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Sudestival

Giuliano Montaldo, l’omaggio del Sudestival di Monopoli

Il regista del senso civico e della spettacolarità

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È iniziata lo scorso 26 gennaio e proseguirà fino il 15 marzo, la 24esima edizione del Sudestival di Monopoli. La kermesse, con la direzione artistica di Michele Suma, è diventata un punto di riferimento per il cinema italiano. Un concorso dedicato ai lungometraggi di finzione e una sezione rivolta al cinema del reale, con diversi riconoscimenti da assegnare, come il Faro d’Argento, Il Premio Gianni Lenoci e il Premio Apulia Film Comission. Il Festival della città pugliese, inoltre, omaggia i personaggi che hanno segnato il cinema italiano: Walter Chiari e Giuliano Montaldo. A quest’ultimo è dedicata la retrospettiva Gli Imprescindibili.

Con la sua filmografia, Giuliano Montaldo ha riscritto gli eventi cruciali del Novecento. Non ha mai tralasciato una buona dose di spettacolarità, senza rinunciare al suo fortissimo senso civico e politico.

Giuliano Montaldo, 90 anni del regista "con il cuore vicino a chi lavora" - la Repubblica

 

Il David di Donatello alla carriera

Il Sudestival di Monopoli propone un estratto della filmografia del regista genovese, nato nel 1930 e scomparso il 6 settembre del 2023, all’età di novantatré anni. Vincitore di un David di Donatello alla carriera, assegnatogli nel 2007, Giuliano Montaldo entra nel mondo del cinema come attore, interpretando il ruolo del commissario Lorenzo in Auchtung! Banditi, film che segna l’esordio alla regia dell’amico e compagno Carlo Lizzani.

Dopo aver partecipato, sempre come attore, ad altri film, come La cieca di Sorrento e Ai margini della metropoli, decide di passare dietro alla macchina da presa, partecipando, in veste di aiuto regista, alla realizzazione di Kapò, diretto da un altro suo amico, Gillo Pontecorvo. Trascorre un solo anno e nel 1961, dirige il suo primo film, intitolato Tiro al piccione, un’opera prima che suscitò non poche polemiche.

Nel corso della sua lunghissima carriera, Giuliano Montaldo ha dimostrato di possedere una grande conoscenza della macchina cinema. L’esperienza di attore gli ha consentito di dirigere con gentilezza e professionalità i più grandi attori dell’epoca, come Gian Maria Volontè, Ingrid Thulin e John Cassavetes. Come regista non è stato certo un tiranno, ha lasciato una certa libertà d’azione ai suoi attori e i film realizzati sono frutto di un intenso lavoro di collaborazione con l’intera troupe.

Giuliano Montaldo e la comunità dei registi

Per un certo verso, le sue opere sono corali. Ci sono senza dubbio i singoli protagonisti, come avviene in L’Agnese va a morire, uno dei pochi esempi della Resistenza al femminile. Ma questi sono sempre accompagnati da un forte sentimento di comunità. Lo stesso avviene per il regista Montaldo che, insieme a tanti altri cineasti, ha ricostruito il cinema italiano, uscito dalle macerie del Secondo conflitto mondiale. La sua, la loro attività cinematografica è iniziata in un periodo non certo florido sul profilo economico, ma sicuramente fertilissimo per quanto riguarda la creatività artistica. Insieme a Carlo Lizzani, Gillo Pontecorvo, Elio Petri, Franco Solinas e Giuliani De Negri, il regista genovese ha condiviso la miseria dei primi anni di attività, ma soprattutto ha istituito un dilago continuo, una condivisione di idee e progetti che ha generato una delle stagioni più fortunate del cinema nostrano, non sempre apprezzate quanto merita.

Giuliano Montaldo appartiene a questa comunità di cineasti che senza remore, diffondano, attraverso il cinema, i propri ideali di sinistra. Fratellanza, uguaglianza e libertà sono le loro parole d’ordine. Un’attività cinematografica, politica, ma soprattutto civile che ha portato Giuliano Montaldo vicino al Partito Comunista italiano, senza, però, mai ricevere un tornaconto personale.

