Memoir Rambler approda al Ca’ Foscari Short Film Festival, giunto alla sua quattordicesima edizione. Alla regia, Sira Buranasri. La scuola di riferimento è Chulalongkorn University.
Un corto che è possibile definire con l’aggettivo generoso, in termini umani, in quanto mostra al pubblico lo spaccato di quotidianità di un microcosmo famigliare, ma sicuramente anche in termini musicali e fotografici. Il colore, infatti, più di tutti, può considerarsi un terzo protagonista di questo corto.
La trama di Memoir Rambler
Memoir Rambler vuole riflettere su un tema delicato quanto universale: il rapporto intergenerazionale. Più nello specifico, il rapporto madre-figlio. Il cinema ne parla da sempre, così come la letteratura ed il teatro, portando in scena vissuti conflittuali, altri più distesi, ed altri ancora sicuramente complessi.
Non sempre esprimere i propri sentimenti in tali rapporti è facile o possibile: questo documentario, dunque, vuole tracciare a parole – attraverso i dialoghi – un mondo, troppo spesso taciuto, di amore, odio, rabbia, gratitudine. Il colore viene in aiuto in questo compito, poiché la divisione delle sequenze è segnata da un cambio cromatico: quelle a colori indicano il presente e quelle in bianco e nero il passato.
Sono le scene di vita quotidiana a parlare, che sia una conversazione a tavola o un dialogo con un amico; a fungere da ponte tra la realtà esterna e la realtà interna, tra il prima ed il dopo.
Due binari – madre e figlio – che procedono separatamente, ma che puntano a convergere. Il corto mette in scena una sorta di intervista doppia che il regista rivolge alla madre, ma anche a se stesso; momenti separati, resi nella loro efficacia prima visiva, ma subito dopo narrativa, da un uso sapiente della fotografia.
Storia di un’evoluzione personale, sempre davanti alla cinepresa
Memoir Rambler porta in scena al Ca’ Foscari Short Film Festival la storia di un’evoluzione personale e familiare, che può avvenire solo a partire da una coraggiosa messa in discussione della propria interiorità.
Si comincia da Akin, che interpreta il personaggio del figlio. Il giovane, nel dialogo con la madre, mostra di essere alla ricerca del proprio sé, dal punto di vista lavorativo e personale. Non sempre la madre riesce però a far coincidere la propria felicità con le scelte di Akin; più volte il suo desiderio prende il sopravvento trasformandosi in uno scontro concreto con il figlio, il quale non può di certo vivere una vita che non sente autenticamente sua.
La madre vorrebbe che il figlio diventasse un dottore, ma lui ha un’unica grande passione: il cinema. Si trova dunque solo nella scoperta, nell’emozione e nelle difficoltà sulla strada del perseguimento, anche concreto, del suo obiettivo.
Un punto d’incontro, tuttavia, pare possibile, ma solo attraverso la sincerità. Akin non si iscriverà alla facoltà di Medicina, e lo dice apertamente alla madre. Consapevole forse della sua reazione, ma senza sentirsene responsabile. Con una scoperta, che fa parte della crescita, ancora più importante:
“Quando si cresce, tutti in famiglia cominciano a prendersi cura della propria vita”
L’evoluzione personale di Akin sta avvenendo, anche grazie al cinema, nella forma della cinepresa che sempre lo accompagna nelle varie vicissitudini e avventure della vita. Quella della madre può avvenire sul solco tracciato dal figlio, al fine di approdare in uno spazio condiviso, senza più attriti.