raccontare un processo di emancipazione, quella del tuo personaggio, che passa prima di tutto attraverso una trasformazione fisica e solo in seguito psicologica.
Sì, la tua è un’osservazione giusta che invita anche me a farla, perché poi sul set le cose accadono in maniera naturale. Lo fai senza razionalizzare ma semplicemente lasciandoti andare, sapendo però che talvolta il corpo è in grado di esprimere una verità che tu fingi di negare.
Lo mettevo in evidenza perché talvolta, soprattutto nel cinema americano, la mancanza di equilibrio tra questi due aspetti finisce per rendere le interpretazioni eccessive e stereotipate e dunque inverosimili. A te non succede.
Ti ringrazio, mi hai fatto un bellissimo complimento. Indispensabile è avere una base solida che ti permetta di inserire naturalezza e verità senza costruire troppo il personaggio. Se così non è c’è il rischio di creare una macchietta. Non avevamo i mezzi di un film americano ma con pazienza e passione da parte di tutti siamo comunque riusciti a supplire a questi limiti. Il mio personaggio non sarebbe stato lo stesso senza l’aiuto di Brando Pacitto e così è successo per ognuno di noi. Il film, così come lo vedi, è il risultato di uno sforzo collettivo.

Aurora Giovinazzo in The Cage – Nella Gabbia: una riflessione sul corpo
La tua interpretazione fa da tramite per una riflessione sul corpo inteso sia come strumento di sopravvivenza fisica in un mondo di bad girls – ma anche di bad men -, sia come mezzo di emancipazione rispetto a una controparte maschile aggressiva e manipolatrice. Una performance, la tua, che concorre a raccontare visivamente le due linee narrative del film.
Uno dei messaggi più importanti di The Cage – La gabbia è quello della libertà ed è per questo che il regista, Massimiliano Zanin, lascia intendere che Giulia è in grado di sottomettere il suo fidanzato con grande facilità. Lo può fare perché è allenata e pronta a combattere ma esita perché gli vuole e perché sa che è sbagliato. Nonostante dentro il ring sia una forza della natura all’inizio Giulia si fa quasi sovrastare, bloccata com’è dalle manipolazioni del compagno. Come succede in tanti menage la vediamo fare quello che vuole lui, sia nella vita che nello sport. Non le offre una vita terribile, anzi, ma il punto è che non le consente di fare ciò che desidera. Il film racconta appunto la presa di coscienza di quella relazione tossica e il progressivo allontanamento da ciò che la fa stare male, compresa la religione che nella storia non è vista molto bene.
Sì, la religione tende ad alimentare invece che spegnere i sensi di colpa di cui il compagno si serve per condizionare Giulia.
Esatto. Nel film c’è una frase in cui si dice che la donna si è resa artefice del primo peccato. Ecco, mi pare sia adatta a descrivere il contesto dal quale Giulia a un certo punto decide di prendere le distanze.
Sport per parlare di temi attuali
The Cage – Nella gabbia utilizza i codici del film sportivo per parlare di alcuni dei temi più dibattuti della contemporaneità tra cui il ruolo della donna e la sua ricollocazione all’interno della società, ma anche la libertà rispetto all’uso del proprio corpo. Il film attraverso il tuo personaggio fa una scelta di campo molto netta raccontando al femminile uno spazio tradizionalmente occupato dalla compagine maschile.
A volte ci fissiamo su cose che in realtà non esistono. Nello sport per esempio associamo la lotta, ovvero una disciplina di forza e violenza, agli uomini così come se pensi a un chirurgo ti viene in mente un uomo. Parliamo di blocchi mentali creati dall’abitudine di percepire parti della società esclusivamente al maschile. Per fortuna le donne in questi ultimi anni si stanno facendo sentire e noi ci siamo agganciati a questa nuova mentalità per dire che non c’è uno sport adatto a un solo genere ma che esiste quello che vuoi fare. A me per anni hanno detto che sembravo un maschio perché sono muscolosa e molto atletica. All’inizio ci stavo male mentre oggi me ne frego, anzi ho cercato questo ruolo anche per ricordarmi chi sono.