Il suo carattere gentile e rispettoso delle idee altrui non gli ha impedito di essere se stesso e dichiarare apertamente ciò che pensava, a volte pagando un caro prezzo. Come è avvenuto nel 1996, quando da più parti si fa il suo nome come direttore della Mostra d’Arte cinematografica di Venezia, ma dopo una sua dichiarazione tutto è saltato.

“Si chiama Mostra d’Arte Cinematografica, ogni anno ci saranno forse una ventina di film che possono essere considerati opere d’arte, e quindi se mi nominano non ne sceglierò uno solo di più”.

Giuliano Montaldo e Vera Pescarolo

Giuliano Montaldo, oltre alla comunità degli amici e compagni, con i quali condivide l’impegno civile e la passione del cinema, può contare sulla comunità della sua famiglia. Innanzitutto, Vera Pescarolo, conosciuta da Giuliano sul set e diventata immediatamente compagna di vita; poi la loro figlia Elisabetta e il nipote Inti Carboni, entrambi rapiti dalla passione del cinema.

Sono questi i cari di Giuliano che sostengono la sua lunga e non sempre comoda carriera cinematografica. Lo spirito di comunità è presente anche qui. Vera, Elisabetta e Inti accompagnano e si fanno testimoni dell’attività artistica e umana di Giuliano. Una famiglia comune e allo stesso tempo singolare, descritta con simpatia e originalità da Marco Spagnoli in Giuliano Montaldo – Quattro volte vent’anni (disponibile su RAI Play).

Giordano Bruno

Tra i film riproposti nella retrospettiva Gli Imprescindibili è presente l’opera più intensa e probabilmente la più complessa di Giuliano Montaldo, Giordano Bruno, con protagonista uno straordinario Gian Maria Volontè.

Trasposizione filmica degli ultimi anni della vita di Giordano Bruno, il filosofo di Nola che fu arso sul rogo nell’anno 1600 in Campo dei Fiori a Roma.

Il lungometraggio, realizzato nel 1973, chiude la trilogia sul potere, o meglio parlare di intolleranza. Il film viene dopo Gott mit uns e Sacco Vanzetti, dedicati all’intolleranza militare il primo e all’intolleranza politica il secondo.

Per quanto riguarda Giordano Bruno, invece, il discorso è rivolto all’intolleranza religiosa e i non pochi spunti metafisici complicano il discorso. La biografia del filosofo diventa un pretesto cinematografico per trattare la sua dottrina, mutarla in immagini e come quasi sempre succede nella filmografia di Giuliano Montaldo, non manca un tocco di spettacolarità, mal digerita dalla critica specialistica, ma apprezzata dal grande pubblico.

“Se è la terra a girare intorno al sole, così come gli altri pianeti girano intorno al sole, se esistono altri soli, altri sistemi solari sparsi nell’universo… se ciò è vero ed è vero, Dio non è in alto sopra di noi, fuori dal mondo, ma è ovunque in ogni particella di materia… è la materia stessa”.

Il cast: Gian Maria Volontè, Charlotte Rampling, Renato Scarpa, Mathieu Carriere, Hans Christian Blech.

Giordano Bruno è attualmente disponibile su Prime Video.

Giordano Bruno (film)

 

L’Agnese va a morire

Nella sua retrospettiva, Il Sudestival propone L’Agnese va a morire, film tratto dall’omonimo romanzo di Renata Viganò, a cui fu assegnato il Premio Viareggio.

Nelle campagne ferrarese la lavandaia Agnese si vede prelevare dai tedeschi per la deportazione il marito che ha dato rifugio a un soldato sbandato. Rimasta vedova inizia a collaborare con i partigiani accettando anche incarichi pericolosi e prendendo progressivamente il coraggio e coscienza di quanto accade.

La realizzazione di L’Agnese va a morire è stata molto complessa e lunga. Il film viene concluso nel 1976, in un periodo storico caratterizzato da forti tensioni ideologiche e un film sulla Resistenza, per giunta al femminile, veniva considerato una minaccia per la quiete pubblica. La scrittrice Renata Viganò aveva perso ogni speranza, Giuliano Montaldo no e continua a credere nel progetto.

