fbpx
Connect with us

Berlinale

‘Pepe’, un ippopotamo sdraiato nell’aldilà riflette sull’esistenza

Alla Berlinale 2024 l’autobiografia di un ippopotamo tesse un film “inclassificabile” tra il documentario, il dramma e il viaggio psichedelico

Pubblicato

il

Tra i flash bianchi di pellicola scaduta si sentono le voci di due militari in preparazione ad un agguato. Un elicottero passa tra le nostre orecchie e un cartone animato è in onda su una televisione solitaria: il protagonista è Pepe, un simpatico ippopotamo che ci parla da un salotto sconosciuto.

Nel frattempo, Pablo Escobar muore.

Due giovanissimi militari sono seduti nella penombra di un furgone. Stacco. Una scarica di mitragliatrici diventa la luce intermittente di un flash fotografico. Stacco. Un tamburo rulla dentro una luce bianca. Stacco.

C’è una voce gutturale che parla una lingua antica. Arriva da un aldilà altissimo o forse dalle viscere della terra. Si racconta e al contempo cerca la sua stessa identità.

Sono passati i primi cinque minuti di Pepe il film del regista domenicano Nelson Carlo De Los Santos Arias, in competizione al Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2024.

Una sola domanda mi attanaglia.

Che cosa sto guardando?

Sviluppato durante il programma DAAD Artists-in-Berlin e finanziato in parte dal World Cinema Fund, un fondo nato e promosso dalla stessa Berlinale, Pepe è un progetto ironico e al contempo ambiziosissimo che ha visto i suoi primi passi proprio nella capitale tedesca.

Nella giungla colombiana l’ippopotamo Pepe, uno dei discendenti dei quattro esemplari trasportati da Pablo Escobar dal continente africano alle coste sudamericane, viene ucciso. Da un limbo bianco nel mondo impenetrabile ai vivi Pepe, come presenza ancestrale, si racconta e prende coscienza di sé: ritorna nella sua terra natia e ripercorre il viaggio del suo espatrio forzato, la vita dura nelle nuove terre dove nasce e apprende lo spagnolo e che lo porteranno alla morte.

Una voce spettrale e ipnotica attraversa paesaggi e distese d’acqua caratterizzate da una bellezza sconvolgente.

Dal suo narrare la storia di Pepe – l’ippopotamo strappato alla sua realtà in una condizione di maledizione intergenerazionale – diventa la storia di “loro”, i “due-zampe”, gli umani che volenti o nolenti hanno incrociato il suo destino.

Un’autobiografia involontaria, ramificata, tanto vera come di fantasia

Pepe si sviluppa come un fiume che dall’alto tesse i suoi rami come un albero o le ramificazioni sinaptiche del nostro cervello: dall’Africa, ove Pepe è entità mistica, l’ippopotamo è trasportato verso il Rio Magdalena, in Colombia. Il film ricostruisce con realismo ma anche con grandissime dosi di ironia questa peculiare storia – vera, verosimile, fantastica – di un gruppo di animali esotici innestati dal narcotrafficante più famoso della storia nel territorio colombiano, mettendoci però subito in guardia: nella tradizione della loro terra l’ippopotamo ci avvisa del male; egli è messaggero di cattivi presagi.

Nella sua autobiografia involontaria come il primo sudamericano della sua specie, Pepe diventa un documentario osservativo, un lavoro d’archivio, un dramma sentimentale tra umani, un racconto politico. Viaggia nei luoghi più profondi e lontani dei generi e della giungla per poi girare in tondo e tornare all’inizio. E così Pepe muore.

Sulle porte della percezione di Pepe

Pepe è un film “inclassificabile”, rubando le parole al direttore Carlo Chatrian, non solo perché sfugge alla classificazione di genere ma perché spazia anche tra un rapporto stilistico con l’immagine e il suono variegato ed elettrizzante e una tematica multi-stratificata.

L’estetica di Pepe è eclettica e disarmonica, più simile ad un viaggio psichedelico che ad un’esperienza di cinema narrativo, ma  riesce comunque a trovare un equilibrio flebile tra il cinema sperimentale e il racconto consequenziale.

Si susseguono immagini e archivi di tradizione documentaristica, suoni dissonanti, telecamere a circuito chiuso, sipari di palesata finzione e musiche infantili, in un pentolone coeso e affascinante.

E poi, a indorare l’ambizione del film, ci sono le suggestioni di contenuto.

Pepe riflette con noi ad alta voce su concetti chiave dell’esistere e della sua percezione; sull’idea di casa e di cosa voglia dire e che ruolo ha quello che noi definiamo patria, luogo d’origine. Impossibile non vedere nell’imponente mammifero un lontano riverbero al trasporto degli schiavi dall’ Africa continentale verso le coste sudamericane. Difficile non rimanere turbati da un gioco di scoperta tanto infantile e fantastico – da questo punto di vista Pepe e Bella Baxter lavorano nello stesso universo – quanto ambientato nel mondo spietato del narcotraffico colombiano degli anni ’90.

Il film è una coproduzione Germania, Namibia, Francia e Repubblica Domenicana (4 A 4 Productions, Pandora Film, Joe Vision Production), distribuito da Monte & Culebra.

Le proiezioni a Berlino di questi giorni sono la World Premiere del progetto.

Leggi tutte le recensioni e le ultime news sul Festival di Berlino qui su Taxi Drivers.

Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers

  • Anno: 2023
  • Durata: 123'
  • Genere: Drammatico, Sperimentale
  • Nazionalita: Repubblica Domenicana, Namibia, Germania, Francia
  • Regia: Nelson Carlo De Los Santos Arias