Nel marasma di kermesse cinematografiche veloci e dedicate a un pubblico che sa cosa vedere, il Sudestival si caratterizza da sempre per due fattori. La sua durata (quasi due mesi) e il tempo che dedica a far conoscere un cinema d’autore italiano che spesso non ha le forze per essere divulgato ai più. Conoscenza e imprevisto sono i due fili conduttori della discussione con Michele Suma, direttore del Sudestival. Un’edizione piena di opere prime tra finzione e realtà, senza dimenticare omaggi e retrospettive ai grandi del nostro cinema, come Walter Chiari e Giuliano Montaldo. Un Festival che non è solo visione, ma anche formazione, con le tante masterclasses dedicate ai mestieri del cinema. Perché il pubblico deve avere i mezzi per conoscere la settima arte e può farlo solo se è pronto a conoscere la materia filmica in tutti i suoi principali aspetti.
Direttore Suma, siamo alla 24esima edizione del Sudestival con un’offerta variegata di cui parleremo. Vorrei però soffermarmi sulla formula insolita che viene ripresa ogni anno. Un Festival lungo un inverno : 45 proiezioni, 6 sezioni, 20 ospiti per 24 giorni, iniziato il 26 gennaio e che si concluderà il 15 marzo. Un unicum nel panorama festivaliero. Visto poi che Monopoli è una città turistica e in controtendenza con i festival, almeno italiani, che di norma sono a fine o inizio estate. Una scelta forse anche in linea con l’intento di far vedere al pubblico opere prime che con i circuiti distributivi tradizionali non avrebbero spazio. Come nasce quest’idea?
Ci sono due ragioni fondamentali. La prima è, come detto, che tutti i Festival sono generalmente in una regione come la Puglia, dove Monopoli è compresa, e sono tutti concentrati nella stagione estiva e prefestiva. C’era bisogno quindi di destagionalizzare un po’ l’offerta culturale. Per chi vive in Puglia e chi viene in Puglia. Quindi ecco la formula dei weekends cinema che offrono, oltre alla bellezza del territorio, anche un’occasione di conoscenza. Il Sudestival è un’occasione di conoscenza.
In particolare il cinema italiano, e ancora più in particolare il cinema italiano degli esordi, delle opere prime almeno per quanto riguarda i lungometraggi. Poi le altre sezioni che riguardano le masterclass, i cortometraggi, i documentari. Quindi noi abbiamo due obiettivi fondamentali. La destagionalizzazione, e l’occasione di conoscenza. Cioè il Festival lungo un inverno, portando gli spettatori per mano lungo la primavera, offre la possibilità di conoscere tutto quello che se ci fosse un Festival compresso in sette, otto giorni non riuscirebbero a vedere interamente come invece accade.
Come L’Orlando Furioso di Ariosto più che mai questa edizione si affida all’imprevisto, al caso, all’imprevedibilità della vita. È anche un po’ il tema della selezione delle opere del festival?
Ci siamo accorti nella selezione dei film, e quindi delle opere in concorso, che effettivamente emergeva quella che io ho definito una temperatura esistenziale che il cinema offre, raccoglie e formalizza attraverso l’opera d’arte, che è appunto il film stesso. Quindi ci siamo accorti che in tutte le pellicole, a partire da Come pecore in mezzo ai lupi di Lyda Patitucci a Denti da Squalo di Davide Gentile, tutto questo porta al filo conduttore dell’imprevisto. Il caso. Quello che facendoti lo sgambetto impone di trovare una nuova soluzione, nuove geometrie di vita. E tutto questo è presente in tutte le opere che abbiamo selezionato.
Il Festival è iniziato con la bellissima sezione L’attore e l’attrice dietro la macchina da presa. L’opera prima di Alessandro Roja, Con la grazia di un Dio, e il toccante documentario di Kasia Smutniak, Mur, due interessanti opere prime. Una sezione che sembra denotare anche un’attenzione del Festival sullo sdoppiamento dell’attore nel costruire qualcosa oltre che dirlo. È questa anche una delle vostre sfide? Mostrare l’attore nudo ma dietro la cinepresa?
