Unire satira e umanità. Portare avanti una critica sociale contro il bigottismo dell’american way of life, attraverso questi due punti chiave. Questo fa Alexander Payne, classe 1961, autore originario di Omaha (Nebraska), capace di bilanciare i due raggiungendo un’equilibrio in grado di restituire a pieno i suoi soggetti e il mondo che li accoglie.
Si laurea in Regia e Arti Drammatiche a Los Angeles (UCLA). Ha una trentina d’anni quando esordisce sul grande schermo con The Passion of Martin, tesi di laurea a cui lavora con Jim Taylor, che diventerà suo sceneggiatore di fiducia.
Primo successo
The Passion of Martin è la storia di un fotografo solitario, convinto che tutto nella vita sia in ultima istanza riducibile a istinti di natura animale. Tuttavia nel corso della pellicola sviluppa una relazione morbosa nei confronti della coprotagonista che sfocia a tratti nella follia.
Il film viene presentato al Festival di Cannes nel 1991, encomiato dal pubblico garantisce al giovane Payne un contratto con la Universal Pictures.
Ben 5 anni dopo, Payne presenta Citizen Ruth, seguito nel ’99 da Election, entrambi sono disponibili su PrimeVideo
Con questi film inizia a chiarirsi e definirsi la sua visione.
“I don’t choose the ideas, they choose me”.
Tra critica e satira
Tramite la storia di Ruth Alexander Payne mette a nudo il bigottismo della società americana e mostra al pubblico un mondo che ha perso il contatto con i suoi valori etici e morali.
Election presenta invece una satira sociale spietata, generatrice di un film politicamente scorretto nella sua denuncia dall’arrivismo americano.
Il suo progetto successivo, concepito idealmente come suo primo lungometraggio, riceve 2 candidature agli Oscar e 5 ai Golden Globe Awards nel 2002, tra i quali vince per miglior sceneggiatura.
In About Schmidt Payne mitiga la radicalità del periodo precedente per concentrarsi invece su un’ironia dal sapore più malinconico. Racconta così quella che, per quanto ilare, è pur sempre la tragedia di un uomo alla ricerca di dare un senso alla propria vita.
Negli anni successivi da vita a Sideways, nuovo film on the road sulle tracce del precedente.
Paris, je t’aime, progetto collettivo in 18 parti a cui partecipa. Il progetto tratta dell’amore in ogni sua possibile accezione, ogni sua parte è girata in un diverso quartiere di Parigi che fa da sfondo a questi brevi lampi.
Quest’ultimo viene presentato al Festival di Cannes, così come Nebraska con cui ottiene anche 6 candidature agli Oscar nel 2014.
L’ultima uscita in sala di Alexander Payne
Dopo quasi 10 anni AlexanderPayne torna quest’anno sul grande schermo con The Holdovers.
Lo aspetteranno altre candidature? Ecco le previsioni
Ambientato nel dicembre 1970 in una scuola superiore, riprende il tono malinconico affiancandogli un’ironia al limite dell’aggressività. La fotografia leggermente desaturata e i toni caldi restituiscono l’idea del tempo conferendo all’intero film un sentore di pellicola consumata. Questo, unito al ricorrente uso delle dissolvenze scandisce il passare immutato e ineluttabile delle giornate.
Incorniciati da questa atmosfera i tre protagonisti sono costretti a rimanere nel campus durante la pausa invernale. Quella che racconta non è solo la loro storia ma quella di tutti coloro che sono stati in qualche modo “lasciati indietro”, abbandonati dalla società. Regala così una riflessione intima seppur pervasa di risvolti politici, un’allegoria della società moderna che scavalca i protagonisti rivolgendosi al presente.
Il trailer di The Holdovers, così come per i film sopracitati, è disponibile su MUBI
Rendere vivi i propri personaggi
A distinguere Alexander Payne dal resto del panorama registico americano non è tanto la scelta dei soggetti quanto l’attenzione dedicatagli. L’attento lavoro di sceneggiatura nella costruzione di protagonisti sfaccettati e tridimensionali.
Il tutto accompagnato dalla necessità di un cinema vicino e in qualche modo speculare alla realtà, di saper ridere anche nei momenti peggiori, infondo
“…isn’t this life if you have a sense of humor?”
L’immagine dell’America che dipinge è quella della middle class, anonima e provinciale solitamente ignorata. Personaggi portati ad abbracciare ideologie o comportamenti estremi, ad essere semplicemente quello che sono: persone.
Pone così sotto una nuova luce i suoi protagonisti, in ogni accezione umani e vivi nelle sue pellicole.