Mary and Max è un film del 2009 diretto da Adam Elliot. È realizzato con la tecnica dello stop motion e, come dichiarato nei titoli d’apertura, è basato sulla reale corrispondenza del regista col suo amico di penna. Ha vinto come Miglior lungometraggio al Festival internazionale del film d’animazione di Annecy nel suo anno d’uscita.
Nel cast del film: Philip Seymour Hoffman per la voce di Max Jerry Horowitz, Toni Collette per Mary adulta e Barry Humphries nel ruolo di narratore.
Sinossi di Mary and Max
Mary Daisy Dinkle è una bambina di otto anni che vive a Mount Waverley, Australia. Non ha nessun amico, se non un gallo e i giocattoli del suo cartone preferito, costruiti da lei stessa con la spazzatura. Dopo la morte del nonno, Mary non ha più un punto di riferimento. Il papà infatti non le dedica nessun’attenzione e la madre alcolizzata non fa che metterla a disagio e aumentare le sue incertezze. Così, un giorno, decide di scrivere a un indirizzo casuale a New York per sapere come vive la gente lì. A ricevere la lettera, Max Jerry Horowitz, un uomo di quarantaquattro anni con la sindrome di Asperger.
Tra Mary e Max avrà inizio un’amicizia che aiuterà entrambi a crescere, ad amarsi e a perdonare.
Max e l’Asperger
Immaginate di dover partecipare a un gioco di cui non conoscete le regole. Vedete gli altri divertirsi e muoversi a proprio agio, ma quando è il momento della vostra mossa, tutti si voltano a guardarvi sospettosi. In silenzio, cercate di avanzare tra chi non riesce a comprendere il vostro modo di giocare.
Dev’essere così che si sente Max da oltre quarant’anni. Incompreso e incapace di capire gli schemi con cui agiscono le persone attorno a lui. Se potesse ridurre tutto a un’equazione matematica, anche l’amore, lo farebbe subito.
“Trovo che gli essere umani siano interessanti, ma ho difficoltà a capirli.”
Max ha un modo diverso di pensare. Perché, si chiede, essere onesti dovrebbe essere considerato da maleducati? Eppure il suo psichiatria gli suggerisce cosa dire e cosa non dire alle altre persone. Così forse è meglio non parlare proprio, per non sbagliare. Max ha però tanto da dire: le lettere che spedisce a Mary, scritte in modo così preciso e puntuale, sono lo sfogo di cui non sa di avere bisogno. Per la prima volta nella sua vita, Max ha un assaggio di cosa significhi la vera amicizia. Ascolto, senza giudizio, e supporto.
Il mondo in bianco e nero di New York inizia a colorarsi con l’arrivo delle lettere di Mary. Si tratta di un cambio di routine che inizialmente porta scompiglio nella vita di Max, rendendola asimmetrica come la morte del suo pesciolino. Per chi soffre di Asperger il cambio di abitudini è una difficile prova da affrontare. Significa dover rimodulare quegli schemi precisi che permettono un andamento tranquillo e senza sorprese nella propria giornata. Per una persona che non conosce questa sindrome, le reazioni di Max potrebbero apparire esagerate. Ma come vi comportereste voi se vi togliessero le uniche certezze che vi trasmettono serenità nella vita?
L’Asperger diventa un muro invalicabile che ostacola i rapporti con le altre persone. Max non sa esprimere le sue emozioni come chiunque altro farebbe. Ma non riuscire a sorridere o piangere quando la situazione lo richiederebbe, non fa di lui un uomo apatico e senza sentimenti. Al contrario, Max sa cosa lo fa sentire bene e cosa lo mette a disagio, ma ha davvero troppa paura di condividerlo con gli altri.
“Non preoccuparti se non sorridi, la mia bocca non sorride quasi mai, ma ciò non significa che non stia sorridendo nel cervello.”
Max si ritrova completamente solo e con la solitudine avanza inevitabile anche la depressione. E la depressione è sintomo di grande intelligenza che un tale peso deve sopportare.
Mentre i giornali gli danno del “ritardato”, Max decide di non vivere l’Asperger come una mancanza. Forse potrà renderlo strano agli occhi degli altri ma lui, come Mary e chiunque altro, è un essere umano. Perfettamente imperfetto.