Beh, sì, perché a noi interessa molto questo passaggio dell’attore che ad un certo punto sente esplodere dentro di sé un desiderio narrativo. Quindi non essere solo espressione di una narrazione interpretata da lui, ma diventare un soggetto che ha in mano una storia, una sceneggiatura e che la vuole realizzare sentendo forte il desiderio di farlo. Noi appunto in questa edizione abbiamo voluto selezionare due attori molto conosciuti, molto apprezzati. Ma avremo anche in occasione della serata delle premiazioni il 15 marzo, il premio Buona la Prima che dedicheremo all’ospite d’onore, che è ancora una sorpresa con la sua opera prima. In più avremo un altro premio che mi fa piacere annunciare a TaxiDrivers.it, e sarà la presenza di Matilde Gioli il 9 marzo a Monopoli che riceverà il premio Eccellenti Visioni. Questo perché la Gioli è un’attrice che, aldilà della sua notorietà televisiva, è stata un’attrice che molto spesso si è prestata anche alle opere prime. E noi apprezziamo il suo ruolo, la sua disponibilità e di conseguenza le assegneremo questo premio, in occasione anche della proiezione di Runner, che è l’ultimo film nel quale lei ha interpretato un ottimo ruolo. E quindi il premio Eccellenti Visioni andrà a Matilde Gioli.
Il Sudestival è uno dei pochi festival che dà una grande attenzione al documentario con un’ampia scelta. La sezione curata da Maurizio Di Rienzo vede tra i titoli l’anteprima di Adesso vinco io di Paragnani e Geremei e Profondo Argento di Steve della Casa. Ma si potrebbe citare anche Semidei di Fabio Mollo e Alessandra Cataleta sui Bronzi di Riace. Un racconto del documento filmico a tutto tondo a dimostrazione che il genere è vivo e vegeto e non smette di rinnovarsi continuamente.
Questa è la mano di Maurizio Di Rienzo con cui ci confrontiamo per la selezione e arriviamo sempre a delle scelte condivise. Per esempio l’anteprima a cui tenevo molto è quella di MIMMOLUMANO di Vincenzo Caricari, giovane cineasta calabrese che dedica al caso Lucano un suo documentario molto ricco, molto importante. Utilizzo ancora una nozione, per me importante, conoscenza. Il cinema del reale, ancora di più rispetto a quello di finzione, offre una conoscenza della realtà. Quindi abbiamo Profondo Argento e l’omaggio al padre dell’horror italiano, così come Napoli vista dal punto di vista della moglie di Sting, Trudie Syler, An ode to Naples che noi proietteremo il 7 marzo. E fino al documentario dedicato a Marcello Lippi. Tutto questo è conoscenza. Del cinema e della realtà.
Un programma ricchissimo tra lungometraggi e tanti ospiti, che si dimostra molto interessante anche nella composizione delle varie masterclasses. Delle vere e proprie lezioni sui mestieri del cinema. Da Luigi Bigazzi per la scrittura della luce a quella cinematografica con Fabio Mollo. Dalla regia con Pippo Mezzapesa fino allo storico montatore di Matteo Garrone, Marco Spoletini. Sembra che l’intento del Sudestival non sia solo mostrare il meglio del cinema italiano di qualità ma anche operare un discorso più tecnico sulla formazione dell’opera filmica.
Sì, una grande attenzione formativa. Queste masterclasses vedono coinvolti diciotto istituti di scuola media e superiore, licei e scuole che hanno anche l’indirizzo audiovisivo. Queste master mattutine quindi in orario didattico sono davvero didattica del cinema. Fornendo ai ragazzi il linguaggio cinematografico, il linguaggio delle immagini. Quindi ecco perché la fotografia a Bigazzi, il montaggio a Spoletini. Momenti cioè nei quali queste lezioni, le fruizioni di opere intere o di frammenti di opere portano i giovani intanto a capire come funziona il cinema, e quindi la filiera del cinema, il cinema come opera collettiva. In questa operazione collettiva ci sono tante figure, quindi la conoscenza e il contributo di queste figure sulla riuscita della realizzazione dell’opera. E poi anche perché il linguaggio cinematografico serve ai ragazzi un po’ forse anche a capire ciò che loro vedono, tonnellate di immagini a cominciare dai social. Il nostro obiettivo è quindi preparare il pubblico di domani che oggi in primis sono i giovani.
