Cenere, film turco uscito su Netflix da pochi giorni (nello specifico il 9 febbraio), è già riuscito a piazzarsi nell’ambita top 10 della piattaforma streaming. Si tratta di una pellicola del regista Erdem Tepegöz, scritta da Erdi Isik e prodotta da Ay Yapim. Il genere risponde al drammatico sentimentale e il titolo originario è Kül, nonché parola turca che si può tradurre con il termine italiano cenere.
Passato e presente: due spazi temporali che si avvicinano stridendo
Cenere porta in scena una dimensione temporale atipica: non è un presente definito nel suo accadere contemporaneo e nemmeno un passato lontano, altrettanto definito, dal racconto che volge il suo sguardo e la sua attenzione a ciò che c’è stato prima. La dimensione temporale di Cenere segue fedelmente l’evolversi – spesso scoordinato e incoerente – emotivo della sua protagonista principale, Gocke.
È lo stesso film, dando per un attimo voce alla sceneggiatura, in apertura, a dichiarare quella che si potrebbe definire un’inattendibilità temporale.
“Cos’è realtà e cosa finzione? Io credo che la vita ci stia imbrogliando. La realtà non potrebbe essere una bugia che qualcuno ha inventato? Chi vi dice che non stiamo tutti vivendo nel sogno di qualcun altro?”.
In apertura, come si è detto, ecco che la pellicola svela il perno sul quale poggia ed insieme il motore dell’azione dei personaggi: il tempo. Gocke legge un misterioso manoscritto pervenuto alla redazione del marito, dal titolo Cenere, e viene quasi rapita da un tempo altro, distante ma in realtà fortemente desiderato. Percepito, così, come vicino, possibile. È un richiamo profondo, quello della cenere, che porta la protagonista dritta nel fuoco dal quale essa stessa – la cenere – proviene.
Che cosa riporta al presente, alla sua realtà attuale, Gocke? Non di certo la cenere, che non fa altro che trasportare la protagonista in un vortice di disperazione, quanto le urgenze delle sua famiglia. Che siano le chiamate insistenti del marito che non capisce cosa stia accadendo alla moglie, pur non potendola comprendere nel profondo e perciò condannandola alla sua condizione; o le necessità lecite della figlia, che è solo una bambina. Salvo questi momenti, è la cenere a prendere il sopravvento nella vita di Gocke, e di conseguenza nella trama del film.
La cenere è in grado di attraversare le diverse dimensioni temporali e pare che Gocke possa – o forse è costretta – seguirla, fino alla meta: il falegname di Balat, la torre, il viaggio dentro se stessa. Se non ci fosse la cenere – emanazione di una vita altra, solo sperata, ed insieme richiamo a essa– non ci potrebbero essere le diverse dimensioni temporali che questo film costruisce attraverso un utilizzo interessante di musiche e fotografia.
La funzione del ricordo: non è solo cenere che vola
Il ricordo di ciò che non è stato, che sarebbe potuto essere e di qualcosa che forse – solo con le sensazioni – si è raggiunto, non è che il desiderio nato dalla disperazione per un presente completamente anestetizzato, realtà arida di cui la stessa Gocke, suo malgrado, è protagonista.
Il ricordo per Gocke assume la forma di desiderio, di qualcosa che non ha mai vissuto ma che ora brama disperatamente di provare.
Gocke prova a vivere una vita che non è sua attraverso le pagine di un manoscritto, di cui non conosce neppure l’autore: il desiderio della protagonista è costruito su un’impalcatura di illusioni. Questo film sembra assumere la forma di un ininterrotto sogno alla ricerca di una realtà, almeno emotiva, interiore vagamente soddisfacente. Un sogno che non può approdare a nulla di reale, e quando la realtà accade nella sua concretezza, Gocke appare quasi dissociata. Come se nulla di ciò che succede nel presente la potesse toccare davvero.
È la stessa Gocke a confondere i piani temporali, quando finalmente approdata alla torre con Metin afferma: “Io sono già venuta qui, conosco questo posto. Con la mia mente ci sono state molte volte”. Gocke sta provando con tutta se stessa ad essere libera: balla, urla, percepisce il proprio corpo e perde di conseguenza la cognizione del tempo reale. Non è stata mai qui, ma nello spazio interiore di tentata libertà, sì.
Come si inizia, così si finisce: la circolarità narrativa di Cenere
La struttura narrativa di Cenere è basata su una circolarità che è piena di rimandi al vorticoso presentarsi e ripresentarsi della cenere nelle varie scene del film. Sogno, confusione, desiderio, realtà: la cenere porta con sé tutti questi elementi e li fa roteare accanto ai protagonisti, che sfiora, sotto gli occhi attenti degli spettatori. Il finale del film di Tepegöz non approda ad una verità assoluta, non vuole essere svelamento di un percorso esistenziale. È, piuttosto, impegnato nella chiusura di un cerchio.
È il marito di Gocke a spiegare in primis a se stesso e in un secondo momento alla moglie, al falegname, e da ultimo ai telespettatori, la vera storia di Metin. L’uomo prende tra le mani, metaforicamente, la sceneggiatura del film per piegarla alle proprie esigenze personali: darsi una spiegazione e spiegare, mostrare, portando così la tensione al suo momento culminante, di rottura definitiva. Cenere è un film con un finale amaro, già (troppo) facilmente intuibile dalle inquietanti premesse. Nessun vincitore, nessuna lezione imparata: solo la constatazione di quanto profondo possa essere l’abisso interiore di un essere umano.
Cos’è finzione? Cos’è realtà? Arrivati a questo punto, esclusa una risposta definitiva, si può azzardare una risposta: la faccia della stessa medaglia. Il mondo di Gocke è finzione, è realtà: è cenere, buio, ma anche desiderio e speranza. Appare quindi particolarmente interessante l’idea alla base della struttura del film di Tepegöz, che è in grado di animare l’intera pellicola. Un film più che adatto all’utenza di una piattaforma streaming, ma che risulta monco se tenta di imporsi ad un livello di apprezzamento superiore.