Cos’è giusto fare di fronte alla malattia di un familiare: arrendersi alle lacrime, godere degli ultimi attimi, o entrambe le cose? Ce lo racconta il nuovo film di Lila Avilés: Totem – Il mio sole. Vincitore del premio della Giuria Ecumenica della 73° edizione della Berlinale, distribuito in Italia da Officine Ubu e da oggi disponibile in sala.
La protagonista del lungometraggio è Sol, bambina di 7 anni che si trova alle prese con l’organizzazione della festa di compleanno del suo amato e da tempo malato padre. È proprio grazie ai preparativi che conosciamo non solo il suo rapporto con la malattia del papà Tona, ma le dinamiche familiari che inevitabilmente gravitano attorno a questa dolorosa situazione. La festosità dell’ambiente si scontra con l’amara consapevolezza dei componenti della famiglia: sanno perfettamente che il loro amato fratello/marito/figlio/zio è nella zona liminale tra la vita e la morte. Affrontare la malattia è difficile e lo è ancor di più se in questa sofferenza sono coinvolti anche dei bambini…
Trailer.
Sol: occhi infanti, ma non infantili
Totem – Il mio sole tematizza quello che è un errore comune tra gli adulti, ossia il credere che i bambini abbiano una distorta percezione della realtà. Si crede che vivano in una sorta di bolla di inconsapevolezza e giocosità. Ma i loro occhi, le loro orecchie, il loro lato psico-emotivo, sono in realtà molto più percettivi di quanto si pensi.
Sol ci dimostra tutto questo: i suoi familiari tentano goffamente di salvarla da un dolore inevitabile (chi chiedendole aiuto nelle pulizie, chi tentando di farla sorridere ecc.), eppure lei lo vive in maniera pienamente consapevole. Questo viene reso chiaro dai suoi occhi: essi guardano, ma non vedono. Sono freddi e scostanti, sembrano non assorbire le immagini di (apparente) gioia di quell’artificioso percorso che dovrebbe condurre al festeggiamento.
Sol parla poco, la sua attenzione è focalizzata su quel padre malato che non ha il permesso di vedere perché, come le viene “spiegato”, «ha bisogno di riposo», liquidandola così con una frase che provoca in lei inadeguatezza. Sol si isola, a stento (e fintamente) sorride: il suo cuore si spezza sotto il peso di quel falso benessere che gli adulti intorno a lei vorrebbero infonderle, ma senza successo. Però ignorare il dolore porta solo ad ampliarlo e ne troviamo conferma nell’espressione continuamente corrucciata e triste di Sol.
Totem – Il mio sole ci mostra dei bambini che, con i loro occhi da infanti (ma non infantili), divengono lo scudo di adulti fragili. Una dinamica malata ma riscontrabile anche al di fuori di tale cornice filmica. Il pericolo imminente in questo ribaltamento di ruoli sta nell’attorcigliare un malessere già estremamente aggrovigliato.
Sol si consola solo dopo aver abbracciato suo padre e questo è forse l’unico momento del film nel quale la vediamo genuinamente serena. Tutto il resto è solo banale illusione di una felicità che la malattia ha inevitabilmente minato.
Il focolare domestico: il caos lo accende, la solitudine lo spegne
È la confusione a regnare sovrana nella casa crollante di Totem – Il mio sole. Si preparano (bruciano) torte, ci si lava i capelli nel lavandino della cucina, si tentano strani rituali per scacciare qualche oscuro demone, ecc. Sono proprio queste piccole stranezze a donare al film un tocco di commedia. La macchina da presa attraversa i corridoi del minuscolo focolare e cerca qualsiasi cosa che possa stridere con l’atmosfera sovrastata dalla cupa nube colma di malattia. Il dispositivo filmico è indeciso, fa dei voli pindarici tra una stanza e l’altra, e tutto questo per evitare di trattare ciò che più preme ogni persona presente nell’abitazione: la salute di Tona.
Ogni personaggio di questo quadro scomposto sembra però non vivere pienamente i preparativi e ognuno di loro si isola nel suo malessere. Quella felicità è temporanea e limitata e la sofferenza non viene compartita abbastanza. I membri della famiglia preferiscono attraversare il dolore senza realmente viverlo (dove per “viverlo” si intende verbalizzarlo, condividerlo, affrontarlo). La malattia, solitamente silente, emerge in modo perturbante solo dopo un bicchiere di troppo o in seguito alle domande scomode di Sol.
Totem – Il mio sole insegna che ammettere di essere adulti frangibili e fallibili può essere la base per creare un percorso emotivamente più sano di quello mostrato.
Il film di Lila Avilés racconta la malattia che rallenta l’esistenza, rendendola quasi impalpabile. E allora noi possiamo solo osservare e forse rallentare con lei: quei momenti, quelli di felicità e condivisione, non ha senso perderli.