Il mondo grigio di Max e il mondo marrone di Mary
Il regista Adam Elliot offre una favolosa caratterizzazione col particolare design dei personaggi, che spesso ci appaiono grotteschi per via delle assurde proporzioni e per i contorni e linee che tendono spesso verso il basso. Ci sembra quasi che la gravità sia talmente potente da tirarli a sé, rendendoli gobbi, deformi e dalle labbra perennemente increspate in un broncio.
A rafforzare la caratterizzazione di questo mondo malinconico, i colori assumono un ruolo fondamentale. Mary vive in una città sporca (viene presentata come città più pulita… nel 1972), ha una voglia “color della pupù” sulla fronte e occhi come il fango. Il marrone diventa il suo colore preferito perché tutto intorno a lei è plasmato in quel modo. Dalla spazzatura crea i suoi amici, i Noblet (che potremmo paragonare ai Puffi) e nella spazzatura trova la lettera tanto attesa di Max. Mary, una bambina ingenua e pura, rappresenta ciò che c’è di buono nel marciume della società.
Il mondo marrone di Mary si unisce a quello grigio e triste di Max, seppur rimanendo fisicamente separati. La loro amicizia si carica quindi di una potenza emotiva ancora più coinvolgente, dal contrasto che ne nasce con le infelici situazioni che affrontano ogni giorno. Le lettere che i due si scambiano, scritte a modo loro con una leggerezza ingenua, sono il mezzo con cui lo spettatore riesce a empatizzare coi due protagonisti, andando oltre un aspetto sgraziato che ne cela appositamente le vere qualità.
La colonna sonora
Ad accompagnare questo appassionante film d’animazione, sono state scelte musiche altrettanto emozionanti che comprendono pezzi di numerosi artisti.
Il tema principale, Perpetuum Mobile, proviene dall’album Signs Of Life dei Penguin Cafe Orchestra. Parliamo di un gruppo musicale inglese, rimasto attivo fino a metà degli anni ’90, che fu precursore di un genere oggi definito come World Music. La singolarità della World Music è di unire la musica tradizionale a quella pop. Ciò che ne nasce, soprattutto in brani come Perpetuum Mobile, è una dolce sinfonia velata di malinconia, perfetta per calare subito il pubblico nella storia di Mary e Max.
Il film si colora di altre canzoni da un sound di tempi andati, come ad esempio Old Mother Ubbard, di un jazz allegro e ballabile, o Russian Rag, un blues decisamente più sofferente. Ma sono presenti anche molti brani classici che enfatizzano le scene e le caricano di un carattere quasi epico. È sicuramente il caso del celebre Dance of The Knigts del compositore Sergej Sergeevič Prokof’ev con cui viene associata la figura della madre. Una melodia che il pubblico ricollega subito a qualcosa di terribile, con un impatto indubbiamente efficace per rappresentare un personaggio ambiguo e che poco si presta all’empatia.
Altre canzoni celeberrime, ma di tutt’altro genere, offrono una diversa visione delle scene. That’s Life di Frank Sinatra e Que sera, sera di Ray Evans e Jay Livingston vengono inserite in punti non casuali della storia, caricando ora la scena non di un carattere ironico ma, con lo stesso stratagemma del contrasto, di una pesante tristezza.
La musica classica contaminata da sonorità pop la fa comunque da padrone per quasi tutto il film. I Penguin Cafe Orchestra tornano con il loro Prelude and Yodel, seguiti da brani come That Happy Feeling e A Swinging Safari, regalandoci una colonna sonora particolare e per questo indimenticabile.
Mary and Max
Mary and Max parla al pubblico con una commovente delicatezza, forse anche grazie al suo carattere autobiografico. Adam Elliot ci regala un’ora e mezza in cui il mondo ci appare un po’ migliore di quello che è realmente, nonostante l’estetica preannunci tutto il contrario. Andare oltre alle apparenze è il patto che il regista stipula con lo spettatore, promettendogli un prodotto artistico autentico, unico e che non deluderà le sue aspettative.
Dopo la visione del film, riascoltare le prime note di Perpeetum Mobile trasmetterà la stessa dolcezza che aveva tenuti attaccati allo schermo. Una sensazione di epifania che non tutti i film sanno offrire (e poche sensibilità cogliere). La promessa è quella che chiuderete gli occhi e sorriderete, perché Mary and Max è un film che lascia davvero qualcosa.