Quest’anno la retrospettiva è dedicata a Giuliano Montaldo, un assoluto protagonista del cinema italiano. Una selezione di cinque opere da Sacco e Vanzetti a L’industriale, che non casualmente avete chiamato imprescindibili.
Le racconto un aneddoto. Abbiamo fatto costruire dei fari incastonati con delle immagini. Totò, Mastroianni. I ragazzi non sapevano chi fossero. Ecco perché imprescindibili, perché rafforza l’idea di far conoscere il cinema italiano, la storia del cinema italiano. Montaldo è un pezzo di questo cinema italiano. Un autore che ha vissuto anche momenti di silenzio. Perché dopo Tempo di uccidere ci fu quasi un silenzio ventennale che noi abbiamo rispettato. Infatti, la scorsa settimana abbiamo proiettato I demoni di San Pietroburgo che rompeva questo silenzio dopo quell’operazione che lo aveva tanto deluso, la trasposizione del famoso romanzo di Flaiano. Quindi abbiamo aperto con Sacco e Vanzetti, chiudiamo con L’industriale, il filo conduttore anche qui è la poetica di Montaldo. Il rapporto sul potere e la libertà.
Non si può non notare la scelta dei lungometraggi. Nomi come il noto Denti da Squalo e l’esordio di Lyda Patitucci. Una scelta ancora una volta in controtendenza col circuito mainstream in senso stretto. Lo scopo del Festival del Sudestival è anche quello quindi di far conoscere le opere meno conosciute del nuovo cinema italiano?
Ecco, ci fu una giornalista de La Repubblica, Antonella Gaeta, che ci gratificò qualche anno fa quando definì il Sudestival il Festival del cinema invisibile. Questa cosa l’apprezzammo molto perché coglieva la nostra missione, il nostro intento. Cioè quello di regalare al pubblico opere che talvolta sono stritolate dalla logica distributiva. E che quindi non riescono a raggiungere i grandi schermi delle nostre città. Quando parlavo di occasione e conoscenza parlavo di questo, di opere che vengono presentate anche in anteprima, come sarà per Roma Blues tra due settimane. C’è quindi la possibilità di vedere opere che altrimenti non vedremmo. Il pubblico del Sudestival sa che vedrà opere che non potrebbe vedere da nessuna parte. Che è poi il grande merito dei Festival, cioè l’esigenza di dare una prima, seconda, terza vita a queste opere che meritano. Anche perché sono girate bene e sono degli ottimi esordi.
Il Sudestival terminerà tra meno di un mese con l’omaggio a Walter Chiari e con l’importante collaborazione internazionale armena col Golden Apricot International Film Festival di Jerevan. Ma può già fare un bilancio? Che festival è stato? Sta già pensando all’edizione 25? Ci può anticipare qualcosa?
Walter Chiari ha origini pugliesi. Annichiarico è il vero cognome, una parte della sua famiglia era proprio di Andria e quindi ci sembrava opportuno in occasione del centenario della sua nascita omaggiarlo. Verrà presentato il libro in anteprima con il figlio Simone che verrà al Festival, e poi vedremo un film, Walter e i suoi cugini che fu la risposta a Rocco e i suoi fratelli. Anche qui, l’occasione di rivedere un film del ’61 che altrimenti non si vedrebbe.
Lo spazio dedicato all’Armenia, anche perché è uno dei cinema più antichi che ha compiuto l’anno scorso 100 anni, viene da una scuola sovietica, una regione dell’Asia che è sempre stata europea. Quindi attraverso il Golden Apricot International Film Festival che ci fornisce una selezione di opere, l’intento è far conoscere appunto il cinema armeno. E poi per quanto riguarda la prossima edizione tenteremo di intercettare soprattutto alcuni anniversari, film che compiono vent’anni o quindici. L’intento è quindi di avere a Monopoli film che tanti anni fa hanno avuto successo, o anche no, ma che vale la pena riproporre. E che ciò possa dare un’ulteriore luce e vita a un’opera d’arte quale può essere appunto un’opera cinematografica.