Sorgono anche difficoltà sulla scelta della protagonista. Il regista pensa a un grande nome, come quello di Simone Signoret, vincitrice dell’Oscar per La strada dei quartieri alti. L’attrice francese si innamora del personaggio, ma è costretta a rinunciare per gravi problemi di salute. Questa volta il film sembra arenarsi per sempre. Poi arriva una telefonata di Franco Solinas, lo sceneggiatore più importante del cinema politico italiano, il quale suggerisce Ingrid Thulin, celebre per le sue partecipazioni ai film di Ingmar Bergman, come Il posto delle fragole, Luci d’inverno e Sussurri e grida. Giuliano Montaldo non è convinto del suggerimento, il film che ha in mente di girare risente ancora della lezione neorealista e la sua Agnese, d’altronde come quella della Viganò, deve essere una donna reale, una contadina emiliana, diametralmente opposta alla bellezza nordica della Thulin.

L’attrice svedese, però, accetta la sfida e con una magistrale interpretazione convince non solo il regista, ma pubblico e critica. Si immerge totalmente nel paesaggio rurale, vive insieme ai contadini per imitare comportamenti, azioni e soprattutto la lingua. La sua voce viene doppiata da Gabriella Genta, ma Ingrind Thulin vuole comunque recitare le sue battute in emiliano e il risultato supera le più rosee aspettative.

Il cast: Ingrind Thulin, Michele Placido, Ninetto Davoli, Eleonora Giorgi, Johnny Dorelli.

L’Agnese va a morire è attualmente disponibile su Prime Video.

L’AGNESE VA A MORIRE

 

 

I Demoni di San Pietroburgo

La letteratura, come la Storia, è una fonte d’ispirazione essenziale nella filmografia di Giuliano Montaldo e da qui nasce I Demoni di San Pietroburgo.

La città di Pietroburgo viene sconvolta da un attentato in cui muore un componente della famiglia imperiale. Pochi giorni dopo, lo scrittore Fedor Dostoevskij conosce casualmente Gusiev, un giovane ricoverato in un ospedale psichiatrico che, in evidente stato confusionale, gli rivela di far parte di un gruppo terroristico che sta organizzando un piano per eliminare un altro componente della famiglia dello Zar.

I Demoni di San Pietroburgo è del 2008, realizzato dopo più di trent’anni dall’ultimo capitolo della trilogia dedicata all’intolleranza. In questo film, però, è presente, in modo diverso, ma con la medesima forza, il sentimento di disgusto del regista – autore nei confronti della prepotenza del potere.

Il bersaglio scelto è la Russia zarista di Alessandro II che, nonostante l’abolizione della gleba, continua a reprimere le forze rivoluzionarie e innovatrici della grande Russia. In questo conflitto senza scontri, Giuliano Montaldo, insieme agli sceneggiatori Paolo Serbandini e Monica Zampelli, inseriscono i temi prediletti dal grande romanziere, come la natura dell’essere umano. Inoltre il regista genovese riesce a tradurre in immagini, senza mai rinunciare al suo particolare tocco spettacolare, la principale caratteristica dell’intera opera dostoevskijana: la polifonia.

La polifonia della scrittura di Dostoevskij, così descritta da Michail Bachtin, si basa fondamentalmente sul dialogo, per evocare l’animo umano. Un continuo incontro – scontro tra l’io, l’altro e un altro ancora, da individuare nella comunità o persino in Dio.

Una caratteristica che il regista Giuliano Montaldo trasfigura in immagine, creando la tessitura narrativa del film. L’incidente scatenante viene generato in ambito intimo, a tratti psicopatico, per poi essere tramutato a livello sociale e politico.

Il cast: Miki Manojlovic, Carolina Crescentini, Roberto Herlizka, Anita Caprioli.

Il film è attualmente disponibile su Prime Video.

I DEMONI DI SAN PIETROBURGO

L’industriale

L’ultimo film inserito nella retrospettiva del Sudestival di Monopoli è anche l’ultimo film diretto, nel 2011, da Giliano Montaldo, intitolato L’industriale, interpretato da Pierfrancesco Favino e Carolina Crescentini.