Trasformazione fisica e non per Aurora Giovinazzo in The Cage
Sulla scia della sua duplice natura il film racconta una trasformazione fisica dovuto all’allenamento, e una psicologica, necessaria a superare certe gabbie mentali. La complessità del tuo personaggio, ma anche l’aspetto più stimolante, era dare conto di queste trasformazioni. Giulia all’inizio appare schiva, quasi sotto traccia mentre con il proseguire della storia prende sempre di più il centro della scena.
Il personaggio di Giulia è chiaramente caratterizzato da un’evoluzione e su questo ho lavorato cercando di capire cosa avrei fatto se mi fossi trovata al suo posto, considerando che fin qui non mi è mai capitato quello che le accade nel film. Ho cercato di fare mie le sue reazioni tenendo conto delle difficoltà di riprodurle all’interno di un piano di lavorazione che non era cronologico e che per esempio prevedeva di girare all’inizio quella che era la scena conclusiva. Per questa ragione il percorso del personaggio te lo devi costruire da solo, prima dell’inizio delle riprese, per poi essere pronta a tirarne fuori la parte che serve a seconda della scena. Andare avanti e indietro nelle emozioni del personaggio non è facile ma noi attori in qualche modo ci alleniamo per esserne capaci.
Prima parlavamo di come il corpo interviene nella recitazione anche attraverso il cambiamento fisico. Avendo tu iniziato a lavorare in televisione all’età di otto anni mi viene da pensare che per te la trasformazione del corpo sia qualcosa di cui sei stata consapevole fin da subito. Per alcuni la precocità è diventata un problema nel momento in cui si è trovata a gestire il passaggio all’età adulta.
In realtà non ho mai pensato al mio cambiamento fisico. Magari un domani se dovessi diventare madre può essere, ma fin qui ho accettato le trasformazioni del mio corpo considerandole parte della vita. D’altronde ciò che ho sempre ammirato del mio lavoro è proprio la possibilità di cambiare il mio corpo, i miei atteggiamenti, la mia postura, addirittura il tono della voce. In Nuovo Olimpo abbiamo lavorato sul corpo e sulla voce perché a un certo punto abbiamo dovuto interpretare dei sessantacinquenni. Ciò ha comportato un cambiamento di gestualità e anche del modo di parlare ed è stato bellissimo riuscire a farlo. Il cambiamento è salutare altrimenti tutto diventerebbe noioso. Oggi ho fatto una lottatrice di MMA ma fino a qualche mese fa ero un personaggio degli anni venti del tutto diverso da Giulia. Per riuscire a passare da personaggi così diversi uno dall’altro è necessario un gran lavoro mentale. Tutto nasce da lì. È quello che poi ti aiuta a focalizzarti sul corpo. È come se fosse una reazione a catena. Se mentalmente sei preparato a fare una cosa automaticamente anche il tuo corpo gli va dietro e cambia.
A proposito di linguaggio del corpo, nel film il tuo è simile a quello della tigre? È così o mi sbaglio?
Sì, è così, ho studiato a fondo i loro movimenti cercando di replicarli nel corpo di Giulia.
Richiami e riferimenti
The Cage – Nella gabbia ha molto analogie con Girlfight, il film di Karyn Kusama che in un ruolo simile al tuo ha lanciato la carriera di Michelle Rodriguez. Volevo chiederti se è un film di cui hai tenuto conto nella preparazione del tuo personaggio.
Girlfight è un lungometraggio che non ricordavo per cui no. Ho invece visto Million Dollar Baby e soprattutto Toro Scatenato che rimane ancora oggi un film meraviglioso. Al di là di questo io sono sempre alla ricerca di qualcosa di mio. Sono una persona molto visiva quindi mi piace osservare per poi tradurre ciò che prendo trasformandolo in qualcosa di nuovo.

Parlando del lavoro con Yorgos Lanthimos, Emma Stone ha dichiarato che il regista greco si concentrava sugli attori focalizzandosi sulla loro reale personalità e che per amalgamarli l’uno con l’altro non gli faceva vedere i loro film bensì le interviste che li riguardavano. Tu hai già lavorato con autori come Mainetti, Ozpetek e Placido per cui volevo chiederti qual è stata la tua esperienza in tal senso?
Nonostante i miei ventuno anni ho avuto modo di lavorare con un buon numero di essi e l’ho fatto adattandomi alle situazioni. Gabriele Mainetti, per esempio, è così preso dal cinema che la sua passione ti sembra di percepirla con l’olfatto. Poi magari ce ne sono altri che se la prendono un po’ più comoda perché il film non è loro e dunque puntano a portare a casa il miglior progetto senza ciò. Queste differenze non mi hanno mai impedito di lavorare bene: riesco sempre a dialogare con tutti, e ogni volta mi sono trovata coinvolta in un lavoro di squadra. Ammetto di essere stata fortunata.
Attori di riferimento per Aurora Giovinazzo per The Cage e non solo?
Hai qualche attore di riferimento?
Innanzitutto diciamo che io sono una abituata a guardare di tutto, poi certo, rubo da quelli che amo di più come Al Pacino. Pensa che l’intera saga de Il padrino l’ho vista tutta in una sola notte. Se ti dovessi dire il mio modello d’attrice ti dico Anna Magnani. Più della recitazione di lei mi piace il suo modo di stare davanti alla mdp, armata solo della sua naturale bellezza con cui riusciva a catturare l’attenzione senza preoccuparsi del resto del mondo. È come se al di là dei personaggi lei fosse sempre riuscita a rimanere se stessa. La mia ammirazione per lei è sconfinata.