My name is Loh Kiwan di Kim Hee-jin è un film drammatico prodotto da Netflix e basato sul romanzo del 2013 I Met Loh Kiwan di Cho Haejin. Gli interpreti sono Song Joong-ki (Hopeless, Vincenzo) e Choi Sung-eun (The sound of magic).
Guarda My name is Loh Kiwan su Netflix.
Coinvolgente fuga dalla Corea del Nord che tramuta la disperazione di un giovane nella forza per rialzarsi e conquistare il diritto di esistere nel mondo.
Song Joong-ki in ‘My Name is Loh Kiwan’
My name is Loh Kiwan, la trama
Loh Kiwan (Song Joong-ki) è nord coreano e latitante in Cina. Nel tentativo di fuggire alla polizia con la madre, quest’ultima subisce un brutto incidente e perde la vita. A quel punto il ragazzo, appena maggiorenne, è costretto ad imbarcarsi clandestinamente su un aereo per il Belgio e lì richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato.
Se non fosse che nella “accogliente” Europa la diffidenza e le misure burocratiche rendono il tentativo di Loh Kiwan di trovare un suo posto nel mondo, una disperata avventura. Fino a quando, la misteriosa e sola Marie (Choi Sung-eun), ex atleta professionista riciclata nella mala vita, gli ruba il portafoglio, cambiando la sua vita per sempre.
Choi Sung-eun in ‘My name is Loh Kiwan’
La firma di Song Joong-ki
Se ancora le abilità di Song Joong-ki non fossero certe, questa nuova produzione Netflix prende forma grazie alla sua dedizione al personaggio e al talento.
La sofferenza di Loh Kiwan inizia senza parole e prosegue così per la prima parte dei film, la cui storia è straziante, seppur verosimile, sin dall’inizio. In particolare, le sofferte peripezie di un rifugiato nel cammino burocratico per vedersi riconosciuta la condizione di rifugiato. Il sistema del Belgio, presumibilmente tra i meglio funzionanti, sembra essere pieno di falle. Spaventa pensare a quello italiano…
Nella finzione, l’eroico Loh Kiwan rimane coerente e fedele a se stesso malgrado i tradimenti e il razzismo. Umilmente, si chiede se avrà mai diritto alla felicità. Qualunque essa sia.
…not the right to live but the right to leave.
La disperazione e il dolore che Song Joong-ki ci regala, misurato, non si allontana da quella di un qualunque immigrato che ha attraversato le acque del Mediterraneo, appeso alla speranza che l’evoluta Europa possa regalargli una seconda opportunità.
Loh Kiwan, che arriva da un mondo lontano, miserabile e latitante, in Belgio viene attratto magneticamente verso Marie, che come lui è altrettanto smarrita, seppure lo sia nel suo mondo interiore. Persi in fondo alla solitudine, si appendono uno all’altro, galleggiano e sopravvivono. E quella fusione di disperazione, quel completamento, rappresenta la loro seconda opportunità.
Song Joong-ki e Choi Sung-eun in ‘My name is Loh Kiwan’
Se non fosse per il protagonista…
Pessima purtroppo la pronuncia francese degli attori coreani, fatto salvo per Choi Sung-eun.
Ma ancora più grave il fatto che My name is Loh Kiwan di Kim Hee-jin si perda nelle seconda metà, cedendo alla facile tentazione di raccontare una storia di amore più che una vicenda di giustizia sociale. Con la quale, invece, aveva dimostrato di sapersi allineare efficacemente. E quasi a volersi riportare sul “politically correct” la storia va a finire pure troppo bene, con un sugar peak da telenovela. Non che ci si aspettasse un finale da documentario, ma la virata narrativa con effetto k-drama non ci voleva.
La leggerezza del prodotto e la facilità di fruizione, al servizio del quale la narrativa coreana si è tuffata, paiono un po’ gratuite nel contesto del problema migratorio, che tocca corde delicatissime per la società europea. Il pubblico che si era appassionato rimane deluso, poiché oltre alla storia d’amore non sopravvive molto altro sul finale.
Peccato, quasi sarebbe stato più saggio fermarsi a metà, nella genuina descrizione della sofferenza di Loh Kiwan. E di quella Europa bianca e nera, dove per sentirsi vivi bisogna costantemente schivare il rifiuto e imparare a convivere con la sua civilizzata schizofrenia.