Proprietario di una fabbrica ad un passo dal fallimento, l’ingegnere quarantenne Nicola Ranieri non può più ottenere prestiti bancari per tamponare la situazione.

Con il suo ultimo film, Giuliano Montaldo chiude un cerchio e torna indietro di quasi mezzo secolo. È il 1965, quando realizza Una bella grinta, con protagonista uno degli attori più in voga dell’epoca, Renato Salvatori.

L’impianto narrativo è lo stesso. In entrambi i film il tema del lavoro si intreccia con l’avventura amorosa vissuta dai protagonisti. Renato Salvatori prima e Pierfrancesco Favino dopo, devono risolvere una precaria situazione economica e allo stesso tempo salvare un matrimonio ormai giunto al capolinea.

I due film, però, hanno una differenza sostanziale, riconducibile alla differente epoca storica. Una bella grinta è ambientato durante il boom economico, quando gli italiani erano pieni di speranza e ambire a diventare ricchi e potenti imprenditori era una realtà tangibile per tutti, anche per il giovane Ettore, d’origine contadina.

L’industriale, invece, è collocato in un contesto storico opposto. Siamo in piena crisi economica internazionale e Nicola non può far altro che portare al fallimento l’industria ereditata dal padre. Gli eventi si replicano a specchio, ma il loro significato cambia radicalmente, come è opposto anche l’esito.

La crisi economica evocata in L’industriale travolge il destino dei due protagonisti in un finale, apparentemente aperto, ma in ogni modo tragico, nonostante alcuni inserti tipici della commedia all’italiana.

Il cast: Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini, Francesco Scianna, Elena Di Ciocco, Elisabetta Piccolomini.

Il film è attualmente disponibile su Prime video.

L’INDUSTRIALE

Giuliano Montaldo e la Storia

La retrospettiva del Sudestfestival Gli Imprescindibili, dedicata a Giuliano Montaldo, racchiude un estratto essenziale della sua filmografia, in cui emerge la capacità del regista di collocare piccole storie nella grande Storia. La prassi utilizzata è manifestamente civile e politica. L’ideologia non viene mai nascosta e la scelta dei soggetti da raccontare è frutto della stessa ideologia.

È il caso di Sacco e Vanzetti, scritto da Giuliano Montaldo, insieme a Mino Roli e Fabrizio Onofri, quest’ultimo ex partigiano e ex esponente di punta del Partito Comunista italiano. il film racconta le vicissitudini giudiziarie di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, interpretati magistralmente da Riccardo Cucciolla e Gian Maria Volontè, i due anarchici italiani accusati ingiustamente.

Il film è uno dei migliori esempi di cinema politico italiano e non solo per la scelta del soggetto. Giliano Montaldo, con la vicenda di Sacco e Vanzetti, risalente agli anni del proibizionismo americano, mentre in Italia Benito Mussolini consolidava il suo regime dittatoriale; riesce a trattare anche di temi della politica italiana degli anni Settanta. E allora, la morte di Andrea Salcedo, misteriosamente precipitato da una finestra, evitabilmente, evoca il brutale assassinio di Giuseppe Pinelli.

Sacco e Vanzetti (film 1971)

La stroncatura della critica militante

La vocazione civile e politica di Giuliano Montaldo, però, è stata spesso fraintesa dalla critica militante. Il motivo non è solo da ricondurre alla spettacolarità, spesso e volentieri inseguita nei suoi film, come quando l’Agnese/Ingrid fa da staffetta partigiana in un paesaggio sommerso dalla neve, in una delle sequenze più suggestive.

Il regista genovese ha subito una feroce stroncatura nel 1961, quando alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica presenta Tiro al piccione, il suo film d’esordio alla regia. Il lungometraggio, focalizzato sulla formazione ideologica di un giovane aderente alla Repubblica di Salò, fu stroncato dalla critica di destra e da quella di sinistra, che, nonostante l’evidenzia storica, continuava a condannare quei ragazzi sbandati illusi dal fascismo, proprio come accade a Dario Fò.

 

Leggi anche Giuliano Montaldo: il senso civico dello spettacolo – Taxidrivers.it

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