Mentre in sala si può ancora trovare il suo Yannick – La rivincita dello spettatore, Quentin Dupieux approda su IWONDERFULL (e su IWONDERFULL Prime Video Channel) con Incredibile ma vero (passato alla Berlinale 2022), ancora inedito in Italia. L’ennesima, tragicomica storia surreale di uno dei registi più interessanti e prolifici (suo anche l’anomalo biopic Daaaaaalì!, presentato all’ultima Mostra del cinema di Venezia) degli ultimi anni.
‘Incredibile ma vero’: la trama
Una coppia di mezza età (Alain Chabat e Léa Drucker) è in cerca di una casa in periferia. Ne troverà una con una caratteristica unica: una botola in un seminterrato in grado non solo di portare incredibilmente nel soggiorno al primo piano, ma anche di proiettare dodici ore nel futuro chiunque la attraversi, facendolo allo stesso tempo ringiovanire di tre giorni. Presto, mentre il marito è alle prese con i deliri machisti del suo capo (il Benoit Magimel di Pacification), andato in Giappone per farsi impiantare un pene elettronico, la moglie svilupperà una vera e propria ossessione per il misterioso passaggio.
Ai confini della realtà?
Parte da una classica premessa sci-fi, questa volta, Dupieux, per proseguire la sua oramai nutritissima antologia dell’assurdo. Un pretesto da Ai confini della realtà per comporre l’ennesimo tassello di un mondo fatto di personaggi dalla razionalità dubbia e inconsistente, cambi di tono e un umorismo sferzante e imprevedibile.
Quasi come un Primer calato in un mondo ottuso e instupidito, presto il film abbandona infatti le infinite possibilità garantite dal suo spunto fantascientifico in favore di una storia dove i protagonisti sembrano solamente interessati al proprio aspetto, alla loro prestanza, al poter essere ancora e per sempre desiderabili. Ricordandoci, per l’ennesima volta, come tutto, nei mondi stravolti e assurdi del regista francese, sia mera superficie, idiota e desolante apparenza.
Tutto è superficie
Una superificie piatta e ottusa che si riflette anche in uno stile ormai facilmente riconoscibile. Fatto di assenza di profondità di campo e di colori desaturati e uniformi, dove l’apparenza (e, quindi, l’immagine) è tutto.
È il desiderio (sia quello di essere ancora giovani e belle che quello di possedere una virilità infallibile), del resto, a muovere ogni singola azione di questi personaggi in perenne regressione infantile. L’unico modo per attestare la loro identità. Anche a costo di trasformarli in fantocci dannosi per sé e per gli altri, come il Jean Dujardin di Doppia pelle, sopraffatto da un desiderio oramai divenuto ossessione maniacale, riflesso di un vuoto (di senso) da cui pare impossibile fuggire.
Parabole grottesche e cani andalusi
Una situazione quasi da manuale, quasi compiaciuta nella sua superficialità, destinata inevitabilmente a precipitare in un climax finale depotenziato e sbrigativo, mentre Dupieux cita Buñuel e la già precaria stabilità mentale dei suoi protagonisti si sfalda definitivamente sotto il peso del loro piccolo e meschino mondo borghese. Lasciandoci con l’ennesima, idiota parabola morale dell’ultimo, vero surrealista rimasto.